FEBBRE
JONATHAN BAZZI
FANDANGO LIBRI
pp. 327
18,50€
Il libro
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue.
Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato.
A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano.
Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore.
Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti.
Un esordio letterario atteso e potente.
RECENSIONE
Jonathan è il nome del protagonista del romanzo, scritto in prima persona dall'autore, con questo esordio coraggioso e potente.
Febbre è, la storia di una malattia raccontata dall'insorgere dei suoi primi sintomi, comparsi con un lieve ma insistente innalzamento della temperatura tre anni fa, e l'autore ne descrive il calendario reale, fino alla sua guarigione. Jonathan è personaggio/autore, consapevole della convivenza con il virus.
Tralasciando l'iter clinico della diagnosi, si arriva alla scoperta: che l'Hiv è conclamato, <<tutto diventa uno sguardo spietato su un'epopea che ruta intorno alla scoperta della sieropositività nell'hinterland milanese.
Bazzi scrive: <<Una faccenda da predestinati.>> Perchè l'autore che, sull'onda del potere catalizzante della patologia, trova la forza di ridisegnarsi, che con il senno di poi, e il presentimento del temuto finale, la morte, imprimono alle pagine. Malattia e destino, un tema classico in letteratura.
Ma il destino non è una malattia. Il destino di Jonathan bambino, è quello di periferia nato sotto il segno dei gemelli da una mamma neanche ventenne e cresciuto dai nonni sotto l'ombra opprimente della torre della Telecom di Rozzano.
Il destino è quello di Jonathan adulto, che febbricitante cerca gli aggettivi <<vaghi, imprecisi, imppotenti>>, per raccontarsi e il modo di esorcizzare le proprie sofferenze. Al racconto incerto della presa di coscienza della malattia, si alternabo i flashback che offrono uno sguardo sull'infanzia, sui sobborghi di Milano, una specie di Bronx del Nord Italia, quel pezzo di Sud trasportato nelle nebbie della Pianura padana, ingabbiato nei casermoni in serie.
Ai continui faccia a faccia con la morte, una morte non imminente ma, che entra in gioco lo stesso come presenza che va scongiurata. Bazzi si scopre sieropositivo all'età di trent'anni, si alternano i ricordi dolorosi, con le voci del passato. Con il vociare dei cortili delle case popolarifin sopra i tetti dove nidificano le rondini.
Con la coscienza dei primi anni di nascita, fino all'età adulta. Jonathan che prende il nome da una trasmissione televisiva, ne percorre il sentiero per liberarsi dalla vergogna, dall'ansia dei suoi amori segreti, dell'orrore che suscita l'Hiv.
<<Ho una natura disperatamente sociale>> scrive Bazzi. <<Il mio egocentrismo è radicale, ovvero implorante.>>
Ma la scrittura esige disciplina, distacco, misura. Bazzi non usa la scrittura come terapia. Si avvale però della letteratura come alchimia, per trasformare la sua vita in romanzo.
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