ITALO CALVINO
IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO
EINAUDI 1964 - I Edizione
EURO 30,00
RECENSIONE
Italo Calvino aveva vent'anni appena all'indomani dell'8 settembre 1943, giorno in cui il governo italiano presieduto dal generale Badoglio annunciò il termine della guerra contro gli anglo-americani e i tedeschi occuparono militarmente tutta l'Italia centro-settentrionale.
Condivise così l'esperienza di molti suoi coetanei partecipando direttamente alla Resistenza sia sul piano militare sia sul piano politico aderendo al Partito Comunista, che gli apparve il più coerentemente antifascista e il più determinato a battersi per una profonda riforma istituzionale e sociale.
Pubblicati i primi racconti su Il Politecnico, Calvino entrò in contatto con le forze intellettuali più vive dell'epoca, divenendo amico di Elio Vittorini, Cesare Pavese, Beppe Fenoglio. Nel 1947 diede alle stampe il suo primo romanzo, appunto Il sentiero dei nidi di ragno, in cui narra di come il ragazzo Pin viva i grandi eventi della guerra antifascista. Invano il commissario politico della brigata partigiana tenta di istruire e sensibilizzare politicamente Pin giacchè questi, <<naturalmente>> anarchico, sa già istintivamente quanto pesi la violenza nella vita degli uomini e quanto sia giusto combatterla. Attraverso la guerra partigiana, il ragazzo diventerà adulto, ma non perderà la sua voglia di indipendenza e tensione morale contro il male.
Nel libro di mio possesso: nella Prefazione del 1964 e rappresentata, a movimento neorealista ormai esaurito, una sorta di bilancio di quella esperienza e di chiarimento delle sue ragioni più profonde. Italo Calvino difende appassionatamente quella scelta pur vedendone tutti i limiti e riconoscendone il tramonto. Il Neorealismo fu una grande esperienza collettiva, una speranza non realizzata, un bisogno di fare letteratura in maniera nuova e se i risultati non furono sempre all'altezza delle intenzioni, va recuperata ed attualizzata la grande spinta ideale di quella generazione militante.
Per poter presentare il testo della recensione e confrontarlo con quello di Vittorini sulla cultura: resta tuttavia di non facile comprensione per via del suo carattere peculiare, a mezza strada tra il saggio critico e la confessione di un protagonista.
Citazioni del libro
Quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, amche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l'accento che vi mettevamo era quello d'una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il pigli dei miei primi racconti e del primo romanzo.
La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d'altre epoche, ci muovevamo in un multicolore universo di storie.
Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell'anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s'aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un'espressione mimica.
Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto, mai si videro formalisti così accaniti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici così effusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere (...)
Perchè chi oggi ricorda il <<neorealismo>> soprattutto come una contaminazione o coartazione subita dalla letteratura da parte di ragioni extraletterarie, sposta i termini della questione: in realtà gli elementi extraletterari stavano lì tanto massicci e indiscutibili che parevano un dato di narura; tutto il problema ci sembrava fosse di poetica, come trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo.
Il <<neorealismo>> non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie. Senza la varietà di Italie sconosciute l'una all'altra - o che si supponevano sconosciute, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato <<neorealismo>>. (...)
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