mercoledì 4 marzo 2020

RECENSIONE #34/2020 MEMORIE DI UN CACCIATORE by IVAN TURGENEV - BUR Biblioteca Univ. Rizzoli



Memorie di un cacciatore 

IVAN IVAN SERGEEVIC TURGENEV  

BUR Biblioteca Univ. Rizzoli; 2 edizione (13 febbraio 1991)

Pagine:  427 

10,00



 
Il libro

Pubblicati quando la servitù della gleba era in Russia ancora una realtà, i racconti che compongono "Memorie di un cacciatore" suscitarono grande impressione nel pubblico per la loro insita carica di denuncia e di condanna sociale, messa in risalto da uno stile esente da sfumature propagandistiche o idealizzatrici, fondato su un realismo non retorico e su un linguaggio scevro da coinvolgimenti emotivi. Da questa "asciuttezza" narrativa prende vita l'anima di una terra in cui il popolo vive la tragedia della propria servitù, fatta di rassegnazione e di miseria ma non di disperazione, che è respinta da una fede autentica e radicata nell'uomo e nella giustizia.

RECENSIONE
 

Ivan Sergeevič Turgenev (1818-1883) fu, tra tutti gli scrittori russi del secondo Ottocento, quello più legato alla cultura occidentale.

L'importanza diTurgenev nella storia della letteratura russa non sta soltanto nella battaglia che, per mezzo delle sue opere, sostenne in favore della liberazione delle classi oppresse, ma soprattutto nelle sue qualità di scrittore. La sua originalità in questo campo risiede essenzialmente nella capacità di creare, intorno al personaggio protagonista, <<atmosfere>> particolari che sembrano influire sulle cose, le persone, l'ambiente circostante in modo indefinibile e misterioso, quasi magico.

Di questa sua dote tipica di un poeta più che di un novelliere o un romanziere . è esempio la recensione che riporto: si tratta dell'ultima parte d'un suo celebre racconto.

L'autore mentre tornava dalla caccia, fu sorpreso al calar della notte da un violentissimo temporale. Riparatosi in un fitto bosco, vi incontrò il guardiacaccia che si offrì di ospitarlo nella sua isba (così si chiamano in Russia le capanne dei contadini, fatte con tronchi di abete e dal tetto di paglia). Lo scrittore lo seguì. Nell'abitazione del guardiacaccia consistente in una sola stanza, bassa e debolmente illuminata, c'era una fanciulla di età tra i dieci e i dodici anni. Nel mezzo della camera dondolava una culla fissata con corde al soffitto.

Turgenev osservò attentamente il suo ospite: era Tommaso, soprannominato il Biruk (il burbero), un uomo dalla corporatura massiccia, largo di spalle. Di carattere scontroso e taciturno, facile all'ira, era il terrore dei ladri. Viveva solitario, senza amici: la moglie era fuggita con un merciaio ambulante. Il piccolo nella culla era suo figlio.

Nella violenta reazione del vecchio che si ribella con tutte le proprie forze a Biruk, pronunciando parole offensive che potrebbero costargli assai care, la scena tocca il culmine della drammaticità. L'opposizione di cui è vittima, l'ingiustizia che patisce - di cui non può comprendere l'origine ma della quale avverte bene tuttoil peso - si esprimono in una protesta che potremo definire religiosa (Il sangue cristiano, uccisore di anime, pagano). Non può, quel contadino, comprendere che Biruk è anch'egli vittima d'un sistema sociale ingiusto che opponendo l'uno all'altro i propri schiavi e mantenendoli perciò divisi, di qui trae la sua forza. Nè lo comprende il guardiacaccia. Nessuno dei due giunge, come oggi si dice con espressione moderna, alla coscienza di classe.

Eppure, ed è merito di Turgenev aver rappresentato questi uomini anche negli aspetti contraddittori del loro comportamento e delle loro reazioni, nessuno dei due resta chiuso nel proprio egoismo. Le offese del <<ladro>>sono in realtà una tragica richiesta di aiuto; il comportamento di Biruk è nobile. Non punisce il contadino, lo lascia libero.

La parte finale, assai commovente, non incrina la drammaticità della scena precedente, ma la rafforza. Non v'è a ben guardare, nessuna concessione al gratuito e coerente il proprio discorso. Tutto quello che questi poveri possono fare è di stringersi l'uno all'altro, perdonando le offese e aiutandosi come possono. 

Nella figura di Biruk che si asciuga gli occhi con la manica rimboccata e pone freno alla commozione e alla confidenza con una frase gentile e secca insieme, <<Partiamo signore>>, è raffigurato non solo il dramma sociale dei contadini russi, ma la fierezza cristiana con cui ciascuno di essi sopporta, nel segreto del proprio cuore, pene indicibili.

 

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