«Calderón, rinarrando e funzionalizzando a una piú vasta struttura la fiaba orientale (è nelle Mille e una notte) del califfo che permette a un mendicante di regnare tra due sonni, ripropone qui un problema che si presenta costante nel corso della sua produzione. Si tratta del tema della cultura, della civiltà come strumento di controllo del comportamento naturale dell’uomo. Di fronte all’umana natura la filosofia di Calderón non fu meno pessimista di quanto lo sarebbe stata, a tre secoli di distanza e scavalcando un’epoca inquietata dal sospetto di una mitica bontà del dato naturale, la riflessione psicoanalitica di Freud: guidato dai suoi impulsi naturali, l’uomo si abbandona all’aggressività e alla sensualità fino a rischiare di tutto distruggere e autodistruggersi. Argine al sempre incombente pericolo è la cultura, che, difendendo l’umanità dalla natura, regola i rapporti degli uomini tra loro. Questo pessimismo, ma anche questa fiducia, tutta laica, nella civiltà, si pone a fondamento di piú di un dramma di Calderón». Dall’Introduzione di Cesare Acutis
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