PagineCOPYRIGHT - https://labibliotecadikatia.blogspot.com di Caterina Buttitta
giovedì 4 luglio 2024
mercoledì 3 luglio 2024
Articolo per giornale o rivista. WeWorld: non si può accettare la morte ingiusta e disumana di Satnam Singh
WeWorld: non si può accettare la morte ingiusta e disumana di Satnam Singh
La morte di Satnam Singh sconvolge e indigna, riaccedendo i riflettori su un fenomeno quello dello sfruttamento agricolo in crescita e sempre piu diffuso in Italia: interessava 1 bracciante su 6 sfruttato nel 2018, 1 su 4 nel 2022 (Osservatorio Placido Rizzotto), di questi l’80% sono migranti. WeWorld, che da 50 anni porta al centro chi è ai margini in oltre 25 Paesi nel mondo, inclusa l’Italia, lo ha raccontato in quattro rapporti realizzati con Marco Omizzolo e altri ricercatori pubblicati negli ultimi due anni che, proprio a partire dall’Agro Pontino, hanno toccato anche le campagne piana del Sele in Campania a sud e la Toscana verso nord.
Diversi i contesti, diverse le filiere dell’ortofrutta, dalla quarta gamma – quella delle insalate lavate e pronte ad essere consumate -, a quella dell’uva per la produzione dei vini toscani. Diverse le sfumature, dal nero al grigio, perché così si caratterizzano i rapporti di lavoro: braccianti senza alcun contratto (lavoro a nero) come nel caso di Satnam Singh e braccianti con buste paga che riportano solo una piccola quota delle ore veramente lavorate (lavoro grigio). Stessi però sono i meccanismi e le relazioni dello sfruttamento, con sistemi di intermediazione illecita dei braccianti dominati da caporali a cui si affiancano, più recentemente, aziende “contoterziste” o “aziende agricole senza terra”, che forniscono manodopera principalmente di origine straniera attraverso contratti regolari, ma a costi molto bassi che si traducono in condizioni di sfruttamento.
Nelle campagne dell’Agropontino, le lavoratrici indiane, rumene, nigeriane ci raccontano giornate lavorative di 16 ore, 7 giorni su 7 per 4,5-5 euro all’ora. Si lavora in ginocchio tutto il giorno con pause ridottissime, o in altezza in condizioni inaccettabili di sicurezza, in alcuni periodi sopportando temperature estreme o in serre dove uomini e donne respirano pesticidi senza dispositivi di protezione individuali.
“Un altro problema erano gli infortuni. Se avevi un infortunio non potevi fare nulla, non ti portavano in ospedale. Questo vale, per quello che ho sentito da amici di mio marito, per molte aziende, non solo per quella in cui ho lavorato. Una volta un lavoratore si è tagliato un dito. Il capo gli ha messo un po’ d’acqua, un fazzoletto e lo ha accompagnato a casa chiedendogli di non andare al Pronto Soccorso.” È la testimonianza che WeWorld ha raccolto da una bracciante indiana della provincia di Latina.
“Ogni tanto c’era anche qualche infortunio. Io stessa sono caduta varie volte dal trattore, oppure nei canali che circondavano la terra ma non ci sono mai state denunce, ricoveri in ospedale e nessuna di noi è mai stata portata al Pronto Soccorso. Non si va mai al Pronto Soccorso o se vai il padrone ti dice che devi dichiarare di esserti infortunata a casa.” racconta un’altra bracciante indiana intervistata assieme a Marco Omizzolo proprio nelle terre dove si è consumato il dramma del giovane Satnam Singh.
“Abbiamo raccontato il fenomeno con lo sguardo femminile (braccianti agricole immigrate sono cresciute del 200% in dieci anni,
dal 2028), dove la discriminazione razziale si salda a quella di
genere, e alle violenze perpetrate verso gli uomini si aggiungono quelle
sessuali: dagli insulti, ai palpeggiamenti, agli stupri. Uomini e donne trattati come strumenti, oggettivizzati in un sistema di vera subordinazione patronale, discriminazione, violenza.
Nelle diverse forme di sfruttamento il controllo, il silenzio,
l’umiliazione, l’intimidazione, il ricatto rappresentano strumenti
generalizzati di pressione e repressione tese a rafforzare l’isolamento
ed evitare forme di ribellione”, dice Margherita Romanelli,
Coordinatrice programmazione strategica, advocacy e partnership di
WeWorld.
È in questo contesto che dobbiamo leggere la morte di Satnam Singh. È il risultato di un sistema dove convergono gli obiettivi economici di riduzione all’osso dei costi, il razzismo in cui gli immigranti, specie se di origine lontane, sono ritenute persone di categorie inferiori secondo una precisa gerarchia su base etnica e un quadro di leggi, a partire dalla Bossi-Fini sull’immigrazione e i successivi provvedimenti repressivi che ostacolano la regolarizzazione dei migranti sul territorio, emarginandoli e ghettizzandoli pur rappresentando forza lavoro ampiamente impiegate in molti settori come l’agricoltura.
Si incarna in un modello economico estrattivista, caratterizzato da catene del valore lunghe e spesso opache, altamente competitive e dominato da concentrazioni di potere di mercato, inclusa la grande distribuzione, in cui la produzione del prodotto agricolo viene remunerata non più del 5% (ISMEA, 2019) del prezzo di vendita. In alcuni casi trovano spazio anche le agromafie con un business che in in Italia vale 24,5 miliardi di euro l’anno (Eurispes, 2018).
Non va dimenticata la connivenza culturale delle comunità in cui i migranti vivono e lavorano che “tollera” meccanismi di sfruttamento e assicura benefici non solo agli imprenditori agricoli, ma anche a chi affitta agli immigrati immobili senza contratto, o gode di servizi di badantato irregolari e a basso costo.
Non vogliamo tacere che la presenza sul territorio italiano di pratiche fortemente lesive della dignità e dei diritti e continui ad essere sottovalutata, dal governo italiano e dalle relative politiche migratorie e del lavoro.
Da tempo si denuncia la situazione nell’Agro Pontino. E’ necessario alzare la voce e avanzare richieste di intervento urgente alle istituzioni. WeWorld è al fianco dei migranti e delle migranti che subiscono tali violenze, nella provincia di Latina, e in altre campagne italiane.
Chiediamo interventi diretti e decisi per condannare e sradicare lo sfruttamento di tutte le persone nei posti di lavoro con l’aumento delle risorse per assicurare maggiori controlli, una più efficace applicazione della legge sul caporalato e sulla sicurezza sul lavoro, un effettivo meccanismo che condizioni l’erogazione di finanziamenti in agricoltura all’osservanza di leggi sui diritti del lavoro ed umani in linea con la nuova Politica Agricola Comune. È urgente assicurare una completa protezione per chi denuncia e per le vittime. Inoltre, è necessario rivedere il quadro legislativo sull’immigrazione che deve essere teso a tutelare i diritti e la dignità in particolare di lavoratori e lavoratrici marginalizzati e più vulnerabili.
Il Governo si adoperi anche per una legge italiana ambiziosa che recepisca la recente direttiva sulla dovuta diligenza d’impresa in materia di diritti umani
(CSDD), capace di prevenire ogni forma di sfruttamento e assicurare un
più completo risarcimento delle vittime. Come spieghiamo in Imprese e
Diritti umani. Un sistema in movimento verso la direttiva Ue (Secondo
Rapporto dell’Osservatorio permanente sulle politiche e strategie delle
imprese in materia di Diritti umani (Oiidu, 2024) la legge potrebbe
offrire un ulteriore prezioso strumento contro il caporalato e le gravi
forme di violazione dei diritti umani nelle pratiche aziendali.
Inoltre, se parallelamente non si agisce sui processi culturali che
producono forme di disumanità che ci consegna la tragedia di Singh non
si riuscirà a fare un vero cambiamento.
Tutto questo non può essere fatto senza il coinvolgimento attivo della società civile, delle associazioni dei migranti, dei sindacati, delle istituzioni e comunità locali. WeWorld continua a lavorare su tutti i livelli con la sensibilizzazione, la denuncia, la richiesta alle istituzioni e al settore privato e ai consumatori di abbracciare convintamente modelli di sviluppo tesi al benessere e ad una convivenza sostenibili.
USARE LA LINGUA IN POESIA VUOL DIRE SPOGLIARLA E INTENSIFICARLA.
Usare la lingua in poesia vuol dire spogliarla e intensificarla: un poeta di oggi quando sente il rumore di fondo dell'epoca e quali sono i meccanismi che nella scrittura si mettono in moto per disinnescare i disturbi di una lingua sclerotizzata, di parte, intrisa d'odio e di banalità?
martedì 2 luglio 2024
La letteratura può raccontare una vita?
La consistenza fisica della scrittura. Siamo fatti della lingua che impariamo
Tommaso Giartosio spiega come la formazione del proprio vocabolario dica tanto anche di sé. La mente corre a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, uno dei libri canonici del nostro ’900
La letteratura può raccontare una vita? Quali strumenti può adoperare per farlo? Sono domande che innervano la storia della letteratura da secoli e che hanno trovato varie, provvisorie, risposte: per esempio Petrarca con il Canzoniere tenta di destrutturare sonetti e canzoni per esprimere la propria condizione psicologica, Goldoni scrive le sue lunghe Memorie dall'esilio volontario in Francia ricostruendo l'intera sua vita alla luce del teatro, Foscolo differisce la sua autobiografia attraverso il celebre alter-ego di Jacopo Ortis.
Si tratta solo di un campionario minimo in grado però di testimoniare la tensione che unisce letteratura e racconto di sé, un binomio destinato a esplodere e percorrere strade nuove nel Novecento, quando l'identità umana è messa in crisi e il racconto di sé non può che essere frammentario, una condizione espressa bene dalla formula profetica di Rimbaud «Je est un autre» (e d'altronde, come ha scritto lo psicoanalista Jacques Lacan, «i poeti, che non sanno ciò che dicono, è ben noto tuttavia dicono sempre le cose prima degli altri»).
Se dunque la formula di Rimbaud è emblema della difficoltà ineludibile di raccontare un Io mosso da forze che lo stesso soggetto non riesce a conoscere, si moltiplicano allora le forme attraverso cui provare a catturare quell'Io, ingabbiare questa materia sfuggente, raccontare, appunto, la propria vita attraverso la letteratura. Uno dei modi, forse più complessi, certamente più affascinanti, per farlo è quello di costruire una narrazione che si concentri sulla crescita e sullo sviluppo della propria lingua, una materia che prende forma nell'intimità dell'individuo ma si nutre anche di tutto ciò che lo circonda, in primis la rete di relazioni famigliari, l'incidenza nella memoria di alcune delle cose che accadono nel passato e la presenza di vocaboli che si legano in maniera decisa a certi momenti o a certe persone.
Un atlante del linguaggio
Tommaso Giartosio con Autobiogrammatica (minimum fax), entrato in dozzina allo Strega, ha deciso di percorrere questa strada impervia, convinto, come emerge dal libro, che provando a raccontare la formazione della propria lingua si possa raccontare anche la propria vita, che il racconto di sé passi obbligatoriamente dal racconto di come si siano formati i materiali e gli strumenti che rendono questo processo di scrittura possibile in questa forma. Da questo punto di vista in effetti Autobiogrammatica («disegnare un atlante del linguaggio di un singolo individuo: cioè del suo modo di sentire e vivere la lingua» la definisce l'autore) è una sorta di autobiografia linguistica perché se è vero che Giartosio narra alcuni eventi che hanno a che fare con i membri della sua famiglia e con i luoghi da loro frequentati (la lingua del padre, segnata da un'ufficialità che rispecchiava il suo mestiere e il suo ruolo nella famiglia, la lingua della madre che si concretizza nelle formule lessicali che ruotano attorno al cibo, parole che, scrive Giartosio, «più spesso mi tornano alla bocca, non posso risputarle, non riesco a disarmarle, non voglio disamarle», la tensione che abita i vari capitoli del libro è segnata dal tentativo di restituire sulla pagina gli svolazzi inafferrabili della lingua nella sua sedimentazione e costruzione, una lingua intesa come «sistema contraddittorio ma non insensato, marchingegno che per ora funziona, carrozzone che va».
La lezione di Natalia Ginzburg
Anche per questo, pur inserendosi nell'affollato e saturo alveo della narrazioni autobiografiche famigliari, Giartosio offre una via nuova a questo racconto di sé, che da un lato si ricollega a grandi e magistrali narrazioni linguistico-autobiografiche del passato, dall'altro ne assembla la forma classica con elementi contemporanei.
La mente corre chiaramente a uno dei libri “canonici” del Novecento italiano, Lessico famigliare di Natalia Ginzburg (tra l'altro Premio Strega nel 1963), a cui Autobiogrammatica si avvicina per l'idea che si possa raccontare una storia famigliare attraverso la sua lingua privata («intuizione elementare e penetrante come una spilla da balia»), un'opera che riesce nel miracolo di rendere universale il gergo privato della famiglia Levi composto da neologismi, slittamenti di significato o parole inventate.
Giartosio sembra fare sua questa possibilità di lavoro sul linguaggio, ma nello stesso tempo sceglie di percorrere una strada parallela che si fonda su un gioco tra lo scrittore e il lettore, con il primo che innerva la sua narrazione di un universo estremamente personale e il secondo che, a patto di muoversi sulla stessa frequenza, insegue il senso universale di questa lingua che, nel suo affastellarsi continuo tra un capitolo e l'altro, e quindi dentro la formazione del protagonista, i suoi amori, le sue amicizie, i suoi rapporti famigliari e quant'altro, offre pian piano un mosaico in grado di palesare un ritratto così intimo da far credere ancora nelle possibilità rivelatorie della letteratura.
La lingua dell’infanzia
Il racconto di Autobiogrammatica procede rigoroso e preciso, si presta a una commistione omogenea con elementi che ne arricchiscono il volume (da piccoli disegni a pagine di diario, parole che si muovono in maniera quasi calligrammatica o piccole immagini) e presenta al lettore questioni che oltrepassano il racconto strettamente autobiografico, con riflessioni sulla scoperta della morte e della mancanza («la più acuta e la più vuota delle esperienze sensoriali – quando tendi le falangi e sull’apice dei polpastrelli quell’altra mano, quel corpo, c’è solo nel suo non esserci»), sulle forme e le parole dell'infanzia («Cos’è la lingua dell’infanzia? Del tempo dell’in-fari, del non parlare? È lalingua, lallingua, lallallingua. La-lin-gua. Lattea, liquida, slittante, slinguante. Lallazione e salivazione. Balbettio e bava. Parola e palato. Detti e denti») oppure sul linguaggio animale («Quante volte mi ha incantato il fatto che la voce degli animali e quella dei poeti, entrambe fatte di suono ben prima che di significato, siano dette versi!»).
Pian piano Autobiogrammatica diventa una riflessione sulla
consistenza fisica della scrittura e su come la lingua si sedimenti
creando un percorso personale di accesso al mondo ponendosi così,
all'interno del panorama letterario contemporaneo, come suggestiva e
nuova via al racconto di sé.
lunedì 1 luglio 2024
REVIEW: PARADISO DI MICHELE MASNERI, ADELPHI
Un viaggio iniziatico, in cerca di un’intervista impossibile, nei
meandri di un giardino segreto da cui, una volta entrati, non si riesce
più a uscire. Una serie di personaggi esilaranti. La scoperta di una
voce nuova, fresca e irriverente, della narrativa italiana.
Il libro
Nel «giorno più caldo di una delle estati più calde che si ricordino», Federico Desideri, giovane giornalista di belle speranze ma di scarse soddisfazioni, riceve dal direttore della rivista «di nicchia» con cui collabora l’incarico di andare a Roma a intervistare un famoso regista, autore di un film di strepitoso successo al centro del quale giganteggia un memorabile, fascinoso cialtrone. Federico scoprirà ben presto che il regista è latitante, ma in compenso, nel corso di una serata mondana, gli verrà indicato colui che di quel personaggio si dice sia stato il modello: Barry Volpicelli. Sorta di psicopompo a metà strada tra un pifferaio magico e il Bruno Cortona del Sorpasso, Barry condurrà Federico in un luogo incantato: il Paradiso, immenso compound di ville e bungalow sgarrupati sul litorale laziale, dove vive in compagnia di un ristretto gruppo di vecchi freak amabili e strampalati. Un ambasciatore che accumula prodotti di discount, un ginecologo a riposo che alleva galline ornamentali, il principe Gelasio Aldobrandi che – in preda a una perenne angoscia «misticoaraldica» – persegue il sogno irrealizzabile di un erede, una coppia di lesbiche che rimpiangono i giorni fasti in cui venivano invitate in Vaticano da papa Ratzinger, una ex bellona che accusa l’intero cinema italiano di averle rubato le idee e, non ultime, la prima e la seconda signora Volpicelli. Fra interminabili conversazioni di delirante futilità, e una notte in cui qualcuno rischia di uccidere uno degli ospiti, fra l’arrivo di una celebre influencer e una morte sospetta, molte sono le cose che il giovane Federico vedrà e imparerà durante il suo soggiorno al Paradiso. Fino al momento in cui si renderà conto di non poterne, o non volerne, più uscire.
L'Inferno può essere il Paradiso, è il paradosso in cui ti trascina Michele Masneri nel suo ultimo romanzo, così grottesco da essere tremendamente vero, così divertente da essere tragico.
Nelle sue pagine scorre quel sublime insieme di
eleganza e ripugnanza che lo accumuna da una parte alla città di cui
parla, Roma, dall'altra ad alcuni autori che l'hanno sublimata nella
loro scrittura pur affondando le proprie radici nella natia Milano, come
Carlo Emilio Gadda e Giorgio Manganelli.
Da Milano e verso Roma
viaggia anche Federico Desideri, giornalista appena trentenne, anzi
trentunenne, ed aspirante scrittore, che ad un certo punto, proprio nel
giorno del suo compleanno, viene spedito per misteriosi motivi dal
direttore della rivista per cui lavora, Comic sans, da Milano a Roma
appunto sulle tracce di un regista premio Oscar che abita a Piazza
Vittorio, Mario Maresca.
Impossibile non leggere tra le righe le
similitudini tra Maresca e Paolo Sorrentino, così come è impossibile
non cogliere in Barry Volpicelli, scalcagnato dandy dalla Rolls Royce di
seconda mano, l'eco di quel Jep Gambardella protagonista de La grande
bellezza. Del resto Paradiso è un romanzo che viaggia tra mille rivoli
di citazioni che vanno dal cinema alla letteratura, muovendosi tra le
mura di una città inflazionata dalle riproduzioni, dove ad ogni abitante
scorrono nelle vene le rovine dell'antica Roma e tutto quello che è
venuto dopo, lasciando un prezioso obolo a Federico Fellini.
I
riferimenti fanno parte della gioiosa rete delle similitudini in cui
questo romanzo riesce a catturare in modo del tutto originale il
lettore, trascinandolo continuamente dall'alto in basso. È un po' lo
stesso destino del suo protagonista: Federico è pronto a compiere un
viaggio, anzi ad abbandonarsi ad un viaggio paradossale tra terrazze
romane e ristoranti di Sabaudia, tra case principesche e desolata
periferia, che lo porterà dritto dritto verso quel Paradiso da cui non
vorrà più tornare indietro. Lì troverà una squadra di squinternati
personaggi, che lo accoglieranno come si accoglie a Roma chiunque perché
si ha sempre l'impressione di averlo visto prima, con il garbo
scanzonato dell'aristocrazia decaduta.
Masneri non fa sconti a
nessuno, e con una scrittura politicamente scorretta riesce a costruire
un affresco sublime della futile essenza di una società che cerca solo
un capolinea purché sia affacciato sul mare. Si esattamente come il
Paradiso.
Michele Masneri presenta Paradiso - in libreria dal 18
giugno - a Roma con Annalena Benini e Francesco Piccolo, letture di
Iaia Forte Roma, Libreria Spazio Sette il 17 giugno alle 18.30.
REVIEW: SULLE DONNE DI SUSAN SONTAG, EINAUDI.
SUSAN SONTAG
SULLE DONNE
Einaudi
Stile Libero Extra
pp. 201
a cura di David Rieff - traduzione di Paolo Dilonardo
«Se le donne cambieranno, gli uomini saranno costretti a cambiare. Ma
non lo faranno senza opporre una considerevole resistenza. Nessuna
classe dominante ha mai abdicato ai propri privilegi senza lottare».
Uguaglianza, bellezza, invecchiamento, sessualità, fascismo. Ancora
attualissimi, i saggi sulle donne di una delle pensatrici piú
formidabili, originali e influenti del Novecento sono una chiave
irrinunciabile per comprendere la modernità.
Il libro
«Le idee piú interessanti sono le eresie», scriveva Sontag e i testi qui raccolti ne sono la dimostrazione. Sulle donne riunisce per la prima volta i pezzi piú importanti sulla questione femminile pubblicati da Sontag tra il 1972 e il 1975. Pagine seminali con le quali Sontag, come dice Benedetta Tobagi nella splendida prefazione, «dimostra una capacità critica che combina le qualità di una mente affilata e l’attitudine caratteriale a essere sempre e comunque una “scrittrice antagonistica, una scrittrice polemica”».
Invecchiare: due pesi e due misure
Il terzo mondo delle donne
La bellezza di una donna: fonte di discredito o di potere?
La bellezza: come cambierà?
Fascino fascista
Femminismo e fascismo: uno scambio epistolare tra Adrienne Rich e Susan Sontag
L’intervista a «Salmagundi»
La scrittura lucida, direi cristallina, di Susan Sontag, ritrova tutta la sua straordinaria attualità in una serie di saggi e interviste 'Sulle donne' ora meritoriamente proposte in un unico volume da Einaudi Stile Libero, sempre a cura del figlio David Rieff che ne ha celebrato il talento, qui nella traduzione di Paolo Dilonardo.
Come sottolinea Benedetta Tobagi nella prefazione al volume, "cinquant'anni e non sentirli - purtroppo, vien da dire". Si tratta infatti di testi scritti e pubblicati tra il 1972 e il 1975 che "conservano sotto molti aspetti una spiazzante attualità". Ad esempio in ''Invecchiare: due pesi e due misure'' Sontag parla della differenza nella concezione sociale del passare del tempo rispetto alla percezione del maschile e del femminile, rilevando che "tutte le moderne società urbanizzate - a differenza di quelle tribali o rurali - disdegnano i valori della maturità e ricoprono di onori le gioie della giovinezza".
In un mito dell'eterna giovinezza appunto che via via assume quasi i caratteri della patologia. In un mondo non ancora segnato dall'ossessione dei social network - ma del quale l'autrice già percepisce il cammino verso la dimensione fluida - le donne che descrive la scrittrice sono ostaggio di una società che "offre alle donne che invecchiano meno gratificazioni di quelle concesse agli uomini" e per le quali "l'invecchiamento è un umiliante processo di graduale squalifica sessuale". Per Sontag dunque "le donne dovrebbero permettere al loro volto di mostrare la vita che hanno vissuto. Le donne dovrebbero dire la verità", liberandosi dalle schiavitù del ruolo che ha nella falsa bellezza e nella falsa fragilità un suo cardine fondamentale, che ancora resiste in parte, se non del tutto, a cinquant'anni di distanza.
Ad oggi gli obiettivi che pone Sontag sono solo in parte realizzati, come quello della parità salariale. La scrittrice chiede ad esempio che sia possibile l'accesso ad ogni tipo di professione e di lavoro, anche quando si tratta di ruoli basati sulla forza fisica, aspetto sul quale si sono senza dubbio fatti passi in avanti. Lei chiede però "un mutamento non meramente riformista ma radicale"', concettualmente radicale, che ad oggi ancora non c'è stato. A partire dall'idea stessa di famiglia ad esempio, a suo avviso "un disastro psicologico e morale. Una prigione di repressione sessuale, il terreno di gioco di un incoerente lassismo morale, un museo di possessività, una fabbrica di sensi di colpa, e una scuola di egoismo". Qualcosa insomma in cui non è difficile immaginare la violenza dei femminicidi che sono una piaga di drammatica attualità.
In tutto ciò un tema fondamentale che Sontag ripropone è quello del sostegno di genere, perché a suo avviso "la prima responsabilità di una donna 'liberata' è quella di vivere la vita più piena, più libera e più immaginativa possibile. La seconda è la solidarietà nei confronti delle altre donne". Un cammino che, come sottolinea Benedetta Tobagi nella bella prefazione, "è profondo e spesso doloroso", un "tassello indispensabile e irriducibilmente singolare dentro a una grande marcia in cui si avanza soltanto insieme".
REVIEW: ATTACCARE LA TERRA E IL SOLE DI MATHIEU BELEZI, FELTRINELLI.
Il momento più terribile della colonizzazione francese nell'Algeria del XIX secolo, quello della conquista.
Lo racconta lo scrittore francese Mathieu Belezi in tutto il suo orrore e violenza, nel romanzo 'Attaccare la terra e il sole' appena arrivato in libreria per Gramma Feltrinelli, nella traduzione di Maria Baiocchi.
"Di quella situazione iniziale, di quando i francesi si
sono stabiliti per la prima volta in Algeria non se ne parla o se ne è
parlato pochissimo anche nel cinema e nella letteratura.
L'epoca della conquista è stata resa invisibile in Francia.
Perché? Mi sono interrogato a lungo su questo silenzio" dice all'ANSA
Belezi che vive tra Parigi e Roma e all'Algeria ha dedicato una
tetralogia di cui questo è l'ultimo coinvolgente volume e il primo ad
uscire in Italia. Per Gramma è prevista l'uscita anche degli altri tre.
"Bisogna tener presente che nel XIX secolo dovunque in Europa circolava
l'idea di razze inferiori e superiori e sono partito da questo. I
francesi in patria si riempivano la bocca di parole come libertà,
eguaglianza, fraternità, ma all'estero e da paese colonizzatore si sono
comportati in modo orribile. C'era il mercato delle orecchie mozzate
agli algerini del territorio e le persone, di ogni genere ed età, che si
rifugiavano nelle grotte per sfuggire ai proiettili, venivano
affumicate. Quello che si legge in questo libro e negli altri che
compongono la tetralogia algerina, è verificabile e confermato
storicamente" sottolinea Belezi che si è molto documentato, ha letto i
racconti dei coloni francesi del tempo e dei soldati. Con questo libro è
atteso il 7 giugno al Piccolo Teatro Grassi di Milano per La
Milanesiana, l' 8 giugno a Villa Bardini per La città dei lettori a
Firenze e l'11 giugno a Torino, al Circolo dei lettori.
'Attaccare la terra e il sole' è strutturato a capitoli alternati, a due
voci: quella della contadina Seraphine che parte con la famiglia da
Marsiglia e vede infrangersi le promesse di felicità in un territorio
divorato dal colera e dalla barbarie e quella di un soldato francese
asservito alla crudeltà del suo capitano che sbraita "non siamo angeli".
"La sofferenza della guerra si sente attraverso la voce delle
donne e dei bambini. Donne rese invisibili come la conquista" spiega lo
scrittore che ci tiene soprattutto a precisare: "non cerco di diffondere
o di dimostrare niente. Cerco sempre nei miei libri di trovare delle
voci. Per quella di Seraphine, che fa da contrappunto, c'è voluto molto
tempo, quasi un anno, mentre quella del soldato è arrivata subito. Ma io
lascio liberi i miei personaggi ed è questo che mi interessa nel fare
letteratura".
Guerra e violenza ci riportano all'oggi: "Sono
convinto che gli uomini, con la 'u' minuscola, abbiano bisogno della
guerra ad un certo punto e così siamo sempre nel Medioevo. Sappiamo un
decimo di quello che accade nelle guerre con cui siamo alle prese, in
Ucraina e a Gaza. Sapremo veramente cosa è successo in futuro, non ora.
Metti in mano ad un uomo un fucile d'assalto e si sentirà il re del
mondo. È quello che succede nel libro. Se questo pianeta fosse popolato
solo da donne non avremo mai avuto una guerra" sottolinea Belezi che è
nato a Limoges, ha insegnato in Louisiana, in Usa e ha vissuto in
Messico, Nepal e India.
Attaccare la terra e il sole, uscito in
Francia per Le Tripode, diventerà un film, ma trovare un editore non è
stato facile. "È stato rifiutato in Francia da cinque grossi editori. Ad
un certo punto mi sono detto 'continuo, ma forse non pubblicherò più un
pagina. Scriverò per me" racconta lo scrittore che dei precedenti
volumi ha venduto "3-4 mila copie a titolo. Credo che il problema sia la
promozione. Per la tv francese non esisto, in radio sono molto presente
e anche sui giornali. L'editore Actes Sud ha fatto un'edizione
scolastica senza censure. Non so se arriverà anche in Algeria, ma anche
lì non mi sembra abbiano molta voglia di parlare di questa faccenda. La
regista del film sarà una donna che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia,
ma non posso dire il suo nome" racconta. Mentre il primo libro della
tetralogia 'C'etait notre terre' (Era la nostra terra) "diventerà un
grande spettacolo teatrale per la regia di un'altra donna, Celie Pauthe"
annuncia lo scrittore che ha appena iniziato un nuovo libro
sull'Algeria.
LA VITA DI CALVINO E I SUOI LIBRI DI LUCIO GAMBETTI, LUNI
Italo Calvino e i suoi libri – “Che barba fare lo scrittore”
*
Lucio Gambetti, con questo libro straordinario per ricerca e “tassonomia” di tutti gli scritti di Calvino, traccia la storia e la vita di questo grande scrittore a partire da questa premessa, quasi in punta di piedi, limitando al minimo indispensabile l’intromissione nella sua vita privata.
*
Scrive Gambetti nell’introduzione: «Una tra le sintesi più efficaci utilizzate per definire l’editoria letteraria nel secolo scorso è stata quella che ha interpretato il Novecento come il secolo dei “letterati editori”. Tra le numerose figure che hanno ricoperto questo ruolo, Italo Calvino è stato certamente, per la seconda metà del secolo, uno tra i pochi che sono riusciti a far convivere il ruolo di scrittore con quello di editore, senza che il secondo impoverisse il primo».
*
Anche in considerazione di questo doppio ruolo l’obiettivo di questo libro è quello di ricostruire il percorso intellettuale di Calvino e la sua carriera di scrittore e di editore attraverso i libri che ha scritto ma anche attraverso quelli che, nel corso della sua attività editoriale, ha curato direttamente o ha pubblicato nelle collane da lui dirette.
La raccolta iconografica qui contenuta presenta al lettore per la prima volta in un corpo unitario tutti i libri scritti, curati e/o tradotti da Calvino, nonché, quasi interamente, quelli ai quali ha partecipato con scritti o racconti d’occasione.
*
Lucio Gambetti vive a Genova e si occupa da anni di bibliografia e di storia dell’editoria.
L'obiettivo è "ricostruire il percorso
intellettuale di Calvino e la sua carriera di scrittore con
pochi e limitati dettagli biografici, ma soprattutto attraverso
i suoi libri, intendendo con 'suoi libri' sia quelli da lui
scritti sia quelli curati", spiega Gambetti nell'introduzione.
Pagina dopo pagina, si delinea il profilo, dalla giovinezza alla
maturità: dai sei che prendeva a scuola a quando, poco dopo il
diploma di maturità, si diletta a scrivere recensioni a film
come San Giovanni decollato, con protagonista Totò.
Calvino si laurea con una tesi su Conrad e il voto di 103 su
110, legge l'Orlando innamorato, il Don Chisciotte, il Barone di
Münchausen, tre classici fonte d'ispirazione per Il visconte
dimezzato: "Nel 1951 … mi sono messo a scrivere come mi veniva
più naturale cioè inseguendo i ricordi delle letture che
m'avevano più affascinato fin da ragazzo … Anziché sforzarmi di
costruire il libro che io dovevo scrivere … preferii immaginarmi
il libro che mi sarebbe piaciuto leggere… volevo soprattutto
scrivere una storia divertente per divertire me stesso e
possibilmente per divertire gli altri", rivelava Calvino.
Alternava a momenti di estrema simpatia, in cui era divertentissimo, quasi buffo e paradossale …pause in cui si faceva taciturno e lontano, in cui sembrava non avesse anima né sentimenti". Calvino, quando parlava di sé, si paragonava a Palomar:"E' una proiezione di me stesso. Questo è il libro più autobiografico che io abbia scritto, un'autobiografia in terza persona: ogni esperienza di Palomar è una mia esperienza."