mercoledì 14 ottobre 2020

RECENSIONE "UN TEMPO GENTILE" by MILENA AGUS - NOTTETEMPO



Milena Agus

Un tempo gentile

NOTTETEMPO

  • pagine: 204 - 14x20
  • Data Pubblicazione: 27/08/2020
  • collana: narrativa

 

Il libro

In un piccolo paese dell’entroterra sardo, nel Campidanese, le vite degli abitanti procedono senza troppe scosse, riparate dai muri grigi delle case rimodernate con blocchetti di cemento e arrese alle monocolture di carciofi e biomasse. Un paese “perduto”, con le erbacce nei giardini e senza piú vocazione, che si è arenato su una secca e dimenticato del mondo che lo circonda. Finché non arrivano “gli invasori”: una manciata di migranti che vengono da lontano e di volontari che li accompagnano, destinati a sistemarsi nel Rudere, una casa abbandonata con le finestre sgangherate aperte sulle colline. Lo sconcerto assale tutti, paesani e invasori: “Non era questo il posto”, si ripetono da entrambe le parti – l’una spaventata da quella novità indecifrabile piovuta all’improvviso da chissà dove, l’altra catapultata in quel “corno di forca di paesino sardo” dove i treni non si fermano piú. Ma la vita, anche quando sembra scivolare nell’insensatezza, è sempre aperta al futuro, è sempre un “fare, disfare e rifare”. E se nel tempo imprevedibilmente gentile di quello strano consorzio umano gli orti tornano a germogliare, il Rudere a popolarsi, le emozioni a dilagare, qualche traccia di nuovo resterà comunque a cambiare i colori delle cose.


Milena Agus è nata a Genova da genitori sardi e vive a Cagliari dove ha insegnato Italiano e Storia al Liceo Foiso Fois. È autrice di sei romanzi, Mentre dorme il pescecane (2005), Mal di pietre (2006, nuova ed. 2016), Ali di babbo (2008), La contessa di ricotta (2009), Sottosopra (2012) e Terre promesse (2017), tutti editi da nottetempo, vincitori di numerosi premi e tradotti in piú di venti lingue. Nel 2014, sempre per nottetempo, ha pubblicato con Luciana Castellina Guardati dalla mia fame.


RECENSIONE 

Fatiscenti le case antiche, inadeguate le costruzioni èiù recenti a reggere gli urti della vita. Questa è per lo più uno dei paesi della Sardegna. Quanto è imbarazzante, ad ogni esodo di immigrati, chiedere ai nostri migliori scittori, u commento sull'accaduto. Da troppo tempo il Pese evita di mettere mano a questo enorme problema. Per quanti altri decenni saremo condannati a tornare periodicamente a piangere vittime del tutto evitabili?

E' il nostro secolo, lo abbiamo fatto così. Tutte le persone normali almeno una volta hanno pensato di andarsene. Solo chi è senza cuore non si è posto il problema. Oggi sono i Rimasti a far discutere. Casualità o scelta ponderata: coraggio necessario per affrontare qui un presente pericoloso o paura di un viaggio verso l'ignoto; opportunismo, amore, orgoglio, senza sapere di aver fatto la scelta giusta fino a quando (tutto finirà). I giovani non aspettano altro per tornare a riempire della loro vitalità le strette vie dei quartieri oggi multietnici.  

Nelle zone tradizionalmente più turistiche si tiene aperto solo nell'illusione di una normalità che non c'è, e all'imbrunire tutto torna silenzioso e deserto. L'Italia, miraggio di tanti migranti è il contrario: la vita esplode la sera non è un'illusione, ma una nuova speranza.

Quando insisto ad osservare il volto di un uomo, è perchè nelle sue rughe cerco il mio volto, e quando insisto ad osservare il mio volto di migrante, è perchè sono "di là", ma sono di qua. Sono l'attimo in cui sono nato, ma sono di qua.

 Quando insisto ad osservare un pozzo scavato nel vuoto, è perchè conto i miei giorni, o i naufraghi, è perchè io sono "di là", ma sono qua.

 In questo secolo, come mai prima d'ora, il Bene e il Male non hanno senso, nè in sè nè nel loro rapporto dialettico, sono così sottilmente combinati, e non a casaccio, entro una misteriosa formula.

Se la paura, provoca infallibilmente il collasso, ci ritroviamo, come dopo una invasione, in un mondo o nell'altro, ciò che non si annichila in questo si annichilirà in quello. Che memoria, allora, avremo?

Dietro alla finestra che s'affaccia sul mondo, siede un uomo che cerca la propria memoria: ma la memoria, ora, è colpita dal viaggio, dalla fame, sete, stanchezza, che memoria forata e umefatta avremo? La memoria è maschile e femminile, si sposa e genera, ma oggi quando concepisce un bambino, vedremo sulle sue labbra la stessa patina viola del grano lasciato nel campo per quarant'anni.

Le tristi melodie d'amore delle vite di chi ha cercato e ritrovato un'idea di normalità, hanno accompagnato le vittime di tutte le fedi. Ora offrono momenti comuni di conforto a tutti i Rimasti nella tragedia senza fine. I fratelli non si scelgono, nè i loro compagni. 

Nel castello reale come propria terra d'origine, gli uomini gli parvero tristi, si muovevano come nere marionette. Non riusciva a comprendere come la sua Patria lo condannasse. Quelle strade scure non erano la sua patria. Alberi senza foglie, freddo, donne imbacuccate in scialli e fazzoletti, forse non era che un sogno.

Quanto vale la vita di un essere umano? Questa è la domanda radicale. Come è bene che sia per un dilemma tanto radicale, che lascia ad ogni risposta lo spazio narrativo per giustificarsi. Quale è la nostra scelta morale. E ancora, non si rischia forse di dare ragione ai fanatici, agli invasori, se non si decide che la vita di ogni essere umano debba valere non solo più delle vite di tanti, ma anche più di quelle di tutti i principi sommati fra loro?

Questioni di vita o di morte, appunto? Nelle pagine del romanzo di Milena Agus, troveremo donne sole, coraggiose che, sfidano il lettore a guardare oltre, con uno spiraglio di speranza. Scoprendo di loro (le donne), la loro presenza nella storia che, spesso le cose non sono come pensiamo.

Non pensiate che il paese fosse ridotto in questo stato perchè eravamo pigri. Ma una sorta di maledizione ci impediva di immaginare il futuro, di cambiare davvero le cose importanti e così ci limitavamo alle stupidaggini di ordinaria amministrazione come il cambio degli armadi, le lenzuola perfettamente stirate, la lucidatura dei rubinetti, anzichè aggiustare le case, le strade, le tubature marce, o interessarci di politica. All'arrivo degli invasori avremmo capito che l'ansia, lo smarrimento, la paura, il senso di angoscia fanno parte della condizione umana e riguardano noi come voi, come tutti, e ci saremmo sentiti meno soli, più universali, meno timorosi dei minestroni di razze, culture e cose del genere. Il bello era che prima dell'arrivo degli invasori, stavamo sempre insieme e non sapevamo cos'era la solitudine. Noi sardi siamo accoglienti, ma se capiamo che desiderare stare soli, soli vi lasciamo, per sempre.

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