Siamo solo a metà del 2017, ma so per certo che "Il ministero
della suprema felicità" sarà il mio libro dell'anno, e degli anni a
venire
Catherine Dunne su Vanity Fair
È un libro mondo meraviglioso e selvaggio, incredibile e
contraddittorio come il subcontinente che racconta. Una fiaba magica e
crudele, originale e sconcertante, dove tutto si tiene e tutto si perde,
dove l'identità di genere e le religioni si confondono, e dove gli
unici a salvarsi saranno i reietti, una manciata di personaggi che
entrano sotto la pelle del lettore, ci rimangono e crescono di statura e
profondità mentre si avanza nelle pagine di questo romanzo.
Caterina Soffici su Tuttolibri - La Stampa
Arundhati Roy crea un mondo in cui i personaggi varcano confini
di etnia, religione e genere per trovare, davvero, quella suprema
felicità di cui parla il titolo del romanzo.
KIRKUS REVIEWS
Il libro più atteso dell’anno è la seconda opera di narrativa
che la scrittrice Arundhati Roy ha finalmente sfornato a vent’anni da
quel “Dio delle piccole cose” che la rese celebre. Molto atteso anche
dai librai, per i quali sarà il superbestseller dell’estate.
Come in un'antica saga, ma anche in un dramma intensamente
personale e passionale, ognuno dei tanti personaggi della storia si
trova al centro della eterna e sempre nuova sfida tra il bene e il male,
ognuno con le sue ferite e le sue fragilità che diventano l'arma
vincente della battaglia.
Elisabetta Rasy su Il Sole 24 Ore
Il 2017 segna l'atteso ritorno di una delle scrittrici indiane più amate.
IL SOLE 24 ORE
Due decenni dopo il celebrato Dio delle piccolo cose, il secondo
romanzo di Arundhati Roy, ambizioso e originale, fonde brutalità e
tenerezza, risonanza mitica e materia da prima pagina di giornale.
PUBLISHERS WEEKLY
Il ministero della suprema felicità colpisce dritto al cuore.
Straripante di denuncia, travolgente e disperato, punta i riflettori
sugli invisibili, tutti quelli che la nuova India, la superpotenza del
nazionalismo indù di Modi, occupata a mostrare i muscoli e a contare i
soldi ha confinato nell'oblio o represso con la violenza. Anime
inconsolabili, spezzate dalla vita, che cercano riparo nell'amore.
Mara Accettura su D - Repubblica
Arundhati Roy ha in comune con autori come García Márquez e
Rushdie la profonda compassione, la magia narrativa, l’umorismo pungente
nel mettere in discussione la nostra percezione di temi come genere,
famiglia, casa, patria, guerra, libertà, amore e morte, in questa sua
tenera e rigorosa esplorazione delle paradossali capacità del genere
umano di esprimere crudeltà e amore.
BOOKLIST
Il nuovo libro di Arundhati Roy è un'opera fluviale, alla
Balzac: le storie di molti personaggi tessono la trama di un'umanità che
vive nella vertigine di Nuova Delhi. Assomigliano ai gemelli
protagonisti del primo romanzo che qui sono cresciuti, graffiati e
maturati: la loro voce ci dice che l'India non è un posto per bambini.
Stefano Massini su Robinson - La Repubblica
CONOSCIAMO L'AUTRICE: ARUNDHATI ROY
Arundhati Roy, nata nel Kerala, si è laureata alla Delhi School of
Architecture e vive a New Delhi. E’ stata assistente al National
Institute of Urban Affairs e ha studiato Restauro dei monumenti a
Firenze. Ha scritto alcune sceneggiature e collabora a varie testate,
fra cui “Internazionale”. Il dio delle piccole cose, suo romanzo
d’esordio, è stato un caso letterario e un best seller in tutto il
mondo. Guanda ha in catalogo anche i saggi: La fine delle illusioni, Guerra è pace, Guida all’impero per la gente comune, L’impero e il vuoto e La strana storia dell’assalto al parlamento indiano.
RECENSIONE
Arundhati Roy ci racconta, con la sua leggerezza, con la sua
scrittura cruda e poetica, una vicenda struggente, di sentimenti forti. Ci porta in un lungo viaggio nel vasto mondo dell’India per
farci scoprire un mondo e la sua repentina distruzione. Rintracciando però quel
filo che continua a legare vecchio e nuovo, passato e futuro, in un flusso
ininterrotto di vita.
Non si può entrare in punta di piedi lì dove i personaggi, a
costo di mostrare la loro anima sotto forma di semplice verità, si svestono fin
anche della loro pelle. In queste pagine c’è un mondo che si schiude mostrando
tutta la sua fragilità e bellezza, un mondo nel quale i personaggi si muovono
consapevoli della loro ineluttabile fine, sottoposta all’incedere costante del
tempo, che trasforma le persone in ricordi fissandoli in un eterno presente.
Attraverso le pagine del romanzo si possono percepire le
mille sfaccettature e le mille contraddizioni che di volta in volta hanno
alimentato questo importante fenomeno sociale. Si è unificato in vari decenni
di storia come ruscelli in un fiume, come una sorta di contenitore, in un
grande mondo dove la devianza, la violenza e la criminalità deformata,
rappresentano le figure primordiali, gli archetipi di un’anima in cerca della
propria identità.
Un mondo dove demoni e dei, tempestosi agitano le coscienze
di chi vive, dove essenze metafisiche si alleano in complotti strategici, per
aggirare e denomizzare l’immagine di moralità, il Dio della "coscienziosità", richiudendolo nella profondità degli inferi ed
aprendo a Thanatos, l’oscura via della perversione e della malvagità.
E’ un mondo quello descritto nel romanzo di Roy esistente,
un mondo vero, fatto di crudeltà e di demoniache presenze, con il quale la
nostra anima si deve relazionare in un meccanismo d’interazione umana e spirituale.
Così come le anime cerchino con tutte le forze la ricerca della Verità, una
ricerca non soltanto intellettuale, ma quasi fisica, come quella di chi sta
affogando e cerca qualcosa a cui aggrapparsi.
Ed è con il volgere lo sguardo su quelle verità universali,
che dovremmo cercare di contrastare quelle anime che invece hanno conosciuto
solo il mondo degli inferi e la gretta oscurità degli archetipi, nei quali
invece, d’insegnare amore, ha mostrato solo rabbia, violenza, distruzione di
sé.
Nel romanzo “Il Ministero della Suprema Felicità” l’autrice
ci parla di un "mondo deviato", un "mondo perverso"
che, mostra a chi lo interpreta, tutti i loro difetti, i loro conflitti. La
lettura del romanzo in senso metaforico è come una sorta di viaggio dantesco,
negli inferi dell’anima, dove l’autrice ha cercato di catturare la visione
completa del teatro dell’umanità abbandonata a sé stessa. Ci si domanda: Quanto
ci vorrà per guarire le profonde ferite provocate all’anima?
La violenza infatti, oltre ad ostacolare ogni processo di
maturazione, spezza di continuo quella fiducia di base indispensabile ad ogni
vita per costruire quel senso di sé che risulterà in futuro decisivo per la
propria sopravvivenza.
In un mondo dove l’uomo è considerato portatore di valori,
in un mondo dove è come se la foresta muore è qualcosa che muore dentro di noi
(inteso come uomo), ogni fiume, luogo o mare che muore, muore dentro di noi. La
natura esteriore e quella interiore dell’uomo e tutto interconnesso, in
un’unità indissolubile. Non uccidiamo la vita, non uccidiamo l’anima.
Il romanzo mi ha stupita a cominciare dal fatto che il popolo
stesso non si stupisce più di nulla. La trama del Ministero della Suprema Felicità, coglie alcuni aspetti dell’India con una aderenza quasi fotografica
al vero, oltre che un saggio di prosa di indubbio valore letterario, è anche la
testimonianza dell’interesse e della curiosità con cui un Europeo guarda questo
paese, così lontano dalla nostra cultura e che par quasi appartenere a un altro
mondo. Le immagini che Arundhati Roy,
coglie man mano prendono forma davanti i nostri occhi, precise, ben definite e
pur misteriose. Il lettore scorre le pagine del romanzo senza provare un solo
attimo di noia, ricavandone anzi un piacere intellettuale che è molto superiore
all’appagamento del suo desiderio di informazione.
L’autrice Arundhati Roy, nella descrizione dell’immagine
stessa dell’India, della sua antica miseria, del suo fatalismo, della sua
indifferenza per la realtà, ne ritrae l’anima stessa , antica e immutabile,
strana e curiosa, assurda e misteriosa. La sua prosa è la più fedele
espressione dell’apatia di un’intera nazione.
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