LOUISE GLUCK
L'IRIS SELVATICO
IL SAGGIATORE
È il tramonto e noi, a occhi aperti, guardiamo un giardino, verde e rigoglioso. Ascoltiamo il suono del vento che agita un campo di margherite. Osserviamo le foglie rosse di un acero: cadono persino in agosto, nel primo buio. Guardiamo laggiù: un bocciolo di rosa selvatica comincia a schiudersi, come un cuore protetto. Nel New England di Louise Glück, l’estate è breve e ogni ore ha la sua voce, dolce e discreta; la stessa della poetessa, che qui canta caducità ed eternità, bellezza e morte, cura e indifferenza: il flusso del tempo che scorre, il flusso delle emozioni che scorrono sulla nostra pelle, in ogni giorno, in ogni attimo sfuggente della nostra vita.
Louise Glück è autrice di dodici libri di poesie e due raccolte di saggi. Ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2020 «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza dell’individuo». Tra gli altri premi ricordiamo la National Humanities Medal, il premio Pulitzer, il National Book Award, il premio Bollingen, il Wallace Stevens Award conferito dall’Academy of American Poets e la Gold Medal for Poetry dell’American Academy of Arts and Letters. Insegna a Yale e Stanford e vive a Cambridge, nel Massachusett.
Averno
IL SAGGIATORE
Il libro
È di nuovo inverno, è di nuovo freddo. Il lago Averno, dove gli antichi credevano si trovasse la porta dell’aldilà, è scuro come il cielo sopra le nostre teste. Ad aguzzare gli occhi, riusciamo appena a distinguere la migrazione notturna di uno stormo di uccelli. All’alba, le colline brillano di fuoco, ma non è più il sole di agosto: i nostri corpi non sono stati salvati, non sono sicuri.
In Averno, Louise Glück canta la solitudine e il terrore per l’ignoto, lo splendore della notte e l’amore, il desiderio: perché, sembra dirci, anche quando tutto è muto e spento, capita a volte di sentire musica da una finestra aperta, in una mattina di neve, e allora il mondo ci richiama a sé, e la sua bellezza è un invito.
Louise Glück è autrice di dodici libri di poesie e due raccolte di saggi. Ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2020 «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza dell’individuo». Tra gli altri premi ricordiamo la National Humanities Medal, il premio Pulitzer, il National Book Award, il premio Bollingen, il Wallace Stevens Award conferito dall’Academy of American Poets e la Gold Medal for Poetry dell’American Academy of Arts and Letters. Insegna a Yale e Stanford e vive a Cambridge, nel Massachusett.
RECENSIONE
I due libri qui proposti nella recensione sono accomunati dalla capacità di fare conti con l'esistenza, mettendo a nudo una intimità vulnerabile. Louise Gluck è la vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura.
Entrambi i volumi sono raccolte di poesie. I due libri sono: L'iris selvatico e Averno, pubblicati entrambi dal Saggiatore nella traduzione di Massimo Bacigalupo. A partire da queste raccolte ci si chiede quale siano i principi riconosciuti di questa poetessa e quali i tratti distintivi in rapporto alla contemporanea poesia nordamericana, in cui non mancano sicuramente le eccellenze.
Si delinea nelle poesie della Gluck la durezza della visione della vita e dell'umano destino, a cui subito si affianca un'integrità, una fortezza morale, una capacità di comprensione e di giudizio, che tengono lontana la sua voce, pur così intima, così introspettiva, da qualsiasi autocompiacimento. Per la Gluck la parola deve passare per l'esperienza personale, dunque per i rovelli, i traumi, gli snodi più delicati di una vicenda privata incisa nella psiche come nel corpo.
Li tratta, appunto, di una confessione che viene messa in scena, della confidenza più esclusiva fatta però in pubblico. Si tratta del diario lirico, di un soggiorno in una casa del New England, più precisamente del Vermunt, tra la primavera inoltrata e l'incedere della stagione estiva.
Tra la personalità della dizione poetica e l'universalità dei temi trattati: quali il marito John e il figlio Noah, le tante piante e soprattutto i fiori del suo giardino, il bucaneve, il giglio, il papavero rosso, il trifoglio, le margherite, e accanto a loro, Dio in persona.
Non si deve pensare che questo poema sia solamente una scrittura naturalistica, in realtà, è un contrasto di voci, una sorta di poema in cui sono in gioco il diritto e la dignità della creazione stessa, la giustizia o l'inpunità del ciclo di morte e rinascita, la possibilità della condivisione, dell'amore, della felicità.
Il giardino è in realtà lo specchio della nostra vita. Dopo 25 anni di distanza, Averno riprende i canoni o meglio il filo dell'Iris selvatico, anche se la situazione appare molto diversa. Alla pluralità delle voci, si intravede un territorio aspro e desertificato. Diverso è l'andamento descritto, non più il giardino, ma bensì, l'aridità del lago vulcanico, non la stagione estiva ma la sterilità invernale, non la vita che morde nel passato, il confronto con le proprie ombre.
Averno è appunto il lago presso Napoli in cui secondo gli antichi si trova l'ingresso nell'oltretomba. E' una raccolta di pezzi sulla <<storia di Persefone>>. Lo schema narrativo raccoglie, i passaggi decisivi della propria esistenza: l'infanzia, il rapporto con i genitori, l'amicizia, l'amore, il sesso e tant'altro. Rispetto a L'Iris Selvatico, Averno è un libro ossessivo, cupo, univoco.
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