L’idiota
EINAUDI
Il libro
Selin ha diciotto anni e grandi aspettative, ma non è una diciottenne come tutti, o almeno cosí crede. Lei è la ragazza prodigio che ha letto sempre un libro piú degli altri, e pensa di aver già fatto ogni esperienza possibile attraverso le pagine dei romanzi che ama. Ma al primo anno di università scoprirà che purtroppo le persone non sono personaggi e forse le certezze dei libri non sono poi cosí certe. Scoprirà che l’amore è piú strano, banale eppure complesso di quanto si potrà mai leggere. Scoprirà di essere un’idiota, come tutti.
Nel 1995, mentre il mondo impara a usare le email e a comunicare via internet, Selin è una matricola a Harvard. Per lei comunicare, con o senza internet, è sempre stato un problema. Il suo rapporto con il mondo passa soltanto attraverso i romanzi: e cosí tutto della vita universitaria le pare assurdo. Il cavo Ethernet della connessione di dipartimento serve per impiccarsi? Se si compra tequila per la festa, come mai anche il sale? E perché nessuno si rende conto di desiderare solo ciò che non può avere? Quando però incontra Ivan tutto cambia. E per la prima volta capisce quanto è bizzarro e doloroso il desiderio e quanto è difficile ottenere ciò che si vuole davvero. Elif Batuman fa, con una grazia e un umorismo davvero unici, qualcosa di straordinario: il racconto della giovinezza. Di quel tempo, cioè, in cui ogni esperienza ci viene incontro come se fosse la prima volta, di quell’epoca della vita (l’unica) in cui impariamo tutto, sempre, in ogni momento. Ma anche di quell’età di cui, come diceva Proust, non ripeteremmo nulla, di quei giorni che rivisti oggi, per quanto offuscati dal filtro della nostalgia, ci appaiono come una lunga e disperante sequela di errori, passi falsi, malintesi. Di idiozie. Un tempo pieno di noia e giri a vuoto, ma che allora ci sembrava pieno di senso, decisivo, eccitante (domanda: quindi cos’è che rende significativi certi fatti della vita e altri meno? Non sarà forse il modo in cui li raccontiamo, dice Batuman, il modo in cui ne facciamo letteratura?) Batuman è una delle scrittrici piú intelligenti, taglienti e argute che ci siano in circolazione. L’idiota è il suo primo romanzo ed è stato inserito in praticamente tutte le liste dei libri migliori dell’anno, oltre a essere stato finalista al Pulitzer, al Women’s Prize for Fiction e ad altri premi. Ma c’è una cosa che questa lista di riconoscimenti non dice: L’idiota è il libro piú divertente che potrete leggere quest’anno. Riassumendo, in questo libro il lettore appassionato e curioso troverà: i mixtape e le cassette musicali come accettabile forma di comunicazione sentimentale; l’emozione di un nuovo mezzo di comunicazione: l’email; una riflessione su come trasformiamo l’esperienza in romanzo; la semiotica e René Girard; Björk e Flaubert; il racconto di un amore infelice, quello con Ivan, e di un amore felice, quello con la letteratura; un’elegia per gli anni Novanta; la struggente, dolcissima nostalgia per la giovinezza e la gioiosa incredula constatazione che, grazie a Dio, alla giovinezza siamo sopravvissuti.
RECENSIONE
L’Idiota è l’esordio letterario di Elif Batuman, americana profondamente ancorata alle sue radici turche. Un romanzo a metà tra la formazione e l’autobiografia, che si pone in diretta continuità rispetto alla precedente raccolta di saggi I Posseduti. Due titoli che rimandano all’amore per la letteratura russa, nella fattispecie a Dostoevskij, anche se la parabola della giovane Selin ne L’Idiota trova più spesso riscontro – in maniera sicuramente meno tragica- nella figura di Anna Karenina di Tolstoj.
Il romanzo è ambientato negli anni ’90 e ammantato da una patina di nostalgico ottimismo: su tutta la narrazione incombe la radiosa prospettiva dell’avvento di internet, la magia della posta elettronica e delle nuove forme di comunicazione. La protagonista è l’alter-ego dell’autrice: Selin, figlia di turchi trapiantata in America, è una matricola curiosa e impulsiva, con una tenace predisposizione all’indagine letteraria. Questa tendenza si manifesta seguendo due traiettorie diverse. Da una parte, Selin ripone fiducia nello studio della linguistica come scienza applicata, possibile chiave di comprensione dei meccanismi del linguaggio. In seconda istanza, la studentessa è fatalmente attratta dalla letteratura russa, densa di domande senza risposta e di questioni morali elettrizzanti quanto disturbanti.
Batuman conduce il racconto di formazione sottolineando proprio tale necessità: Selin esige soluzioni concrete dai romanzi, vuole trovare una corrispondenza esatta nelle forme della letteratura. La protagonista concepisce le grandi storie come esperienze a sé: è inorridita dagli accademici che ne praticano la dissezione individuando le matrici storico-politiche, aspira a rilevare il mistero che esiste nel rapporto tra linguaggio e mondo. Questa visione fatalista e naif della ragazza si incrina grazie all’incontro-scontro col mondo reale e ingarbugliato delle relazioni umane. I due personaggi principali che Batuman fa incontrare alla sua “eroina” sono complementari e opposti. Svetlana è l’amica onnipresente, che colma Selin della sua vitalità e dinamicità; Ivan rappresenta invece l’assenza, l’alimentazione delle speranze e delle illusioni. Entrambi sono funzionali al racconto di formazione e partecipano all’esperienza delle idiozie, necessarie per l’arduo praticantato dei sentimenti di Selin.
La patina vintage che pervade il romanzo crea un’atmosfera ovattata: lo scambio via mail di Ivan e Selin è lento, procede a singhiozzi e tra molte crisi di nervi. In questo senso, Batuman è brava a collegare il suo personaggio a tutta quelle categorie di donne della letteratura, russa e non, sedotte e perdutamente innamorate. La scrittrice tratteggia un amore fisiologico, che scava nelle viscere e provoca dolori reali. Un’immagine tragica, rapportata ironicamente a quella di una teenager che sperimenta una semplice infatuazione fatta di errori, esitazioni, vibrazioni di desiderio. Tra una lezione di fonetica russa e la lettura di un romanzo, si intreccia un rapporto che è sia concreto che letterario, esaltante e terrificante.
Proprio su questa duplicità Batuman tesse il percorso di Selin, che mette in discussione ciò ha appreso dalla letteratura sulla vita. È un apprendistato continuo e a volte fallace, in cui la giovane rivede la propria autostima, la percezione di sé come possibile oggetto di desiderio, il senso della bellezza. La seconda parte del romanzo ha un respiro più ampio: la protagonista esce dalle aule universitarie per un’esperienza di volontariato estiva nelle campagne ungheresi, a contatto con le diversissime comunità locali. Il gioco dell’amore si riduce allora a una partita a scacchi in cui Ivan e Selin cercano la mossa migliore, in bilico tra la finzione letteraria e l’incapacità di comunicare i sentimenti.
Batuman solleva una serie di interrogativi che ogni giovane appassionato di letteratura si è posta. Lo fa con umorismo, seguendo le gaffes dell’ingenua matricola con la tenerezza e l’indulgenza dello sguardo adulto. Selin e Svetlana che provano a guardare La Corazzata Potemkin, lo sforzo inutile nel conformarsi al consumo di alcool, gli interrogativi linguistici, il seminario di “Mondi Costruiti” in cui ciascuno può mettere in scena ciò che vuole: la galassia di Star Wars o un albergo tutto rosa. La narrazione è accompagnata da uno stile fluido, elegante, venato da ironia e goffaggine.
L’Idiota non è un romanzo nuovo, o quantomeno non è il primo romanzo di educazione letteraria e sentimentale che ci capiterà di leggere. Tuttavia, ha l’innegabile pregio di essere un romanzo vero, nella misura in cui è vera e in carne ed ossa una matricola a Harvard nel 1995, col suo bagaglio di pulsioni adolescenziali. Quello che ci regala è forse uno sguardo nuovo sul passato, o meglio, sulla nostra maniera di rielaborare gli errori commessi, di conferire loro una sorta di letterarietà. Forse proprio in questa nostra esigenza di costruire costantemente una narrazione di vita si annida il senso ultimo della letteratura, nonché il suo inesauribile mistero.
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