Damon Galgut
Il buon dottore
Edizioni e/o
settembre 2022, pp. 256, e-Book
Traduzione
: Valeria Raimondi
Area geografica:
Letteratura sudafricana
Il libro
Dal vincitore del Man Booker Prize 2021, il romanzo del 2003 che lo rivelò come grande autore sulla scena internazionale.
Un
avamposto ospedaliero in Sudafrica, una terra desolata oppressa dalla
miseria e dalle violenze di bande in cerca di potere. Due medici, amici
nonostante le opposte visioni del mondo, in un clima di attesa dominato
da un senso di minaccia e di fine imminente.
Frank Eloff è medico, forse solo perché lo era anche suo padre. È
sposato, ma solo perché sua moglie non ha ancora ottenuto il divorzio.
Lavora presso un ospedale in rovina, privo di mezzi e persino di
pazienti. Ma solo perché rimanda all’infinito la decisione di andarsene.
Eppure in questa mediocrità, tra compromessi e illusioni, rassegnazione
e cinismo, Frank ha trovato un equilibrio. Fino al giorno in cui arriva
nel suo ospedale, nella sua camera e nella sua vita Laurence Waters, un
neolaureato in medicina che è tutto quello che Frank non è più:
giovane, ottimista e pieno di buone intenzioni. E nella selva politica e
morale del Sudafrica, basta questo per fare del giovane medico una mina
vagante. Anche perché in città qualcosa sta succedendo. Si vedono facce
nuove, e se ne rivedono di vecchie. Corre voce che il Generale, il
dittatore che governava ai tempi dell’apartheid, sia ancora vivo. E al
locale di Mama si è installato un gruppo di militari agli ordini di uno
spietato comandante, un uomo che Frank ha già incrociato e avrebbe
preferito non incontrare mai più. Così, quando Frank raccoglie la sfida
che il giovane Don Chisciotte gli ha lanciato, senza rendersene conto
compie un passo irreversibile in uno scenario di intrighi politici,
passione e violenza, dove pericolosi fantasmi sono in agguato per
regolare i conti di un passato doloroso.
L'autore
Damon Galgut
Il romanzo del 2003 di Damon Galgut, Il buon dottore, ha vinto
il Commonwealth Writers Prize (per l’Africa) ed è stato selezionato per
il Man Booker Prize. Nel 2013 Galgut è stato inserito nell’American
Academy of Arts and Letters. Nel 2011 le Edizioni E/O hanno pubblicato In una stanza sconosciuta, selezionato per il Man Booker Prize, nel 2014 Estate artica e nel 2021 La promessa, vincitore del Booker Prize. Vive a Città del Capo, in Sudafrica.
Recensioni
RECENSIONE
Damon Galgut: «La promessa tradita del mio Sudafrica»
Lo scrittore sudafricano nei suoi libri rispecchia le attese, gli
smarrimenti e i tradimenti di una nazione ancora incapace di
rappacificarsi con il presente
Non sembra il Paese immaginato da Nelson Mandela il Sudafrica dei libri
di Damon Galgut, scrittore che nel 2021 si è aggiudicato il Man Booker
Prize per La promessa e ora torna in libreria, sempre per le e/o, con Il buon dottore,
romanzo – in prima edizione del 2003 – che lo rivelò come grande
autore sulla scena internazionale. Alla nostra domanda sul Sudafrica
attuale Galgut, che ieri è stato per la prima volta al
Festivaletteratura di Mantova e replicherà oggi alla Tenda dei Libri,
risponde che le cose potevano andare diversamente: «Si può parlare di
promessa tradita, è uno dei motivi per cui La promessa si
intitola così». Galgut nei suoi libri rispecchia le attese, gli
smarrimenti e i tradimenti di una nazione ancora incapace di
rappacificarsi con il presente, e in qualche modo i due protagonisti de
Il buon dottore sono la metafora di “vecchio” e “nuovo” in
Sudafrica: da una parte c’è Frank Eloff, medico che lavora in un
ospedale privo di mezzi e pazienti. Dall’altra Laurence Waters,
neolaureato in medicina, giovane, ottimista e pieno di buone
intenzioni: «La vera domanda – dice Galgut – è cosa sia il “nuovo” in
Sudafrica. All’epoca in cui ho scritto il libro credo di essermi
rapportato al narratore del libro come a qualcuno della vecchia
generazione, quindi qualcuno di più cinico, mentre i giovani
rappresentavano la speranza di un sentimento che poteva cambiare, ma ora
quei giovani che rappresentavo io stesso quando ho scritto il libro,
sono diventati vecchi e forse anche più cinici». Lo sfondo è quello
dell’apartheid, spiega Galgut in una nota, ma quello è l’unico momento
in cui la parola apartheid viene citata: «Non volevo – spiega – scrivere
un libro che fosse legato alla storia politica, quindi non ci sono
nomi o riferimenti precisi; volevo fosse un libro da leggere anche a
distanza di anni e in situazioni storiche diverse. Mi piace spogliare i
personaggi dal contesto per capire cosa significhi davvero essere
umani, creare storie dove possiamo entrare in relazione a prescindere
dal contesto storico; la mia non è una lotta contro i potenti, cerco di
capire cosa significhi essere poveri oppure avere mezzi». Una di quelle
«situazioni storiche diverse» l’ha fornita come sempre l’attualità,
ed è stata il Covid, che avrebbe potuto essere un’occasione di
cambiamento: «Ma il Covid in Sudafrica è stato una specie di disastro.
La situazione economica non andava bene nemmeno prima, il Covid ha
ampliato il divario tra ricchi e poveri. Non mi sento fiducioso per il
futuro, la situazione è impossibile da risolvere senza un piano
politico. I soldi sono ciò che determina il potere, e questo vale per
tutte le società. In Sudafrica la situazione attuale non è buona, il
potere politico è stato ceduto ma quello economico no. Chi era ricco e
potente allora, lo è ancora. La stratificazione sociale è rimasta la
stessa e senza soldi non c’è futuro. La nuova generazione in Sudafrica
cresce nella stessa condizione di povertà dei genitori e resta senza
potere». Quella che racconta Galgut è una storia in cui la povertà
insegna qualcosa: «Il Sudafrica è diviso dal punto di vista razziale e
c’è crudeltà in quella divisione. Le persone entrano in relazione come
sconosciute, con grandi distanze. Io come essere umano e come
scrittore ho l’istinto di colmare il divario per andare oltre le
divisioni di classe e di etnia ed entrare in connessione, per
incontrarsi in modo più emotivo. Per questo credo che la religione sia
importante per le persone nel modo di intendere l’essere umano».
All’inizio di Il buon dottore un personaggio dice: «Il passato è appena accaduto. Non è ancora passato» e ne La promessa
il tempo è uno dei temi centrali: «Il tempo ci fa invecchiare. Il
tempo cambia il corpo, la mente, i valori, cambia con i cambiamenti che
avvengono. Il tempo si evolve, i luoghi cambiano ed è importante
guardare oltre i dettagli contingenti per raggiungere quello che c’è
sotto, un luogo mitologico che ci consente di colmare le distanze
creando un dialogo sul piano umano ed esistenziale. A me piace
immaginare luoghi in cui sia possibile una connessione tra esseri umani
fuori dal tempo e questi sono i momenti dell’amore, della poesia, del
lavoro creativo, dove non siamo schiacciati dal peso della storia e
della politica».
Nessun commento:
Posta un commento