La terra inumana
Adelphi
A cura di Andrea Ceccherelli
Biblioteca Adelphi, 743
2023, pp. 459 - € 28,00
Temi: Letterature slave
Il libro
14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’aggressione tedesca dell’Unione
Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto
Molotov-Ribbentrop – che in un «protocollo segreto» aveva stabilito la
spartizione della Polonia –, a fronte della minaccia nazista viene
firmato l’accordo militare fra Stalin e Sikorski per la costituzione,
sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in
precedenza fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di
settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito
polacco ed è stato internato dapprima a Starobel’sk e poi a Grjazovec,
viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi
dietro il filo spinato». È l’inizio di un’odissea che porterà Czapski
ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del
secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila
prigionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno
in parte rinvenuti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’). Un’odissea
qui raccontata in presa diretta e in ogni – spesso sconvolgente –
dettaglio: dall’esodo in condizioni disumane di militari e civili alle
atroci testimonianze dei reduci dai campi, dall’incontro con il capo
della Direzione centrale dei lager («padrone della vita e della morte
di qualcosa come venti milioni di persone») ai contatti con le
popolazioni. Esperienze che, per Czapski, diventano anche «una lenta,
quotidiana iniziazione all’immensità della miseria umana».
RECENSIONE
Ci sono gli echi del viaggio a ''L'isola di Sachalin'' di Cechov come dei romanzi di Vasilij Grossman in questo libro storico, di indagine e viaggio di Jozef Czapski, la cui sostanza documentaria prende vita e forza grazie alle sue qualità di scrittura e di sentire, alla capacità di infondere umanità e moralità alle sue pagine, alle sue drammatiche esperienze in quella ''terra inumana'' che è la Russia stalinista, tra guerra e dopoguerra. Così ci metterà 5 anni, dal 1942 al 1947, a riprendere i suoi appunti e scrivere queste memorie, colpito da ''un tale annientamento degli esseri umani''.
Non a caso
Czapski è un intellettuale colto e raffinato, letterato laureato a San
Pietroburgo e pittore e studioso di Proust, tanto che in prigionia tenne
conferenze e illustrò l'opera ai suoi compagni, tutto a memoria (il
racconto ''Proust a Grjazovec'' è stato anch'esso edito da Adephi).
Passò infatti ''ventire mesi dietro il filo spinato'' in tre diversi
campi di prigionia in Russia, prima che l'attacco tedesco lo riportasse
in libertà come tutti i polacchi arrestati a cominciare dal 1939, per
costituire un armata polacca che combattesse accanto ai sovietici, al
comando del generale Wladyslaw Anders.
All'ufficiale Czapski,
nato a Praga nel 1896 da madre aristocratica e padre funzionario
zarista, viene allora affidato un incarico particolare, quello di
rintracciare quelle migliaia di ufficiali suoi connazionali deportati in
quegli anni in vari campi e prigioni dell'Urss o ridotti in schiavitù
nelle fabbriche. E' l'esperienza che viene narrata in questo esemplare
testo di rara forza e capace di far emergere e rendere vive le storie
singole nel tragico racconto corale.
La sua è una ricerca che
dura due anni e che diventa un viaggio tragico e umano nella Russia
stalinista, registrando confessioni e testimonianze agghiaccianti. Un
viaggio con pochi risultati, ma ricco di incontri, politici e militari,
dal generale Nasedkin ''padrone della vita e la morte di qualcosa come
venti milioni di persone'', essendo capo dei gulag siberiani, ai vertici
della Nkvd, la Polizia politica e anche con scrittori come Ilya
Erenburg e, più avanti, oramai diventato capo dell'Ufficio propaganda
dell'esercito, Anna Achmatova. E del resto il racconto spesso rimanda e
cita testi letterari, principalmente dell'amato Dostoevskij, perché la
lettura di questo diario è coinvolgente proprio per la qualità della
scrittura, per le capacità narrative di Czapski e il suo punto di vista,
colto, letterario, a mediare la necessità documentaria.
A
essere introvabili sono diverse migliaia di polacchi e solo nel 1943 si
scoprirà dove sono finiti, con la scoperta mostruosa delle fosse di
Katyn, dove erano stati tutti trucidati. E, in appendice, le ultime 15
pagine sono un articolo di Czapski del 1948 proprio per spiegare
quell'orrore, di circa cinquemila persone, prigionieri polacchi, tutte
uccise con un colpo alla nuca dai russi, che però gettano le
responsabilità sui tedeschi, arrivando a rompere i rapporti col governo
polacco che li accusa, infine illustra le prove che si trattasse di
tutti i prigionieri del campo di Kozel'sk, per aggiungere che ''è allora
inevitabile chiedersi che fine avessero fatto i prigionieri dei campi
di Starobel'sk e di Ostaskov: nessuno di loro è stato ritrovato a Katyn e
ha poi mai dato segno di vita''.
Nel peregrinare, il libro finisce con l'arrivo in Turkestan e poi Iran sempre nell' impegno di Anders di ricostruire l'esercito polacco. ''Allora non pensavo a ciò che poteva aspettarci dopo la sconfitta della Germania'', confessa Czapski, supponendo che dopo tutto sarebbe cambiato, e ricordando quindi ''la sopravvalutazione delle energie morali della 'grande democrazia'''. Ma non poteva non esserci speranza in chi elenca ''Il milione e mezzo di polacchi deportati da Stalin; i cadaveri dei bambini, alle stazioni di Leopoli e Tarnopol, gettati fuori dai finestrini dei carri bestiame pieni di deportati nell'inverno 1940; le intere province spopolate da distruzione e fame; le centinaia di migliaia di donne scaraventate nella nuda steppa", chiedendosi quindi desolato, ricordandoci il nostro Primo Levi, ''Che cosa significa un uomo?''.
Nessun commento:
Posta un commento