MASSIMILIANO SCURIATTI, ''LE LACRIME DEI PESCI NON SI VEDONO'' (LA NAVE DI TESEO, pp. 222 - 18,00 euro).
Dai miti della Sicilia, dalle sue radici classiche, sino ai nostri giorni, ovvero un racconto in prima persona che parte dal 1949, quando l'io narrante ha 13 anni, e arriva a fine anni '60, con l'Italia del boom economico e in rapidissima trasformazione, nel bene e nel male. E il tema del romanzo è proprio questo, un indagare sul rapporto tra l'uomo la natura, l'industrializzazione e il benessere, puntando l'attenzione su un luogo esemplare di quel periodo con tutti i suoi cambiamenti, nella Sicilia meridionale, dove nacque una delle prime raffinerie petrolifere industriali, mutandone sostanzialemnte la vita e l'economia.
Siamo da Augusta, nel cui mare la leggenda dice che
sono esistite le sirene: siamo un poco più giù e a ovest dello Stretto
mitico di Horcynus Orca di D'Arrigo, della Aci Trezza dei Malavoglia con
la loro 'Provvidenza' che affonda, romanzo che pare, con la sua
dichiarazione di intenti verghiana sulle irrequietudini portate dai
cambiamenti economici, un po' il precedente paradigmatico di questo col
suo verismo di fondo. Qui il saldo cretizzarsi della provvidenza si
rivelerà illusione e naufragio, la nascita della raffineria che porta
lavoro e benessere, auto e lavatrici, tv magari ancora presa e vista
collettivamente, porterà quel mondo da secoli incontaminato, in cui
l'uomo non si misura ma è parte della natura, al naufragio, a esserne
vittima e artefice della sua morte.
Perché tutto questo, che è
storia, abbia un andamento narrativo coinvolgente Scuriatti ha
giustamente sceltola di far partire tutto dall'esperienza di un singolo
raccontata in prima persona, Vittorio Alicata, col suo difficile
crescere, nell'orgoglio di succedere a 13 anni al padre come pescatore
con una sua barca personale, nel suo amore e attaccamento per il mare,
entrando persto in contrasto anche violento con questo genitore
difficile, Biagio Alicata, insoddisfatto, individualista, ribelle che è
stato antifascista e ora è noto comunista e senzadio malvisto, anche se
cederà pure lui alle lusighe economiche del lavoro nell'industria e,
quando riuscirà a essere assunto e penserà di essersi sistemato scoprirà
che quel benessere è letteralmente di un regalo avvelenato. E la sua
famiglia ne sarà colpita in modo particolare.
A avvelenarsi è
innanzitutto il mare, che cambia colore mentre i pesci cambiano sapore e
non si vendono più (quei pesci che muoiono a branchi e i bambini si
chiedono se sentano dolore.
Certo che lo sentono, e allora
piangono? ''Certo che piangono, solo che le loro lacrime non si vedono,
ammiscate, come sono, col mare''). Una tragedia che dovrebbe far da
campanello di allarme per quel che sarebbe accaduto un po' in tutta
Italia con l'industrializzazione selvaggia, prima davvero senza sapere,
poi con la coscienza della gravità delle conseguenze ma, in nome di
profitti e del progresso, cercando all'infinito di nasconderle tanto che
ancora oggi, in alcuni posti come sappiamo, la scelta è tra avvelenarsi
o non lavorare.
Intanto, mentre il suo mondo si modifica e il
suo lavoro in barca diventa sempre più difficile, Vittorio cresce, è
sveglio, sensibile e entra nelle grazie di un professore di filosofia,
Antonio Monaco, che gli dà insegnamenti importanti e gli racconta la
realtà dell'isola, il problema grave della mafia, lui che ebbe un nonno
padrino sanguinario, tanto da arrivare a uccidere il suo stesso figlio.
Allo stesso modo lo mette i guardia dallo spirito fatalista dei
siciliani, ''che attendono sempre qualcuno li tragga in salvo dalle lor
disgrazie'' non avendo mai conosciuto e capito cosa fosse la libertà.
Per questo, invece di usare la ragione e non avendo sapienza della
realtà delle cose fuori del suo paese, Vittorio un certo momento
deciderà di seguire l'istinto, agendo secondo la rabbia e la passione
del cuore. Intraprende allora un avventuroso viaggio, prima in treno,
poi da Napoli su un camion con frutta e verdura, fino a Milano per
parlare col proprietario della raffineria, l'ingegner Castelli (nella
realtà Angelo Moratti), che i paesani avevano tempo prima portato in
trionfo per le vie di Augusta, e accusarlo delle sue malefatte e danni.
Naturalmente un fallimento, ma anche una lezione per crescere, che lo
porta a un ripiegamento su se stesso, alla pacificazione col padre, ma
anche a un finale orgoglio d'indipendenza, sapendo ormai che nessun
padrone concederà qualcosa ma bisognerà conquistarsi tutto con fatica e
dolore.
Tutto è raccontato con una scrittura semplice e rapida,
arricchita da qualche termine siciliano e rari echi di cadenza con l'io
narrante che spesso è più narratore nella visione generale degli
accadimenti in un intersecarsi di realtà storica e finzione nel seguire
le avventurose esemplari vicende personali di Vittorio e della sua
famiglia.
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