Le storie sono il tessuto del mondo,
ci tengono insieme. E ci salvano.
Tessiture di sogno
Adelphi
A cura di Sven Meyer
Biblioteca Adelphi, 737
2022, pp. 243, 3 immagini b/n - € 19,00
RECENSIONE
<<Fu solo quando mi trasferii in Svizzera nel 1965 e poi in Inghilterra l'anno successivo che, propiziate dalla lontananza, cominciarono a prendere forma in me alcune riflessioni sulla mia patria, e tali riflessioni, durante gli oltre sei lustri che oramai ho trascorso all'estero, si son fatte via via più complesse'>>.
Lo scrive Winfried Georg Sebald, in ''Tessiture di sogno'', bellissimo volume - nella luminosa traduzione di Ada Vigliani - composto da tessere di racconto costruite sul tema della lontananza, appunto, quasi come unico metro di lucida riflessione. Sono scritti realizzati tra il 1975 e il 2000, dall'autore morto tragicamente in un incidente stradale nel 2001 a poche settimane dalla pubblicazione di Austerlitz, come ricorda Sven Meyer nella nota che chiude il volume. Il tema più o meno sotterraneo, in qualche modo sembra essere quello dell'esilio, sempre centrale nell'opera di questo grande maestro del racconto a metà tra narrativa e saggio, con una vocazione metafisica che in ''tessiture di sogno'' sembra prendere il sopravvento in modo a dir poco affascinante. Esilio qui affrontato a partire da quello di Napoleone Bonaparte in Corsica fino a quello suo, personale e volontario, passando attraverso i saggi di: Franz Kafka, Peter Weiss, Jean Amèry, Bruce Chatwin, si racconta di Vladimir Nabokov.
W, G. Sebald scrive da un'aria senza finire da un destino immedicabile che si è avverato e di cui la scrittura resta come testimone, come interprete, per quel tanto che può essere trascritto di un discorso che per la massima parte sfugge, si sottrae. Il tessuto sociale si fa scrittura per catturare ed accogliere il vento del cambiamento, la pioggia di rinascita e il sole della memoria.
L'esilio presuppone l'idea dell'estraneità, del viaggio, del ''viandante'' come Sebald definisce Bruce Chatwin, in quella metafora dell'attraversamento che è sostanza stessa della sua riflessione. Ma poi in queste pagine dal fascino ipnotico, in cui l'autore trascina il lettore in una lentezza che a volte sembra immobilità, c'è anche la letteratura con Kafka, Grass, Nossack, Nabokov, Handke, c'è arte con Peter Weiss e molto di più, tanto che ogni classificazione appare limitante.
Aleggia, più o meno dichiaratamente, il trauma bellico, ''l'assenza di reazioni di lutto dopo una colossale catastrofe nazionale'', ''la sorprendente freddezza con cui si rispondeva alle montagne di cadaveri dei campi di concentramento'', ricorda Sebald che quelle immagini le vide e non le seppe spiegare. Il lutto che non si elabora, sembra dire Sabald in queste pagine, ma che si trascina dietro e si espande in ogni forma della vita successiva nonostante il tentativo di prenderne le distanze. Persino nelle bellissime pagine iniziali di queste ''Tessiture di sogno'', che raccontano il suo smarrirsi in Corsica, nei luoghi napoleonici, tra i dettagli dell'esistenza dell'imperatore.
Quello che tessitori e scrittori condividono, insieme alla malinconia, allo sguardo concentrato, a un rimuginio diuturno che non lascia scampo, è il timore di avere per le mani il filo sbagliato. Se però tessitori e scrittori riescono a resistere a questa angoscia, che senz'altro li visiterà fin nel sonno, è possibile che riescano a condividere ancora qualcosa di inaspettato: quel senso di incanto e di rispetto suscitato dal romanzo, da un abito o da un racconto. Tanto più sarà stato potente la paura costante di perderlo, quel filo sbagliato, di averlo già perso, tanto più si proflila la percezione di essere riusciti a generare una forma, sia essa fatta di cotone, di lana, di frasi.
Nella ''Breve nota su Nabokov'',
che dà il titolo al volume, Sebald parla dei ''frontalieri'',
ovvero creature di ''una specie venuta da fuori'' che ci appare
solo in sogno e che eistono in una terra di mezzo tra quella che
abitiamo noi e l'aldilà. Ma loro, i ''frontalieri'' ci vedono
esattamente come noi vediamo loro, e pensano di noi quello che
noi pensiamo di loro...che siamo esseri effimeri, trasparenti,
di confine come ogni essere vivente nelle pagine di Sebald,
siamo tessuti nel sogno.
Sebald in Tessiture di sogno, edito da Adelphi, composto da 18 scritti, in buona parte inediti, articolati in Prosa e Saggi. Ogni scritto è un filo. La pista di una serie di frasi. Una tensione. Una possibile traiettoria. Un fuoco. La condensazione di tutto ciò che a Sebald stava a cuore e che probabilmente avrebbe continuato a esistere come progetto se l'autore di Austerlitz e di Vertigini non fosse scomparso nel 2001, cinquantasettenne, in un incidente automobilistico.
Fin dal primo testo, uno dei quattro in cui Sebald racconta i suoi soggiorni in Corsiva, descrivendo un museo nel quale, tra cimeli napoleonici, statuine dell'imperatore, scrive:<<Vanno via via rimpicciolendo, finchè non si vede più nulla, se non una macchiolina bianca e vaga, forse il punto di fuga dove svanisce la storia dell'umanità>>. Sebald resta concentrato con lo sguardo nello studio del tempo, consapevole che quanto è qui, ora, nel presente, esiste in una continua tensione verso il fading.
Da ogni presenza della realtà, anche dimessa, spira un senso ulteriore, un avviso. Se la tessitura del tempo è univoca e va verso l'annullamento, tutto ciò che resta continua a parlare dei dispersi, dei molti amati, degli andati oltre confine: basta porgere l'orecchio, basta schiudere lo sguardo sulle ombre, su ciò che, propriamente non si vede. E' una lingua fitta, ma tragico è la chiave dell'orchestrazione. E' un libro dunque, consustanziata di nostalgia: dell'impossibilità e insieme del desiderio pungente del ritorno, di cui parlano anche i ricordi. Perciò Sebald, parla come se fossero presenti, li implora perchè si mostrino, ma sapendo la verità, inflessibile, dell'esilio. La scrittura fissa lo sguardo, dove la vita umana è ancora appena visibile, un istante prima che svanisca: mentre svanisce. Questo sguardo che è voce e che è attratto tanto dal fantasma del futuro, il tempo nel quale non saremo, quanto da quello da cui proveniamo.
Sono diversi i testi le tessiture, Sebal dintervenendo nel 1975 su kaspar, la pièce di Peter Handke, indaga l'origine come lacuna, mistero, poesia; negli scritti degli anni Ottanta che prefigurano i temi di Storia naturale della distruzione, l'incapacità, se non l'impossibilità, individuale e collettiva, di fare i conti con la violenza della Storia, e in particolare con la mancata elaborazione letteraria del trauma dei bombardamenti subiti dalla Germania durante la Seconda guerra, da cui scaturisce un tentativo di ricomporre e fare luce, di spiegare e di capire, sempre in bilico tra memoria e amnesia. Ma non si trova un punto fermo, un capo, un principio di cui Sebald studiandolo, comprende che l'origine, quando si fa scrittura, è inevitabilmente un'invenzione. Tradotto da Ada Vigliani, la lingua di sebald produce un ronzio morbido, elastico: qualcosa scorre, a tratti si inarca, freme. Le parole fanno da spola. La sintassi è precisa come è costante il cane nelle sue peregrinazioni per l'Europa, Sebald aveva sempre con sè un cane che osservava vagabondare, in cerca di una traccia.
E così un capitolo dopo l'altro, ai nostri occhi di lettori sfilano nomi come: Franz Kafka, Peter Weiss, Jean Amèry, Bruce Chatwin, si racconta di Vladimir Nabokov che fa la sua comparsa in molti film girati negli anni Venti a Berlino, ci rendiamo conto di due cose. Per uno scrittore come Sebald, parlare degli altri vuol dire anche, forse sempre, parlare attraverso gli altri. E poi: in ogni suo testo, Sebald, che da bambino giocava collegando tra loro frammenti di spago e pezzetti di legno, affascinato dalle forme che ne scaturivano scrive: è un ragno che, dominato da un <<furore topografico>>, individua traiettorie, inventa mappe, disegna, fotografa, collauda, archivia, studia: tesse. <<Non smetto di domandarmi cosa siano quei rapporti invisibili che determinano la nostra vita, come corrano i fili>>, scrive. Non è possibile smettere di domandarselo, E di scriverne. Non è possibile smettere di tenere il filo in mano: perderlo, ritrovarlo: tessere le frasi è roba da sarti. Sebald ha la stoffa.
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