mercoledì 7 luglio 2021

RECENSIONE - TRE GOCCE D'ACQUA by VALENTINA D'URBANO - MONDADORI

La vita intera a cercare di stare al passo, di afferrare quei due che amavo e che continuamente mi sfuggivano. In questa vita niente e nessuno ci appartiene davvero, e arriva il momento in cui ognuno di noi deve restituire qualcosa al mondo. Io ho scelto un altro ricordo. Uno scolorito e imperfetto dove non ci sopportiamo.»
 

Tre gocce d'acqua

Valentina D'Urbano
pubblicato da Mondadori 

Pagine 372

Euro 19,00

 

 

 

 

 

 

Il libro

Celeste e Nadir non sono fratelli, non sono nemmeno parenti, non hanno una goccia di sangue in comune, eppure sono i due punti estremi di un'equazione che li lega indissolubilmente. A tenerli uniti è Pietro, fratello dell'una da parte di padre e dell'altro da parte di madre. Pietro, più grande di loro di quasi dieci anni, si divide tra le due famiglie ed entrambi i fratellini stravedono per lui. Celeste è con lui quando cade per la prima volta e, con un innocuo saltello dallo scivolo, si frattura un piede. Pochi mesi dopo è la volta di due dita, e poi di un polso. A otto anni scopre così di avere una rara malattia genetica che rende le sue ossa fragili come vetro: un piccolo urto, uno spigolo, persino un abbraccio troppo stretto sono sufficienti a spezzarla. Ma a sconvolgere la sua infanzia sta per arrivare una seconda calamità: l'incontro con Nadir, il fratello di suo fratello, che finora per lei è stato solo un nome, uno sconosciuto. Nadir è brutto, ruvido, indomabile, ha durezze che sembrano fatte apposta per ferirla. Tra i due bambini si scatena una gelosia feroce, una gara selvaggia per conquistare l'amore del fratello, che preso com'è dai suoi studi e dalla politica riserva loro un affetto distratto. Celeste capisce subito che Nadir è una minaccia, ma non può immaginare che quell'ostilità, crescendo, si trasformerà in una strana forma di attrazione e dipendenza reciproca, un legame vischioso e inconfessabile che dominerà le loro vite per i venticinque anni successivi. E quando Pietro, il loro primo amore, l'asse attorno a cui le loro vite continuano a ruotare, parte per uno dei suoi viaggi in Siria e scompare, la precaria architettura del loro rapporto rischia di crollare una volta per tutte. Al suo settimo romanzo, Valentina D'Urbano si conferma un talento capace di calare i suoi personaggi in un'attualità complessa e contraddittoria, di indagare la fragilità e la resilienza dei corpi e l'invincibilità di certi legami, talmente speciali e clandestini da sfuggire a ogni definizione. Come quello tra Celeste e Nadir, che per la lingua italiana non sono niente, eppure in questa storia sono tutto.

RECENSIONE 

«Che non eravamo fratelli.
Che non si sapeva cosa fossimo, non c’era un grado di parentela per descriverci.
Non era certo una cosa che capitava a chiunque.»
Guardo i miei nove anni impressi sulla pellicola dalla macchina fotografica di Lucrezia. Ho un piede scalzo, i capelli scorciati male e un paio di pantaloncini di cotone rosa a righe bianche. Una serie di lividi scuri affiora sulle gambe nude, a guardarli da qui sembrano una costellazione. Dall’altra parte, Nadir tiene le braccia conserte. Ha un aspetto scontento, anonimo, antipatico, di ragazzino viziato. Proprio come me. In mezzo a noi c’è Pietro. Pietro che posa le mani sulle nostre spalle, come se fosse in procinto di stringerci a sé. In realtà stava cercando di separarci, di sedare l’ennesima zuffa, almeno il tempo necessario per scattare la foto. Lucrezia ci aveva sfiancati per farci mettere in posa, ma di sorridere proprio non se ne parlava. Era il 1994. Era la nostra prima vacanza tutti insieme. Non facemmo altro che litigare.
Con un senso di vertigine pensai che lo conoscevo meglio di quanto pensassi. Che a forza di stare vicini, pur senza parlare , lo avevo osservato così tanto e lui aveva osservato così tanto me che avevamo finito per sapere tutto l’uno dell’altro. Voce, sguardo, linguaggio del corpo. Nadir era una mappa che conoscevo.
Noi sappiamo cos’era Pietro, la materia insopprimibile e misteriosa che lo animava da dentro. È la nostra stessa radice. Eravamo gelosi l'uno dell'altra, e ogni inezia si trasformava in una gara per impressionare nostro fratello Pietro. Pietro forse lo intuiva. Il fratello maggiore è l'oggetto del desiderio di entrambi: belli, brillanti negli studi e pieno di ideali.
«Siamo di nuovo noi tre?» Mi rassegnai a quella galera, a quell’ergastolo.
«Siamo di nuovo noi tre.»
La vita intera a cercare di stare al passo, di afferrare quei due che amavo e che continuamente mi sfuggivano. Le parole creano recinti, corde, un cappio che non stringe ma resta a segarti il collo per tutta la vita. Allora meglio così, dimenticarsene, lasciar perdere, semplificare le cose e fingerci normali.
In questa vita niente e nessuno ci appartiene davvero, e arriva il momento in cui ognuno di noi deve restituire qualcosa al mondo.  
«Quelle le ha volute Nadir. Io ho scelto un altro ricordo. Uno scolorito e imperfetto dove non ci sopportiamo.»
Il romanzo è una ruvida confessione sulla relazione extraconiugali che, tre fratelli affrontano. Il rapporto dei tre ragazzi è il perno narrativo dell'opera di Valentina D'Urbano. La sua scrittura si esprime nella forma di un'invettiva esistenziale intorno, alla terribile trasformazione del tempo, del sentimento, delle malattie e delle mete da raggiungere.

 

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