UNA VICENDA EPICA E INTENSA CHE LA STORIA AVEVA DIMENTICATO
IL NUOVO GRANDE ROMANZO DI UN'AUTRICE SEMPRE PIÙ APPREZZATA ANCHE ALL’ESTERO
IL NUOVO GRANDE ROMANZO DI UN'AUTRICE SEMPRE PIÙ APPREZZATA ANCHE ALL’ESTERO
Dalla voce potente della creatrice di Teresa Battaglia, un'indimenticabile storia di coraggio, generosità e resilienza femminile.
«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche i villaggi, mille metri più giù. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle.
Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame.
Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore.
Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione.
Risaliamo per ore, nella neve fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. I cecchini nemici – diavoli bianchi, li chiamano – ci tengono sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre saliamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i ’fiori di roccia’.
Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili. Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire.
Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.»
Con Fiore di roccia Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. La Storia si è dimenticata delle Portatrici per molto tempo. Questo romanzo le restituisce per ciò che erano e sono: indimenticabili.
Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di
Udine. Appassionata di pittura, nel tempo libero ha fatto
l’illustratrice per una piccola casa editrice. Nel 2014 ha vinto il
Premio Gran Giallo Città di Cattolica. Il thriller Fiori sopra l’inferno, edito da Longanesi nel 2018, è il suo libro d’esordio. Il secondo romanzo, Ninfa dormiente,
è del 2019. Entrambi vedono come protagonisti il commissario Teresa
Battaglia, uno straordinario personaggio che ha conquistato editori e
lettori in tutto il mondo, e soprattutto la terra natia dell’autrice, la
sua storia, i suoi misteri. Con Fiore di roccia, e attraverso
la voce di Agata Primus, Ilaria Tuti celebra un vero e proprio atto
d’amore per le sue montagne, dando vita a una storia profonda e
autentica, illuminata dalla sensibilità di un’autrice matura e generosa.
RECENSIONE
La guerra - scrive Ilaria Tuti, soggioga un paesaggio. Vi affonda gli artigli stravolgendone i tratti e segnando indelebilmente chi ci vive. Lo sanno bene le Portatrice carniche, di questo romanzo dalle tinte forti, tinte di storia autobiografiche, potente romanzo che racconta di uno spaccato della Storia.
L'anziana espressione del mondo rituale e magico della cultura contadina di Pal Piccolo, ha impresso nella carne le ferite della guerra, mentre le donne lottano contro fantasmi e strascichi (rabbia, deportazione), degli anni trascorsi nelle montagne con i partigiani. Tuti induce a riannodare i fili nel corso della vita, l'ha portata ad una ricerca fra i resti e i frammenti (diari di prigionia e ricordi di sopravvissuti), di quella macchina di morte e alienazione che fu la Guerra.
E' si è fatta narrazione. Che alterna i tempi lenti del quotidiano cadenzato dal ciclo immutabile della natura, all'incalzare vorticoso e ritmato della riappropriazione del passato da parte della voce narrante erede, del ricordo delle donne carniche, ma soprattutto la voce, attraverso la scrittura, di quello stesso passato.
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