PagineCOPYRIGHT - https://labibliotecadikatia.blogspot.com di Caterina Buttitta

Pagine

mercoledì 1 febbraio 2023

RECENSIONE "IL MIO ANNO DI RIPOSO E OBLIO" by OTESSA MOSHFEGH - FELTRINELLI


Il mio anno di riposo e oblio

di

Data d’uscita: 
Maggio, 2019
Collana: I Narratori
Pagine: 240
Prezzo: 17,00€
Genere:Narrativa
Traduttore: Gioia Guerzoni
 

Esilarante e stranamente tenero, l’esperimento di “ibernazione” narcotica di una giovane donna, aiutata e incoraggiata da una delle peggiori psichiatre della storia. New York, all’alba del nuovo millennio. La protagonista gode di molti privilegi, almeno in apparenza. È giovane, magra, carina, da poco laureata alla Columbia e vive, grazie a un’eredità, in un appartamento nell’Upper East Side di Manhattan. Ma c’è qualcosa che le manca, c’è un vuoto nella sua vita che non è semplicemente legato alla prematura perdita dei genitori o al modo in cui la tratta il fidanzato che lavora a Wall Street. Afflitta, decide di lasciare il lavoro in una galleria d’arte e di imbottirsi di farmaci per riposare il più possibile. Si convince che la soluzione sia dormire un anno di fila per non provare alcun sentimento e forse guarire. Tra flashback di film anni ’80 – Mickey Rourke in 9 settimane e ½ e Whoopi Goldberg –, dialoghi surreali e spassosi, descrizioni di una New York patetica e scintillante, il libro ci spinge a chiederci se davvero si può sfuggire al dolore, mettendo a nudo il lato più oscuro e incomprensibile dell’umanità.

Il comico tentativo di una giovane donna di schivare i mali del mondo attraverso un rigoroso programma di “ibernazione”.
“Una rivelazione: divertente, sorprendente e indimenticabile.” Entertainment Weekly

 

 

Ottessa Moshfegh

Ottessa Moshfegh è una scrittrice nata a Boston. I suoi racconti, riuniti in Nostalgia di un altro mondo (Feltrinelli, 2018), sono apparsi sulla “Paris Review”, sul “New Yorker”, su “Granta”, “Vice”, e le sono valsi il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Plimpton Prize. Con la novella McGlue si è aggiudicata il Fence Modern Prize e il Believer Book Award. Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli, 2019) è risultato tra i libri più belli del 2018 per "The Washington Post", "Time", "NPR", "Amazon", "Vice", "Bustle", "The New York Times", "The Guardian" e "Kirkus". Per Feltrinelli ha pubblicato anche La morte in mano (2020).


RECENSIONE

Il secondo romanzo di Ottessa Moshfegh è una confessione ostinata e senza censure. L'anonima narratrice ha 24 anni, sembra una <<modella>> e si definisce <<affetta da sonnofilia>>. Dormire, nient'altro potrebbe darle tanto piacere, tanta libertà, il potere di sentire e muoversi, pensare e immaginare, al sicuro dalla penna della coscienza vigile.

Nel giugno del 2000 la narratrice vive in un appartamento sulla Est 84th Street di New York, grazie ad un fondo fiduciario istituito per lei dai genitori recentemente deceduti; laureta alla Columbia, ha da poco lasciato un ambito lavoro in una galleria d'arte di Chelsea per ritirarsi dal mondo e concedersi lunghi periodi di sonno:

Ho preso il trazodone e l'Ambien e il Nembutalfino a quando mi sono addormentata di nuovo. In questo modo ho perso la cognizione del tempo. Sono passati giorni. Settimane. Qualche mese ... I miei muscoli hanno cominciato ad atrofizzarsi. Le lenzuola del letto a ingiallire ... Dormire, svegliarsi, tutto andava a collidere in un grigio, monotono viaggio in aereo attraverso le nuvole. Non parlavo dentro di me. Non c'era molto da dire. Per questo sapevo che il sonno aveva effetto: stavo diventando sempre meno attaccata alla vita. Se avessi continuato, pensavo, sarei scomparsa completamente, per poi riapparire in una forma nuova. Questa era la mia speranza. Il sogno.

L'ibernazione è lo stratagemma usato dalla scrittrice per trascorrere la vita al riparo dai sentimenti: <<Questa era la bellezza del sonno, la realtà si allontanava e appariva alla mia mente con la causalità di un film o di un sogno>>.

Dalla morte dei genitori, a cui sembra essere stata poco legata, Ottessa Moshfegh - Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli), subentra in uno stato simile ad un coma a occhi aperti. E' una donna tormentata dai ricordi dell'infanzia e spera di sfuggire al pensiero dei loro ultimi giorni infelici. (Anche se in vita erano distanti, il padre e la madre si legge nel romanzo, muoiono in un breve arco di tempo). Evita gli amici e conoscenti e riesce a malapena a tollerare la migliore amica. Desidera che un medico le prescrivesse qualcosa per <<la depressione, in modo da annullare pensieri e giudizi, dal momento che il loro costante bombardamento rendeva difficile non odiare tutti>>, ma alla fine la massiccia assunzione di farmaci offusca non solo l'odio:

Non sentivo nulla. Riuscivo a pensare a sentimenti ed emozioni, ma non riuscivo a suscitarli in me. Non riuscivo nemmeno a individuare da dove provenissero le mie emozioni. Dal cervello? Non aveva senso. L'irritazione era quella che meglio conoscevo: una pesantezza al petto, una vibrazione al collo come se la testa si mettesse a girsare prima di staccarsi violentemente dal corpo. Ma sembrava legata al sistema nervoso: una risposta fisiologica. La tristezza era una cosa simile? E la gioia? Il desiderio? L'amore?

Con una scrittura nitida Moshfeghdescrive l'insulsa vita interiore di una personalità narcisista che si disprezza e al contempo si mette in mostra. Una riflessione critica su di sè, un modo di adorare sè stessi, perchè l'argomento verte sul proprio io: <<Dall'adolescenza ho oscillato  tra il voler essere la viziata Wasp (bianca, anglosassone, protestante) che ero, e la barbona che sentivo di essere e che avrei dovuto essere se avessi avuto coraggio>>.

Dopo la laurea le è facile trovare un lavoro alla moda in una galleria pretenziosa, grazie al suo aspetto, stile e abbigliamento. <<Pensavo che se avessi fatto delle cose normali, ad esempio lavorare, avrei potuto far morire d'inedia la parte di me che odiava tutto>>. Se fosse stata un uomo, pensa, avrebbe potuto <<darsi al crimine>>. Essere <<carina>> le assicura un minimo di successo sociale, ma lei lo vede anche come una trappola che le permette di avere successo in un mondo che <<dà valore soprattutto all'aspetto>>, cosa che sostiene di disprezzare.

La protagonista Wasp viziata, decide di ritirarsi: <<Sono nata privilegiata, dira nel romanzo ad un  erto punto>>. <<Non ho intenzione di rinunciare a questo>>. Le è concesso il lusso di ritirarsi, cosa impossibile per la tetra Eileen, che deve vivere in un sudicio tugurio con un padre alcolizzato che detesta e deve fare un lavoro che odia, la scrittrice de Il mio anno di riposo e oblio, si prepara all'ibernazione pagando tasse e bollette in anticipo, le sue finanze sono gestite dal consulente finanziario del padre deceduto, che ogni tre mesi le manfda il resoconto delle spese, che lei non legge mai.

La sua vita trascorre a prendere farmaci che inducono al sonno, a dormire quanto più possibile, a svegliarsi con riluttanza per brevi intervalli  e ritornare a dormire prima possibile. I suoi ricordi infantili più cari sono quelli del letto condiviso con la madre drogata e alcolizzata, che quando era bambina le metteva il Valium nel latte. E' il sonno a sembrare <<produttivo>>, perchè lei è convinta che <<se potessi dormire abbastanza, starei bene. Mi sentirei rinnovata, rinata. La mia vita passata non sarebbe che un sogno>>. In effetti è una bella sfida riempire centinaia di pagine parlando del desiderio di dormire, ma Moshfegh ci riesce:

La velocità del tempo variava, rapido o lento, a seconda della profondità del mio sonno ... I miei giorni preferiti erano quelli che quasi non notavo. Mi sorprendevo a non respirare, abbandonata sul divano, fissando un vortice di polvere ... e per un secondo ricordavo di essere viva, per poi svanire di nuovo. Giungere a quello stato richiedeva grosse dosi di Seroquel o litio combinate con Xanax e Ambien o trazodone .. Gestire la sedazione richiedeva una matematica sottile.

 I lettori particolarmente attenti avranno intuito che si tratta di un romanzo che tratta delle droghe. Una meravigliosa caduta libera in un'oscurità vellutata. La Moshfegh dice a sè stessa che quel che sta facendo non è un suicidio: <<La mia ibernazione era un atto di auto-conversazione. Pensavo che mi avrebbe salvato la vita>>. Tutta la sua vita avviene durante il  sonno. L'unica osservazione a cui allude di sfuggita la Moshfegh e una leggera perdita di peso, a mancanza di equilibrio  e atrofia muscolare, ma solo di sfuggita, e ribadisce che non perde mai il suo aspetto. Il csampanello d'allarme non segnala a Moshfegh quando in una farmacia, nota con una certa indifferenza che la pressione è 50/80 e che a parer suo <<sembrava appropriata>>.

Sebbene ingoi tanti farmaci la protagonista non riesce a dormire. Il romanzo è inframmezzato da humor nero e film. Sebbene viva in uno stato catatonico la protagonista ointeragisce con alcuni persone che comprendono un <<amante>> dal nome Trevor. Ancora più comica è una terapista di nome Tuttle, che prescrive farmaci in modo stravagante, promiscuo e senza far domande, balbettando:

Tuttle mi aveva avvisata di <<ampi incubi>> e di << tripmentali a orologeria>>, di <<paralisi dell'immaginazione>>, di <<anomalie nella percezione spazio-temporale di <<sogni che sembrano incursioni nel multiverso>>, e di <<viaggi in ulteriori dimensioni>> .. E aveva detto che una piccola percentuale delle persone che prendevano i farmaci che mi prescriveva riportava di avere delle allucinazioni durante le ore di veglia. <<Sono per lo più visioni piacevoli, spiriti eterei, motivi celestisali di luce, angeli, fantasmi simpatici. Folletti. Ninfe. Luccichii>>.

In una serie di ricordi la Moshfegh, ricorda la madre indifferente, che <<la faceva franca perchè era bellissima>>, narcisista, che mostra il suo disprezzo quando il m arito, che sta morendo di cancro, chiede di essere portato a casa a morire, e il cui <<esercizio intellettuale>>, era fare le parole crociate.

Pagina dopo pagina che l'anno <<di riposo e oblio>> procede, la dormiente è profondamente angosciata, impantanata in quel tipo di dolore patologico che Freud chiamava romanticamente <<melanconia>>, per distinguerlo da quel sentimento che più comunemente viene chiamato <<lutto>>. L'assunzione di farmaci è un mezzo per sfuggire alla <<tragedia del passato>>. Incapce di esprimere il lutto, forse perchè non ha amato i genitori, ed è quindi intrappolata nella melanconia.

I romanzi della Moshfegh, mostrano personaggui provocatoriamente spiacevoli, poco generosi, ostili, critici degli altri, privi di interessi intellettuali o culturali. Dialogano in modo <<spiazzante>>, e se sono donne, sono l'opposto della <<femminilità>>. Amareggiata, incattività, l'anti-eroina di Eileen riconosce <<di odiare tutto>>. Nel romanzo Il mio anno di riposo e oblio, Eileen divide il letto con la madre, anche se sua madre sta morendo :<< E' morta quando avevo solo diciannove anni, ero magra come un bastone allora, cosa che mia madre eloggiava>>. 

Per sopravvivere <<all'infelicità e alla vergogna>>, per affrontare il mondo ricorre ad una <<maschera di morte>>. Al lettore non sarà sfuggita di certo la finalità del romanzo, l'infinità pietà per una disadattata che è stata abbandonata da una madre anaffettiva. In seguito la protagonista si libera dall'incantesimo del sonno. Si avventura fuori per il mondo. Si libera del fardello del passato. Il romanzo finisce con una visione dell'11 settembre 2001, l'attacco terrorista al World Trade Center. Sembra infatti che la compagna di stanza al college - sia morta nell'attacco. 

Il sonno ha funzionato. Ero leggera e calma e sentivo le cose. Era bello. Questa era ora la mia vita ... potevo andare avanti.


 

 

Nessun commento:

Posta un commento