giovedì 23 febbraio 2023

RECENSIONE: STUPORE DI ZERUYA SHALEV - FELTRINELLI


Shalev, Stupore tra passato e presente

Rachel e Atara, la vita di due donne e la nascita di Israele

ZERUYA SHALEV, ''STUPORE'' (FELTRINELLI, pp.

316 - 19,00 euro - Traduzione di Elena Loewenthal).

La vita di Atara, protagonista di questo complesso e intenso romanzo di Zeruya Shalev, è alla fine metafora della vita del suo paese, Israele, col grande vitalismo, eppure inquieta tra sensi di colpa e desiderio di superarli e godersi il presente, coinvolta dalla necessità di indagare il passato col suo peso per coglierne il senso e il bisogno, la voglia di amore e di amare. E tutto questo segnato da un senso di lutto, da un coinvolgente rapporto con la morte, al dentro del quale è quella di suo padre Manu Rabin, uomo difficile e dispotico, scienziato di fama internazionale che, in punto di morte, l'ha scambiata per Rachel, la sua prima moglie di cui non si sa più nulla, dicendole parole amorevoli.
    Rachel diviene allora, per Atara che la cerca e vuol sapere cosa successe tra lei e suo padre, l'altra protagonista di questo racconto, in un contrasto tra passato e presente, tra l'impeto giovanile, l'impegno e il desiderio di costruire un futuro e un paese in cui vivere, dopo la guerra e la Shoah, dell'oramai molto anziana donna e il voler capire quel passato della più giovane (che oramai va per i cinquanta anni), la difficoltà di vivere il presente, i sensi di colpa per quel che poteva essere e non è stato, nel suo privato e, possiamo dire, in Israele.
    Detto questa, la forza della Shalev, grande, sottile scrittrice, non è nel pretesto dei racconti storici che man mano si svelano e il loro contesto di sfondo, ma nella costruzione psicologica dei personaggi, nel loro rapporto con i sentimenti verso se stessi, verso i genitori, verso Alex, il secondo marito che muore troppo presto lasciandola sola e con un senso d'amore perduto, verso i figli cui dedica tutte le attenzioni e l'impegno di un amore tenero e disinteressato. Ed è questa scrittura, in terza persona ma che col sentimento e il disvelamento di un monologo, coinvolgente e umanissima, che ritroviamo nella traduzione della Loewenthal, che rende alla fine vero anche tutto il resto.
    Rachel, con Manu, aveva fatto parte di quell'organizzazione combattente, considerata terrorista dagli inglesi, contro cui lottò armi alla mano negli anni '40 per cacciarli dalla Palestina e far nascere lo stato di Israele. Ma i due, dalla vita spericolata, innamorati e uniti dalla passione sionista, coinvolti indirettamente in un attentato in cui muore una giovane che avevano conosciuto, reagiranno nel tempo in modo diverso, arrivando a una rottura senza rimedio, dopo la quale non si rincontreranno mai. E' ''quell'amputazione drastica'' cui Rachel, quasi centenaria, ''si era imposta di non pensare per tutta la vita'', sino a quando non le compare davanti Atara, con quel nome che lei sa bene perché le è stato dato.
    Atara, con una figlia che vive oramai lontana e un figlio che, segnato da qualcosa di incomprensibile, si è arruolato militare in marina, alla fine ritroverà se stessa proprio attraverso Rachel, scoprendosi capace finalmente di dare, proprio quando riesce a riconoscere la forza e il senso di quella ''mancanza'', che è il marito scomparso, ma anche il padre, ma anche la madre e tutta una vita segnata per molti versi dall'incapacità di amare e il frustrante tentativo continuo di riuscirci

 

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