Presentazione del piano dell'opera Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso.
Panorama storico e culturale;
. Torquato Tasso;
. L'attività letteraria;
Temi poetici della <<Gerusalemme>>;
. Linguaggio e stile;
. Traccia narrativa;
Le armi pietose:
. Goffredo e l'Arcangelo Gabriele;
. I crociati in vista di Gerusalemme.
L'animo femminile
. Erminia fra i pastori;
. La morte di Clorinda
Così vince Goffredo
. L'<<altra impresa>> di Rinaldo nella selva incantata;
. La <<solinga guerra>> tra Argante e Tancredi.
TORQUATO TASSO
EINAUDI EDITORE
PRIMA EDIZIONE 1 GENNAIO1971
Prefazione e note di Lanfranco Caretti Collana "Nuova Universale
Einaudi" FORMATO: ca. 18,5 x 12,5 cm. / LXI-677 pagine, rilegato con
copertina rigida e sovraccoperta.
Panorama storico e culturale
Nella seconda metà del secolo XVI, la prospettiva storica generale dell'Europa assume una fisionomia altrettanto tormentata, ma certo meno incalzante, dell'irrequieto inizio del Cinquecento. In particolare per la vita culturale si delinea un quadro ben diverso del Rinascimento, di cui pure può considerarsi sotto certi aspetti un momento di sviluppo e di crisi. Sconfitta la Francia nelle lotte di predominio, dopo la pace di Cambrai (1529) e soprattutto dopo quella di Cateau - Cambrèsis (1559) si stabilisce in Italia la supremazia spagnola, alla quale si oppone solo la prudente politica di Venezia. E' la Spagna di Carlo V d'Asburgo (1500-1558) e soprattutto di Filippo II (1527-1598) che estende a poco a poco il suo sistema di governo sugli stati italiani.
Nel cuore del Mediterraneo riprende intanto, per iniziativa soprattutto degli Spagnoli, la guerra contro i Turchi e, costituitasi la Lega Santa, si giunge alla famosa battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), frutto di una nuova alleanza tra i popoli e le forze politiche dell'Europa cristiana. Nel contempo lo Stato della Chiesa si organizza sempre più saldamente; evitando piccoli conflitti con gli altri principi italiani, tende invece ad ampliare i propri confini, assorbendo nel 1598 anche Ferrara.
La riorganizzazione amministrativa e religiosa della Chiesa reagisce con la Controriforma al disorientamento provocato dai pullulanti moti riformatori, e particolarmente dalla ribellione di Lutero. Soprattutto nelle regioni spagnole e italiane si sentono subito le conseguenze delle definizioni dottrinarie e dei precetti disciplinari stabiliti dal Concilio di Trento (1545-1563). Talvolta questo nuovo orientamento organizzativo corrisponde anche nell'ambito della Chiesa cattolica ad un ravvivarsi sincero del sentimento e della ricerca religiosa, ma più spesso instaura un'atmosfera di ubbidienza esteriore e di conformismo.
Anche la vita letteraria si fa più accademica, seguendo il dettame di regole retoriche e di modelli da imitare, quasi sempre di maniera e imposti dall'esterno. Lo stile si fa eloquente e oratorio, ricco di riferimenti mitologici, sollecitato soprattutto da occasioni encomiastiche, per spirito di cortigianeria. Nella società dell'epoca infatti l'atmosfera dominante è ancora quella della <<corte>>, dove si raccoglie il ceto nobile, ricco e potente. E' un ambiente sfarzoso, già orientato verso quel gusto scenografico del barocco che si svilupperà soprattutto nel Seicento.
In Italia la relativa tranquillità ,ilitare lascia ai signori una larga parte di ozio che è occupato con feste e cerimonie, dove il letterato figura a disposizione delle esigenze di chi lo tiene presso di sè perchè lo diverta o lo elogi, utilizzando a questo scopo anche gli ideali cavallereschi.
TORQUATO TASSO
La biografia di Torquato Tasso si specchia travagliata e personalissima su questo sfondo, e risulta perciò del massimo interesse sia per le vicende esterne che per i riflessi interiori. Il poeta nasce l'11 marzo 1544 a Sorrento da Bernardo Tasso, buon letterato di origine bergamasca e segretario del principe Sanseverino. Quasi a presagio delle molte tappe di pellegrinaggio della sua vita futura, Torquato deve lasciare giovanissimo la madre e la sorella e seguire a Roma il padre in esilio.
Dei numerosi e spesso complicati avvenimenti che accompagnano la vita del Tasso, è conveniente seguirne le tracce collegandoli intorno ai momenti che sembrano fondamentali per lo sviluppo della sua esperienza umana, sentimentale e poetica.
Innanzi tutto va segnalata la sua formazione letteraria, particolarmente a Padova, dove Torquato, pur seguendo gli studi giuridici, s'imbeve anche di una notevole cultura letteraria e filosofica. Questo periodo conduce il Tasso a tentare una prima prova del suo talento di poeta epico-religioso del mondo delle Crociate anzitutto con un'operetta rimasta incompiuta. Del Gerusalemme, e subito dopo con il Rinaldo.
Un'altra influenza di primaria importanza viene al Tasso dal mondo elegante delle <<corti>> che egli frequenta lungo tutto l'arco della sua vita, rimanendone sempre affascinato, anche se l'acuta e inquieta sensibilità del suo animo gli impedisce di accettarne tutte le manifestazioni. Il primo contatto avviene con l'ambiente raffinato di Urbino, che per il Tasso resterà sempre ideale; poi nel 1565 egli passa a Ferrara, nella splendida corte di Alfonso II, dove dal 1572 diviene poeta ufficiale con l'incarico di comporre poesie in lode del suo signore; dopo il 1586 è a Mantova, presso i Gonzaga; poi, con diversi intervalli, a Roma e a Napoli. Le esperienze sono diverse, contrastanti: ma il riferimento alla vita di corte, brillante, aristocratica ed accademica è indispensabile per capire molti atteggiamenti della personalità del Tasso.
L'elenco delle città (e sono soltanto alcune) è già di per sè sufficiente per illuminare un altro tema che percorre la vita del poeta: i viaggi e i trasferimenti numerosissimi, provocati più che da curiosità o da esigenze pratiche, da un senso costante di irrequietezza e di evasione insofferente. Tra partenze e ritorni, l'unico punto fermo resta il costante, appassionato, anche se spesso macerante, lavoro letterario. Ma quando nel 1575 il Tasso porta a termine il suo capolavoro, cui dà il titolo provvisorio di Il Goffredo, egli è esausto, facilmente eccitabile, perchè la sua natura emotiva è messa a troppo dura prova. E' colto da dubbi, angosce, manie di persecuzione. Gli pare di avere commesso errori artistici e di interpretazione religiosa e morale; cerca consigli, si critica, chiede per ben due volte sentenze di assoluzione da parte dell'inquisizione nel timore di essere andato contro i dogmi cattolici. Nel poeta si fanno sempre più evidenti i sintomi della pazzia, che è soprattutto tensione acuta, crisi e delusione. Una sera del 1577, mentre si trova alla presenza di Lucrezia Bendidio, una damigella della corte estense, il poeta lancia un coltello contro un servo da cui pensa di essere spiato. Il Tasso viene allora segregato nel convento di San Francesco, donde poco dopo fugge, riprendendo il vagabondaggio per l'Italia. Ormai egli si sente trascurato, inadatto a vivere quella vita cortigiana che resta pur sempre il suo sogno ideale, e incapace di trarre dal suo lavoro religioso e letterario quel poema cristiano che vagheggia. Nel 1579 il Tasso torna a Ferrara, ma inveisce contro il suo protettore e viene condotto nell'ospedale di S. Anna, dove rimane, più come un recluso che come un ammalato, fino al 1586.
In questo periodo s'accentuano in lui molti conflitti interiori, ma sempre più intesa si sviluppa anche la ricerca della perfezione e il desiderio di raggiungere modelli che non gli diano più motivo di rimorso. Scrive rime e lettere, cerca di rifare il poema che intanto viene pubblicato a sua insaputa in edizione scorretta, dandogli altri motivi di tormentoe di preoccupazione. Dopo nuovi vagabondaggi, solo nell'ultimo periodo egli tende a rasserenarsi: a Roma trova ospitalità presso il nipote di papa Clemente VIII, il Cardinale Cinzio Aldobrandini, cui dedica il rifacimento della Gerusalemme. Ottiene una pensione ma, sempre ammalato, deve esser trasportato dal Vaticano al convento di Sant'Onofrio, sul Gianicolo. Qui, mentre gli si prepara la cerimonia per conferirgli la laurea poetica in Campidoglio, muore il 25 aprile del 1595.
L'ATTIVITA' LETTERARIA
L'attività letteraria del Tasso, pur essendo molto ricca e varia, sembra essere soprattutto determinata da un'ispirazione cavalleresca di tono epico.religioso.
Il Rinaldo, che narra in ottave le imprese e gli amori del giovane Paladino di Francia, è un poema di abile artificio letterario, fragoroso d'armi, scintillante d'avventure, secondo il gusto epico tradizionale. Con l'Aminta, favola boschereccia in cinque atti, il poeta narra l'amore del giovane pastore Aminta per Silvia, fanciulla bella e scontrosa, in un clima idillico e sognante, intriso di amarezze sentimentali e affettuose malinconie. Sono anche i temi che meglio soddisfano il gusto della corte ferrarese, dove l'opera è rappresentata e ottiene successo.
Soprattutto nell'ultimo periodo della vita, la poesia del Tasso assume i toni di un'impegnata religiosità. Ne è un alto esempio il rifacimento della Gerusalemme Liberata, pubblicato nel 1593 con il nuovo titolo di Gerusalemme Conquistata: ma anche altri poemi minori, dal Torrismondo a Le sette giornate del mondo creato, testimoniano questa nuova poetica del Tasso, frutto di un solenne esercizio di stile e di un rigoroso controllo morale e religioso.
La Gerusalemme Liberata, un poema di venti cantiche in ottave, resta in ogni caso l'espressione più importante della poesia del Tasso anche perchè, pur nella sua complessità e ineguaglianza di toni, riassume tutti gli aspetti della sua personalità e della sua poesia.
Da buon cortigiano il Tasso apre il poema con un elogio di Alfonso II d'Este, la cui famiglia viene celebrata attraverso il personaggio di Rinaldo, ma la struttura esterna della Gerusalemme Liberata, che trae spunto dalla Prima Crociata (1096-1099), viene sollecitata piuttosto dalle reazioni europee, e particolarmente spagnola, alla minacciosa presenza dei Turchi nel Mediterraneo.
TEMI POLITICI DELLA <<GERUSALEMME>>
Il Tasso è un poeta che non prescinde mai dalla sua esperienza autobiografica. Nella sua vita tormentata egli ha tentato senza mai riuscirvi di riunire nella sua persona il cortigiano e il sognatore lirico e sentimentale. Così nella Gerusalemme Liberata anche i problemi posti dall'epoca storica sono filtrati e vissuti attraverso la sua acuta e contradittoria sensibilità personale. Da una parte la sua sete di gloria e il suo sogno di sublimi ideali si accompagnano con l'accettazione rigorosa e intimamente vissuta del rinnovamento promosso dal Concilio di Trento, ma dall'altra insorgono nel poeta fermenti ribelli e irrequieti, frutto della sua insofferenza per una vita trascorsa tra corti decadenti, senza nessun approdo sicuro, e ridotta spesso al compromesso, all'ipocrisia, al breve e deludente successo esteriore.
Nel poema epico-religioso si insinua allora il gusto evasivo dell'idillio dove il paesaggio è inteso come un morbido e malinconico vagheggiamento dell'animo e l'amore come un sentimento delicato ma sfortunato, infelice e insidiato da tristi presagi di morte.
Nel poema epico-religioso si insinua allora il gusto evasivo dell'idillio dove il paesaggio è inteso come un morbido e malinconico vagheggiamento dell'animo e l'amore come un sentimento delicato ma sfortunato, infelice e insidiato da tristi presagi di morte.
LINGUAGGIO E STILE
L'instabile sovrapposizione di tendenze diverse si rivela anche nel linguaggio, che già ai tempi del Tasso suscita tra i dotti e i letterati accese polemiche retoriche. Infatti il poeta si compiace spesso di adoperare nel poema parole disusate, in uno stile eloquente e persino artificioso, con immagini grandiose, preludio già del barocco dal tono splendido e sublime, dalla musicalità ampia, variata e indefinita, dalle figure mosse e tormentate; ma si intreccia tuttavia una lingua poetica ricca di sfumature delicate e flessuose, attraverso vocaboli di sonorità emotiva, collocati in una tale posizione da provocare suggestioni prevalentemente liriche.
TRACCIA NARRATIVA
Il poeta segue la cronaca dello scrittore Guglielmo di Tiro che racconta della prima Crociata, liberamente modificandola per trarne un poema eroico. La narrazione comincia con la nomina di Goffredo di Buglione a capo dell'esercito cristiano nella primavera del 1099. Dopo sei anni di lotte, è ormai tempo che i guerrieri crociati portino a termine la grande impresa, e invano tenta di dissraderli con un'ambasceria il re d'Egitto, alleato del re di Gerusalemme. Intanto nelle prime scene vengono presentati sotto le mura della città i principali eroi: tra i cristiani ci sono Rinaldo e Tancredi; tra i musulmani Argante e Clorinda.
La prima parte del poema mostra le difficoltà che si oppongono all'impresa. Le forze demoniache infernali sono tutte schierate a porgere aiuto ai Saraceni, portando scompiglio tra i Crociati: il mago Ismeno suggerisce ad Aladino re di Gerusalemme di togliere dal tempio cristiano una miracolosa immagine della Madonna e di portarla nella moschea. Ma quando di notte l'immagine viene sottratta e Aladino incolpa i cristiani, minacciando vendetta, una delicata giovane, Sofronia, s'incolpa spontaneamente e si offre per salvare gli altri dall'ira del re. A sua volta sospinto da un tenero e segreto amore per lei, un giovinetto, Olindo, vuole morire al suo posto: il re Aladino decide di inviare entrambi a morte, ma interviene generosamente Clorinda, donna sensibile anche se eroica guerriera, che intercede per la salvezza dei due innamorati.
Tancredi intanto durante una sortita a duello con Clorinda di cui è innamorato: la riconosce e le dichiara il suo amore, ma le parole si sperdono nella mischia di guerra. Un altro insidioso incantesimo contro la spedizione dei cristiani viene da parte del mago Idraote, re di Damasco, che invia al campo cristiano la nipote Armida, bellissima e affascinante.
Fingendosi perseguitata, ella chiede a Goffredo di sorteggiare dieci cavalieri che l'aiutino a riconquistare il trono perduto. Ma, sedotti dalle grazie della fanciulla, sono molti di più i cristiani che la seguono nel suo castello sulle rive del Mar Morto abbandonando la santa impresa della conquista di Gerusalemme. Tancredi stesso si trova irretito nella trappola di Armida: vi incappa quando crede di inseguire Clorinda di cui è innamorato, mentre invece si trova sulle tracce di un'altra gentile fanciulla maomettana, Erminia. Costei, sorpresa da una schiera di guerrieri cristiani, fugge e giunge in un idillico ambiente pastorale. Anche Rinaldo, che ha lasciato il campo cristiano per sottrarsi alla punizione di Goffredo, poichè in uno scatto d'ira ha ucciso un suo compagno d'armi, finisce nel castello di Armida. Egli libera gli altri guerrieri, ma è preso dalle arti della maga e condotto in un palazzo delle isole Fortunate, nell'Oceano Atlantico.
Le avversità si accumulano: i cristiani sono persino costretti a riparare nelle tende a causa di una tempesta scatenata dalle forze infernali; una schiera di Danesi guidati dal giovane Sveno è annientata da Solimano; vengono recate al campo le armi di Rinaldo rotte e insanguinate, si sparge tra i guerrieri cristiani la discordia formentata dalla furia.
Tutto pare ormai complottare contro l'esito felice della crociata. Ma proprio a questo punto si ha un provvidenziale intervento divino. L'Arcangelo Michele ricaccia nell'inferno le schiere di demoni che combattono in favore dei saraceni. Mentre Goffredo lotta con estrema difficoltà, arrivano i cinquanta guerrieri che liberati dall'incantesimo di Armida, riprendono a combattere: con loro giunge anche notizia che Rinaldo è vivo perchè proprio lui ha sottratto all'incantesimo gli altri. Pietro l'eremita, il predicatore delle crociate, propone allora un grande rito propiziatorio.
Intorno a Gerusalemme assediata si accende poi una tremenda battaglia al termine della quale, durante la notte, servendosi dell'aiuto del mago Ismeno, Clorinda e Argante incendiano una torre di legno, una macchina d'assalto che i cristiani stanno riparando. Clorinda, che per non farsi riconoscere s'è travestita, dopo la sortita non riesce in tempo a rientrare a Gerusalemme ed è assalita da Tancredi il quale per tragico destino la uccide. Il guerriero cristiano ha avuto la disgrazia di dare la morte proprio a colei che ama: unico conforto è somministrarle il battesimo, dandole così la più duratura vita ultraterrena.
La torre deve comunque essere ricostruita e per farlo bisogna procurare legname. Si va nel bosco vicino, ma purtroppo il mago Ismeno vi ha operato un suo nuovo incantesimo e nessuno riesce a tagliare gli alberi. Occorrerebbe Rinaldo, ma egli è molto lontano, presso Armida che s'è perdutamente innamorata di lui, e lo tiene nel suo palazzo meraviglioso, tra delizie di ogni genere.
Secondo le leggi della struttura epica l'azione va risolvendosi, ma ha bisogno dell'intervento dell'eroe protagonista, prescelto per le sue altissime qualità a portare a termine la missione. Perciò due nobili crociati, Carlo il Danese e Ubaldo, partono, attraversano il Mediterraneo, varcano le fatidiche Colonne d'Ercole e giungono alle isole Fortunate dove riescono a far riconquistare a Rinaldo la coscienza dei suoi doveri di cavaliere e di cristiano; a nulla riescono i disperati pianti di Armida, innamorata delusa.
Rinaldo, ottenuto il perdono dal capo supremo Goffredo di Buglione, prima di ritornare in battaglia, deve prepararsi spiritualmente e dare prova a sè e agli altri di essersi nuovamente meritata la benevolenza di Dio. Anzitutto compie la sua purificazione solitaria nell'atmosfera silenziosa del Monte Oliveto, innalzando a Dio una preghiera di pentimento e di speranza. Così, nuovamente in possesso della grazia, egli può vincere con semplicità l'incanto della <<selva di Saron>>, sbloccando la situazione e dando inizio alla progressiva distruzione del potere demoniaco.
L'esercito crociato, riparate le macchine da guerra, riprende fiducioso l'assalto di Gerusalemme in un duello di furibondo vigore epico. Tancredi uccide Argante, i cristiani penetrano nella città e Rinaldo assalta il tempio di Salomone. Resta ancora aperta la vicenda sentimentale di Armida: la donna, dopo la partenza di Rinaldo, fa scomparire l'intero palazzo incantato, varca l'oceano e giunge in Egitto dove chiede aiuto per vendicare l'affronto fattole dall'eroe cristiano.
L'esercito egiziano si mette in marcia e giunge a Gerusalemme, proprio mentre infuria la battaglia. Si tratta dell'estremo combattimento al quale partecipa la stessa Armida che Rinaldo vede sul suo carro, vestita da guerriera, in mezzo alla mischia, tutta tesa nell'inutile tentativo di colpirlo con le sue frecce. L'esito resta a lungo incerto, ma a poco a poco scompaiono i più validi combattenti musulmani: Aladino muore sotto i colpi di Raimondo, Solimano viene ucciso da Rinaldo. Così volge alla fine <<quell'aspra tragedia de lo stato umano>>: anche l'esercito egiziano abbandona il campo e Armida, rimasta sola, fugge straziata e tenta il suicidio. La insegue Rinaldo raggiungendola in tempo per confortarla con parole di sincerità e di fede: la maga gli confessa l'amore che nutre per lui e si converte al cristianesimo.
L'ultimo scontro, definitivo, è tra Emireno, capo degli egiziani, e Goffredo, che lo stende al suolo. La liberazione della città santa è compiuta. <<Così vince Goffredo>>: la guerra ha termine ed il Capitano entra nel tempio di Gerusalemme dove depone le armi davanti al sepolcro di Cristo.
LA MORTE DI CLORINDA
COSI' VINCE GOFFREDO
L'<<ALTRA IMPRESA>> DI RINALDO NELLA SELVA INCANTATA
LA <<SOLINGA GUERRA>> TRA ARGANTE E TANCREDI
Intorno a Gerusalemme assediata si accende poi una tremenda battaglia al termine della quale, durante la notte, servendosi dell'aiuto del mago Ismeno, Clorinda e Argante incendiano una torre di legno, una macchina d'assalto che i cristiani stanno riparando. Clorinda, che per non farsi riconoscere s'è travestita, dopo la sortita non riesce in tempo a rientrare a Gerusalemme ed è assalita da Tancredi il quale per tragico destino la uccide. Il guerriero cristiano ha avuto la disgrazia di dare la morte proprio a colei che ama: unico conforto è somministrarle il battesimo, dandole così la più duratura vita ultraterrena.
La torre deve comunque essere ricostruita e per farlo bisogna procurare legname. Si va nel bosco vicino, ma purtroppo il mago Ismeno vi ha operato un suo nuovo incantesimo e nessuno riesce a tagliare gli alberi. Occorrerebbe Rinaldo, ma egli è molto lontano, presso Armida che s'è perdutamente innamorata di lui, e lo tiene nel suo palazzo meraviglioso, tra delizie di ogni genere.
Secondo le leggi della struttura epica l'azione va risolvendosi, ma ha bisogno dell'intervento dell'eroe protagonista, prescelto per le sue altissime qualità a portare a termine la missione. Perciò due nobili crociati, Carlo il Danese e Ubaldo, partono, attraversano il Mediterraneo, varcano le fatidiche Colonne d'Ercole e giungono alle isole Fortunate dove riescono a far riconquistare a Rinaldo la coscienza dei suoi doveri di cavaliere e di cristiano; a nulla riescono i disperati pianti di Armida, innamorata delusa.
Rinaldo, ottenuto il perdono dal capo supremo Goffredo di Buglione, prima di ritornare in battaglia, deve prepararsi spiritualmente e dare prova a sè e agli altri di essersi nuovamente meritata la benevolenza di Dio. Anzitutto compie la sua purificazione solitaria nell'atmosfera silenziosa del Monte Oliveto, innalzando a Dio una preghiera di pentimento e di speranza. Così, nuovamente in possesso della grazia, egli può vincere con semplicità l'incanto della <<selva di Saron>>, sbloccando la situazione e dando inizio alla progressiva distruzione del potere demoniaco.
L'esercito crociato, riparate le macchine da guerra, riprende fiducioso l'assalto di Gerusalemme in un duello di furibondo vigore epico. Tancredi uccide Argante, i cristiani penetrano nella città e Rinaldo assalta il tempio di Salomone. Resta ancora aperta la vicenda sentimentale di Armida: la donna, dopo la partenza di Rinaldo, fa scomparire l'intero palazzo incantato, varca l'oceano e giunge in Egitto dove chiede aiuto per vendicare l'affronto fattole dall'eroe cristiano.
L'esercito egiziano si mette in marcia e giunge a Gerusalemme, proprio mentre infuria la battaglia. Si tratta dell'estremo combattimento al quale partecipa la stessa Armida che Rinaldo vede sul suo carro, vestita da guerriera, in mezzo alla mischia, tutta tesa nell'inutile tentativo di colpirlo con le sue frecce. L'esito resta a lungo incerto, ma a poco a poco scompaiono i più validi combattenti musulmani: Aladino muore sotto i colpi di Raimondo, Solimano viene ucciso da Rinaldo. Così volge alla fine <<quell'aspra tragedia de lo stato umano>>: anche l'esercito egiziano abbandona il campo e Armida, rimasta sola, fugge straziata e tenta il suicidio. La insegue Rinaldo raggiungendola in tempo per confortarla con parole di sincerità e di fede: la maga gli confessa l'amore che nutre per lui e si converte al cristianesimo.
L'ultimo scontro, definitivo, è tra Emireno, capo degli egiziani, e Goffredo, che lo stende al suolo. La liberazione della città santa è compiuta. <<Così vince Goffredo>>: la guerra ha termine ed il Capitano entra nel tempio di Gerusalemme dove depone le armi davanti al sepolcro di Cristo.
Fin dalle prime ottave della <<Gerusalemme Liberata>> il Tasso mostra quanto il suo mondo cavalleresco sia diverso da quello dei precedenti cantori epici. Il suo racconto trova infatti forza e unità in un episodio di guerra religiosa, la prima Crociata in Terra Santa (1096-1099), e si richiama perciò ai valori di una civiltà cristiana ormai affermata e diffusa. Personaggi, luoghi e avventure confluiscono tutti verso il grande, ultimo episodio che conduce alla conquista di Gerusalemme.
Sensibile all'invito per una nuova e intransigente vita religiosa emerso dal Concilio Tridentino (1545-1563), sollecitato anche dal recente lungo conflitto dell'Europa cattolica contro i Turchi, con la famosa battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), il Tasso intreccia la sua naturale vocazione di poeta autobiografico, sentimentale e appassionato con l'ideale eroico di un poema il cui argomento è davvero nuovo, anche se cerca di rimanere fedele ai canoni dell'epica tradizionale.
Il disegno esteriore dell'opera è infatti insieme cavalleresco e religioso, attingendo da una parte alla tradizione classica (modellata soprattutto sull'<<Iliade>> e sull'<<Eneide>>) e dall'altra all'aspirazione cristiana, sicchè la stessa mitologia non è esclusa dalla <<Gerusalemme Liberata>>, ma appare cristianizzata. Tuttavia gli episodi d'invenzione, le situazioni affascinanti e i morbidi abbandoni sentimentali non engono sacrificati, perchè il Tasso li giustifica come abbellimenti fantastici, necessari per rendere più gradeole la lettura seria ed edificante del poema, che è storico nelle sue radici. Così l'abilità letteraria e il gusto per l'aventura rivestono il fondamentale motivo religioso: le <<armi>> cantate da Virgiliio (Arma virunque cano= canto le armi e l'eroe) diventano <<pietose>>. L'impresa bellica è <<pia>>, dal momento che uomini ed eserciti sono impegnati al servizio della fede.
GOFFREDO E L'ARCANGELO GABRIELE
Insieme alle <<armi pietose>>, nel primo verso della Gerusalemme Liberata siaccenna anche al <<capitano>>, la cui figura è rigorosamente storica. Si tratta di Goffredo di Buglione (Bouillon), duce della Bassa Lorena, nato nel 1060, divenuto primo re di Gerusalemme e morto nel 1100. Le sue gesta sono narrate nella Historia belli sacri verissima di Guglielmo di Tiro. Il Tasso, sulla scia di questi fatti storici e intendendo ricalcare il <<pio Enea>>, virgiliano, ne fa il perfetto modello dell'eroe cristiano, giusto, timorato di Dio, indifferente alle lusinghe terrene, nobile nell'aspetto, nei pensieri e nelle parole, abile, aiutato sempre da Dio a superare gli ostacoli che si frappongono all'esito fvorevole dell'impresa.
Anche se egli sembra un personaggio poco poetico, senza inquietudini o perplessità, e perciò privo di sinceri sentimenti religiosi, in realtà Goffredo rappresenta, fin dal primo canto della Gerusalemme Liberata, l'ideale di perfezione umana e religiosa cui cerca di ispirarsi il poeta. Egli si stacca nettamente dagli altri personaggi, che sono invece figure di un'umanità più debole, facili alle tentazioni, alle rinunce, alle sconfitte.
Goffredo partecipa alla prima Crociata fin dall'inizio della spedizione: il Tasso, per rendere più impressionante e impegnativa la vicenda, immagina che essa abbia richiesto sei anni, invece di tre come nella realtà storica. Quando incomincia l'azione del poema, che dura per quaranta giorni a partire dalla primavera dell'ultimo anno di guerra, Goffredo di Buglione diventa capo dell'esercito cristiano. La sua elezione viene decretata in cielo, dando luogo ad una di quelle scene piuttosto esterne e tipicamente strutturali che servono solo per offrire l'avvio alla narrazione, ma non rispecchiano nessun autentico sentimento religioso ed echeggiano piuttosto i modelli classici dell'Iliade, dell'Odissea e dell'Eneide, dove nei consensi degli dei si prendono le decisioni che improntano la vita dei mortali.
Iddio vede che Goffredo è il migliore e il più disinteressato dei guerrieri cristiani, perciò lo destina al comando inviandogli l'arcangelo Gabriele che discende e gli appare in sogno per sollecitarlo a riprendere la guerra e a rimettere ordine morale e materiale tra le truppe cristiane. La scena da fredda e convenzionale si fa a questo punto più solenne e animata: nell'atmosfera teatrale che accompagna il volo dell'Arcangelo vibra una suggestione coreografica molto sentita dal Tasso. Nel travestimento del messaggero divino, nello scenario degli spazi cosmici, nel luminoso abbaglio e nello stupefatto turbamento di Goffredo il poeta ottiene effetti che sembrano anche singolare suggestione poetica.
I CROCIATI IN VISTA DI GERUSALEMME
La Crociata non è l'impresa solitaria del <<saggio capitano>> Goffredo di Buglione o dei pochi eroi. Per questo motivo cercando di interpretare l'ambiente medievale nei suoi fervori che dall'alto si diffondono ad esaltare intere masse, il Tasso dopo aver presentato i singoli grandi cavalieri offre un panorama dove unanime traspare l'emozione di una folla enorme di soldati, soprattutto quando dopo giorni e giorni di marcia e di fatiche, vien loro incontro improvvisa la visione di Gerusalemme.
L'atmosfera paesaggistica è predisposta con abilità dal poeta che descrive un'aurora dalle tinte delicate e paradisiache: con tale sfondo acquista maggiore spicco il crescendo del fremito che pervade l'intero campo e che il poeta esprime con la ripetizione per tre versi successivi di un <<ecco>> vibrante di stupore e di gioia. I soldati gesticolano e salutano festosi: ma nrl loro animo trova spazio un sentimento anche più profondo, oichè per essi Gerusalemme è insieme mèta di pellegrinaggio e di conquista. la riflessione religiosa, ispirata in tutti alla vista della città scelta da Cristo come luogo della propria morte e sepoltura, trasforma il primo giubilo in un'intimità ascetica e malinconica che lascia posto ad un amaro senso di colpa, e a un sincero bisogno di penitenza e di preghiera.
Con sapiente gusto scenografico Torquato Tasso rievoca il suggestivo spirito della mentalità medievale e riesce ad esprimere il tono appassionato della propria sensibilità religiosa, che si confessa contrita e dolente fino alle lagrime di fronte all'immensità del sacrificio compiuto da Cristo per la salvezza delle anime.
L'ANIMO FEMMINILE
ERMINIA TRA I PASTORI
Torquato Tasso è un interprete sensibile e delicato del mondo femminile, nel quale ritrova gli aspetti a lui familiari della inquieta solitudine dell'anima, di un'esistenza in cui s'alternano sogni illusori e disincantati di fragili o nostalgici sentimenti d'amore.
Nella cornice che vi fa da sfondo si rispecchia anche il gusto contemplativo del poeta per atmosfere e personaggi da idillio bucolico, malinconici e sereni, dove egli cerca volentieri evasione dalle assillanti preoccupazioni quotidiane e dalla intricata vita di corte.
Nella Gerusalemme Liberata le diverse sfumature dell'animo femminile si configurano in personaggi molto diversi: la bella e sensitiva Armida, dotata di arti magiche, adescatrice dei guerrieri cristiani, ma capace anche di un sincero dramma d'amore; la santa, generosa Sofronia pronta al sacrificio per il suo ideale religioso e avvolta in un alone di amore silenzioso e inelice; Erminia, fanciulla sognatrice e sperduta; Clorinda forte tempra di guerriera, ma soggetta al tragico, fatale destino di essere immaturamente uccisa proprio per mano di chi profondamente la ama.
Più che immagini del profilo preciso o caratteri bene individuati, il Tasso, attraverso la presenza femminile nella Gerusalemme Liberata, offre stati d'animo dai contorni indefiniti, emozioni fuggevoli, molti diversi ora elegiaci ora lirici, ora patetici ma sempre sull'eco di una realtà umana emotiva e turbata, alla ricerca di un'impossibile sicurezza. Infatti queste donne non si manifestano completamente se isolate dal legame affettivo che intreccia la loro vita con quella di un altro personaggio, Armida con Rinaldo, Sofronia con Olindo, Erminia con Tancredi, Clorinda con Tancredi: solo da questo rapporto scaturisce l'effettiva realtà dei loro sentimenti, che si riflettono anche con perfetta consonanza nella flessuosa musicalità dei versi e nel tono pittorico dei paesaggi.
Erminia è un personaggio introdotto dal Tasso nella Gerusalemme Liberata senza che le venga affidato un vero ruolo nello sviluppo e nell'intreccio dell'azione: ella esprime piuttosto una sensibilità emotiva, sfumata e sognante, così intensa nell'animo del poeta.
Nobile maomettana, figlia del Re di Antiochia, Erminia ha perduto patria e padre in seguito alla conquista della città da parte dei Crociati, ma, una volta prigioniera, viene trattata con umanità dal cavaliere cristiano Tancredi che successivamente le ridona la libertà. Fanciulla delicata e pura, di temperamento fragile e ricco di ingenue speranze, Erminia spontaneamente si innamora di Tancredi, che a sua volta ama Clorinda, l'eroica guerriera dell'esercito pagano.
Quando Argante, il più valoroso eroe maomettanotentativo, nel tentativo di porre fine alla guerra con un duello tra due campioni delle singole parti, ingaggia un aspro combattimento con Tancredi, Erminia, appena giunta a Gerusalemme, lo segue trepidamente dalle mura della città. Alla sera il duello viene sospeso: la fanciulla teme che Tancredi sia ferito, e con un gesto di audacia insospettabile nel suo animo tutto trepidazioni e tenerezze decide di uscire da Gerusalemme per curare il nobile cristiano. Per non insospettire le guardie, ella indossa le armi di Clorinda e nella notte stellata penetra nel campo dei nemici. Riconosciuta da alcuni crociati i quali naturalmente la scambiano per la combattiva Clorinda, viene inseguita ed è costretta a fuggire a cavallo.
In questa fuga di Erminia s'innesta un tema idilliaco ed elegiaco che particolarmente seduce il Tasso. La limpida e semplice femminilità della giovinetta innamorata viene calata in un'atmosfera che pienamente ne rispecchia lo stato d'animo: Erminia, fuggendo senza mèta, raggiunge alcune capanne di pastori e raccogliendosi nella serena quiete del paesaggio di campagna, vede stemperarsi a poco a poco le pungenti inquietudini che l'assillano. Ascolta solamente i suoni morbidi che s'accordano con la sua sensibilità dolcemente malinconica e solitaria, s'abbandona alle suggestive e fresche immagini della natura intatta che la circonda, e si placa, lasciando che la sua sete d'amore si prolunghi come illusione e lontana speranza.
Il poeta ne trae un preciso spunto autobiografico: ripercorrendo tutta la sua vita di eterno pellegrino da una corte italiana all'altra senza mai un punto fermo, si accorge di essere egli stesso aspramente combattuto tra l'ambizioso desiderio di successi e la suggestione elegiaca di una serena solitudine campestre. In particolare nelle parole del pastore, si sente la polemica irritazione del Tasso contro la vita cortigiana, in cui trascorre l'esistenza, tra compromessi e troppo facili e vane lusinghe, nella progressiva delusione della civiltà rinascimentale, dove le feste sfarzose e i teatrili fatti d'arme coprono quella mancanza di ideali sicuri che potrebbero dare forza all'animo inquieto del poeta, assetato invece di stabili verità.
La figura di Clorinda trova i suoi precedenti modelli nella cultura epico-letteraria del Tasso. Simile a Bradamante e a Marfisa, le donne guerriere della poesia cavalleresca, essa ricorda soprattutto l'eroica Camilla dell'Eneide di Virgilio per certi suoi aspetti di gentilezza e per la precocità della morte. Educata all'eroismo e alle più rigide virtù dalla madre cristiana e da lei affidata a un servo. Argete, che le avrebbe dovuto somministrare il battesimo, Clorinda ha un carattere fermo, nobile, incontaminato. Quando lotta, è forte e combattiva, ma sa anche esprimersi con atteggiamenti di femminilità generosa, intervenendo in favore di chi si trova in tristi situazioni, come accade, per esempio, nell'episodio di Olindo e Sofronia.
Tuttavia la vera nota originale del personaggio appare nella indefinita e tragica relazione che ella ha con Tancredi, per il quale diventa l'immagine stessa dell'amore. Il nobile cristiano la vede come oggetto completo ma sfuggente del suo amore, vive e trepida per lei, la cerca facendo filtrare questo suo sentimento nel clima di guerra e di religione che fa da sfondo alla Gerusalemme Liberata.
L'episodio più valido a illuminare questo motivo è certamente quello bellissimo e drammatico della morte di Clorinda. Con Argante ella ha compiuto un'audace impresa incendiando la torre di legno, una macchina da guerra predisposta dai cristiani per l'assedio. Prontamente inseguiti da due schiere di Crociati, Argante e Clorinda ripiegano verso le mura di Gerusalemme dove i loro commilitoni li attendono per farli entrare. Ma quando la porta della città viene rinchiusa in fretta, nessuno si accorge che Clorinda è rimasta fuori essendosi fermata a colpire un cavaliere cristiano che ha tentato di aggredirla alle spalle.
Su di lei posa gli occhi Tancredi che non la riconosce e la sfida, combattendo con lei un'intera notte in un duello splendidamente descritto dal Tasso nel suo crescendo d'impeto e di gigantesco furore. Alla fine la guerriera soccombe, e in quell'estremo istante, vinta come eroina, ma con lo spirito acceso da virtù religiosa, chiede di essere battezzata. In quel momento Tancredi, scoprendole la fronte per compiere il rito, la riconosce: esplode allora un lamento struggente dove il deicatissimo amore terreno per Clorinda si mescola e lotta con l'ardente fede religiosa che vede con gioia la salvezza dell'anima. L'amore così si purifica, si trafigura, come trasfigurato è il volto di Clorinda. Ma sono troppo forti il dolore e lo smarrimento di Tancredi, involontario colpevole proprio della morte della creatura amata, e il cavaliere, cadendo a fianco di Clorinda, la cui anima ormai ha raggiunto pace e serenità eterne.
Il Tasso, tormentato poeta di contrasti, ha rappresentato qui con finissima sensibilità da una parte la contraddizione tra la femminilità tutta spirituale dell'animo di Clorinda e il suo aspetto esteriore eroico e guerriero, e dall'altra, in un'ambigua e romantica atmosfera di amore e morte, l'inestricabile intreccio che appanna una gioiosa speranza religiosa con una tristezza crudele.
Nella <<Gerusalemme Liberata>> non vibra solamente l'intimo lirismo del poeta, adombrato da un senso indefinito di infelicità e di solitudine. Il poema è pervaso anche da una profonda convinzione religiosa che suscita negli uomini un'autentica spiritualità e ispira il senso eroico del dovere da compiere come dimostrano splendidamente il pentimento e la preghiera di Rinaldo.
La solitudine provoca allora uno stimolo che invita alla meditazione più raccolta, da cui si sprigiona la forza d'animo necessaria per inseguire con chiarezza l'ideale per il quale si vive e si lotta. In questo clima, le stesse avventure cavalleresche acquistano accenti e toni di autentica sincerità poetica proprio nei momenti epici più complessi e scenograficamente grandiosi. Spesso persino nei duelli cavallereschi non privi di aggressività ma mitigati da atteggiamenti mesti o pietosi, si può notare quanto sia intimamente vissuto il sentimento religioso del Tasso.
Il poema va concludendosi con la conquista di Gerusalemme da parte dei Crociati: Argante e Solimano soccombono e vengono uccisi, mentre Goffredo di Buglione vince, <<Il gran Sepolcro adora, e scioglie il voto>>. Ma la generosa pietà cristiana del poeta accompagna fino alla fine anche i guerrieri maomettani, scavando nel profondo del loro animo, nulla togliendo alla loro dignità e al loro eroismo, facendoli solo vittime di un avverso destino.
Rinaldo, personaggio d'invenzione del Tasso che a lui fa risalire la stirpe degli Estensi di Ferrara, è il cavaliere cristiano più significativo nell'azione della Crociata per la conquista di Gerusalemme. La sua vita avventurosa è quella di un eroe religioso che dovrebbe essere purissimo, ma il cui cammino è continuamente fuorviato da forze diaboliche che lo tentano sotto forma di lusinghe magiche, di paesaggi suggestivi, di vicende straordinarie.
Ritiratosi dalla guerra, sdegnato come Achille, caduto poi nelle insidiose trame della maga Armida nel giardino incantato delle Isole Fortunate, Rinaldo viene infine richiamato da Goffredo di Buglione perchè necessario alla vittoria definitiva delle armi cristiane. Egli allora si vergogna, si ravvede del suo traviamento presso la maga, e ritorna a portare il suo contributo per la grande impresa, ottenendo il perdono di Goffredo e gli edificanti consigli di Pietro l'Eremita.
Il primo suo compito è quello di sciogliere la misteriosa magia che rende inutilizzabile la selva di Saron dove i Crociati dovrebbero attingere il legname per costruire le macchine belliche. La selva incantata rispecchia le intime paure racchiuse nell'animo turbato e insicuro di ciascun guerriero: per questo nessuno osa avvicinarsi, sentendo emanare da essa un'allucinante forza di orrido incubo o di colpevolezza.
Ma Rinaldo sceglie un'altra via più sicura: in un clima di silenzio e nella dolcissima luce di un paesaggio all'alba egli si prepara religiosamente con la preghiera, il solo mezzo capace di offrire quella tranquilla serenità della coscienza che ottenga il miracolo della liberazione.
Infatti egli trova un'atmosfera del tutto diversa da quella demoniaca e terrificante che aveva immaginato e che la selva aveva manifestato ad altri guerrieri. Per lui si ripetono le idilliche lusinghe, le classicheggianti e sfumate visioni pittoriche, in un paesaggio di agreste dolcezza, con musiche delicatissime che lo stupiscono per la loro meravigliosa risonanza: l'incantesimo assume alla fine la figura della maga Armida. Ma Rinaldi è ormai spiritualmente preparato e rifiuta le false suggestioni e le malinconiche dichiarazioni d'amore della maga: la sconfigge definitivamente, e ritorna <<venerabile e severo>>, vestito di bianco, al campo cristiano dove è accolto con grida di giubilo. Ormai si è dissolta ogni magia, la natura è riportata alla sua normale realtà, e tutti i guerrieri riacquistano certezza nella vittoria delle armi crociate.
Nel quadro <<atroce e miserando>> che offre la città di Gerusalemme durante l'ultima battaglia sferrata dalle truppe di Goffredo di Buglione si delineano a forti tinte i duelli terribili tra i campioni cristiani e quelli saraceni. Tuttavia la sincera pietà e la sofferta sensibilità religiosa del Tasso gli impediscono di presentare una visione pura,mente epica di queste contese, per cui insieme con il solenne e furibondo spettacolo della lotta si nota il tentativo di scavare nell'interno dei personaggi, soprattutto di quelli destinati alla sconfitta. I grandi re musulmani mostrano infatti il loro tormento, il sentimento funebre del loro destino così contrastante con la loro forza suggestiva, nobile anche se violenta e barbarica.
Su questa linea il poeta completa mirabilmente anche il profilo di Argante, potente figura di guerriero saraceno la cui intrepida e spavalda vigoria viene però analizzata anche nei momenti intimi, persino elegiaci, vista non solo come un'espressione di titanica irruenza fisica ma come momento culminante di complessi stati sentimentali resi eroici da una prorompente enrergia morale.
Il <<pertinace>> Argante ha un conto in sospeso con Tancredi, già suo avversario in un duello interrotto per il sopravvivere delle tenebre, e non più proseguito dal momento che il cavaliere cristiano, seguendo le orme di Erminia, s'è trovato imbrigliato negli incantesimi della maga Armida.
L'occasione di portare a termine il confronto è offerta proprio dall'ultima e conclusiva fase che precede la liberazione della città santa. I due guerrieri escono dalla mischia e si affrontano in un luogo appartato, senza teatralità, nè spettatori. L'azione dello scontro viene resa dal Tasso in tre distinti momenti. All'inizio il tono è dato dalla figura di Argante, guerriero solitario e terribile d'aspetto, nel cui animo s'insinuano una desolata nostalgia per l'antica gloria musulmana che va estinguendosi, e un meditabondo senso della morte che ormai sembra averlo segnato e contro cui è inutile ogni disperato tentativo di ribellione. La parte centrale dell'episodio è un vivissimo spettacolo di abilità tecnica da parte dei duelanti: entrambi combattono con perfetto stile secondo le regole cavalleresche ma soprattutto sfruttando le qualità di cui ciascuno dispone.
Poi s'accende il furore, mentre l'agguato del destino che attende al varco Argante si fa più imminente e tragico. La grandezza morale dei due combattenti è diversa, ma altrettanto elevata: Tancredi, il cristiano, ha dalla sua la vittoria e può mostrare le qualità del suo animo nella generosità cavalleresca e in una serena concezione che ha radice nella sua sicura fede religiosa.
Argante invece è una vittima predestinata perchè nel disegno divino della Provvidenza è ormai previsto il successo per le armi cristiane, e il poeta lo segue con intensa partecipazione fino all'ultimo, quando <<minacciava morendo e non languia>>. In questo suo atteggiamento sprezzante di rabbiosa grandezza e di vana ribellione alla triste condizione umana c'è tutta la dolente simpatia del Tasso per quella gigantesca forza barbarica che ha la fragilità e la debolezza dei beni e dei poteri terreni, quando non siano illuminati da una speranza cristiana.
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