L'eredità dei vivi
MARSILIO ROMANZI
Alla fine degli anni Cinquanta, Rosa si trasferisce dal Sud al Nord d’Italia. È una donna intransigente, una combattente. Insegna a sua figlia – colei che ci racconta la storia – che il primo comandamento cui ogni donna deve obbedire è: «Non piangere.» Ed è anche la madre di Francesco, che a causa di un incidente occorso subito dopo il parto soffre di una forte disabilità. Così lei lotta per rendere migliore la vita del suo bambino, e la sua diventa presto una lotta per i diritti di tutti coloro che non possono combattere per se stessi.
Nel romanzo, Rosa è una madre della quale la figlia racconta la vita; ma è anche, semplicemente, l’Italia: l’Italia ancora stordita dalla guerra degli anni Cinquanta, quella euforica dei Sessanta, quella turbinosa dei Settanta, quella privatizzata degli Ottanta, quella svuotata dei Novanta. Un’Italia, Rosa, messa alla prova: da un marito da cui sceglie di fuggire, dalla disabilità del figlio, dalla figlia con la quale il rapporto è tanto stretto quanto conflittuale, dai cambiamenti sociali e politici che le avvengono intorno. Ma anche la figlia, che ricorda e racconta, è l’Italia: l’Italia d’oggi, quella che non intende rinunciare alla propria storia, e che vuole inventarne una nuova.
L'eredità dei vivi è la storia di una donna, di una famiglia, ed è un romanzo politico, se politica è la lotta da combattere per attraversare i cambiamenti, per godere dei propri diritti, per avere la vita che si desidera avere. E questo romanzo ci dice che anche i sentimenti, anche i corpi, soprattutto i corpi, sono intensamente politici.
Autore
RECENSIONE
La sofferenza della donna è palpabile in particolare quando vede che lo stress emotivo di non sentirsi adeguata al suo ruolo ed è accompagnato dalla vergogna. Quindi, accompagnati dall'angoscia e dall'insalubrità di vivere quale futuro si sta preparando?
Mi ha colpito l'equilibrio delicato tra l'amore e la violenza fisica e psichica, il vuoto che resta nelle radici degli affetti primari di una bambina. Un rapporto che supererà la cattiveria di adulti incattiviti dalla miseria.
Un mondo a lei fino a quel momento sconosciuto, incomprensibile. <<Con il suo sguardo pungente e oscuro>>, riflette il percorso alla figlia in modo a volte brutale a volte complice e tenero.
Il tema del legame madre-figlia sicuramente è centrale e si sviluppa nelle mancanze a differenza del rapporto che si crea con la società del Nord, che è per me il cardine della storia. Credo che L'eredità dei vivi, sia una storia di sopravvivenza, un romanzo che attraversa le sfumature e i passaggi delicati delle inadeguatezze genitoriali.
Mi piacerebbe che del romanzo riuscissimo a rievocare alcuni sentimenti lenti e soffusi che sembrano ppartenere a un'altra epoca; le radici spezzate che Rosa si ritrova tra le mani e lo sconquasso del boato che resta quando viene a mancare un legame come quello madre-figlia.
Le donne per la Sgaggio, sono forza e parola incarnata. Anche quando Rosa affronta la società del Nord, si ritrova in una realtà concreta di bisogni corporali da cui nascono domande sulla vita, ma le rende anche presenti e attuali. La Sgaggio costruisce i personaggi, ai quali non manca una vena di ironia, e che portano in sè forza e dannazione, dolore della carne.
Sgaggia accompagna il lettore nel suo mondo fatto di memoria e misura,
di fantasmi, di amici lontani, di ragazze evanescenti e di piccoli fatti
in grado di sconvolgere una vita intera.
Citazioni del libro
Sei stata l’emigrazione al Nord. Sei stata la meridionale al posto sbagliato. Dall’inizio del ’59 sei diventata la terrona, nuovo rinforzo per un’identità altra. Sei stata una fidanzata sbagliata, sei stata una moglie bellissima e delusa, sei stata la madre ferita di Francesco.
Sei stata pochi soldi. Sei stata l’istituzione del SSN, la pubblicazione dei servizi all’handicap. Sei stata il partito e sei stata De André. Sei stata «e adesso basta con la chiesa», e poi «adesso basta anche con dio». Sei stata le battaglie, tu dicevi «le lotte», e le manifestazioni, le riunioni, le lettere scritte e i discorsi prepreparati – «Federi’, liéggi ‘nu poc ccà» -, e i discorsi pronunciati, i foglietti pieni di appunti e gli angoli strappati, i «noi, come genitori di bambini handicappati» scritto con la biro, paroline tonde in corsivo.
Sei stata «e a chi vuoi che interessi la fine che fa Francesco?» Poi sei stata il silenzio.
Sei stata quella che, se in fondo alla salita non c’è l’ottimo, allora non si comincia neanche a camminare. Sei stata la morte. Sei stata la scelta di andartene senza farti vedere da me, e sapevi che stavo arrivando. Sei stata chi mi ha restituito alla mia impotenza. Sei stata mia madre.
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