Traduzione di Franca Pece, Anna Raffetto
Biblioteca Adelphi
2002, 3ª ediz., pp. 320
isbn: 9788845917325
Temi: Letteratura nordamericana
Biblioteca Adelphi
2002, 3ª ediz., pp. 320
isbn: 9788845917325
Temi: Letteratura nordamericana
SINOSSI
Risvolto
Nel dicembre del 1961, sei anni dopo la pubblicazione di Lolita, Nabokov termina Fuoco pallido,
prodigio di invenzione e, per alcuni, summa della sua opera: romanzo
audace e segreto, che risulta anche più sconcertante quanto alla forma,
poiché è costituito da un magistrale poema di 999 versi con relativo
commento.
Al centro del poema il sessantunenne John Shade, celebre poeta nonché professore al Wordsmith College di una immaginaria cittadina americana della Costa orientale. In quest’opera i ricordi di una vita si mescolano a interrogativi metafisici sull’«abisso immondo, intollerabile» della morte, divenuti sempre più pressanti dopo il suicidio della giovane figlia. Eppure il poema si chiude su un’ironica quanto serena dichiarazione di fede in un vago aldilà di cui l’arte, con la sua armonia, rappresenta una tacita promessa. Shade ignora che la morte, beffarda, è di nuovo in agguato.
Al centro del commento, invece, lo snob, egocentrico, bizzarro, importuno Charles Kinbote, visiting professor nella medesima università, nonché amico ed estimatore di Shade. Le sue note – ora pettegole, ora accademiche, ora nostalgiche – vorrebbero condurre il lettore a una corretta interpretazione del poema ricostruendo le affascinanti avventure del suo presunto ispiratore, vale a dire Kinbote stesso, esule di alto lignaggio da Zembla, regno immerso nelle brume di un’esotica Europa. Ma quelle note finiscono per suonare come un’esilarante parodia di due mondi contrapposti, l’aristocratica Zembla precipitata nella Rivoluzione Estremista e la borghese, prosaica, benpensante America che ha accolto il fuggitivo in pericolo.
Mirabile mimesi della realtà, Fuoco pallido ci guida così alla ricostruzione di uno scenario complesso attraverso tortuosi e frammentari percorsi che aprono interrogativi sempre nuovi: Kinbote è un re in esilio, un pedante profugo di terre lontane, o un soggetto psichiatrico afflitto da monomania? E il poema stesso è autentico, o non piuttosto una parodia, o magari un plagio?
Plurimi sono i livelli di realtà che si intersecano nel libro, i falsipiani che moltiplicano le prospettive dell’intreccio rendendolo vertiginoso: Fuoco pallido si avvia sereno come una pastorale, esplode in commedia festosa, si inerpica fino al culmine dolente di un’elegia, prende il largo sotto le sembianze di racconto avventuroso, ma la sua nota dominante resta quella tragica della solitudine.
Al centro del poema il sessantunenne John Shade, celebre poeta nonché professore al Wordsmith College di una immaginaria cittadina americana della Costa orientale. In quest’opera i ricordi di una vita si mescolano a interrogativi metafisici sull’«abisso immondo, intollerabile» della morte, divenuti sempre più pressanti dopo il suicidio della giovane figlia. Eppure il poema si chiude su un’ironica quanto serena dichiarazione di fede in un vago aldilà di cui l’arte, con la sua armonia, rappresenta una tacita promessa. Shade ignora che la morte, beffarda, è di nuovo in agguato.
Al centro del commento, invece, lo snob, egocentrico, bizzarro, importuno Charles Kinbote, visiting professor nella medesima università, nonché amico ed estimatore di Shade. Le sue note – ora pettegole, ora accademiche, ora nostalgiche – vorrebbero condurre il lettore a una corretta interpretazione del poema ricostruendo le affascinanti avventure del suo presunto ispiratore, vale a dire Kinbote stesso, esule di alto lignaggio da Zembla, regno immerso nelle brume di un’esotica Europa. Ma quelle note finiscono per suonare come un’esilarante parodia di due mondi contrapposti, l’aristocratica Zembla precipitata nella Rivoluzione Estremista e la borghese, prosaica, benpensante America che ha accolto il fuggitivo in pericolo.
Mirabile mimesi della realtà, Fuoco pallido ci guida così alla ricostruzione di uno scenario complesso attraverso tortuosi e frammentari percorsi che aprono interrogativi sempre nuovi: Kinbote è un re in esilio, un pedante profugo di terre lontane, o un soggetto psichiatrico afflitto da monomania? E il poema stesso è autentico, o non piuttosto una parodia, o magari un plagio?
Plurimi sono i livelli di realtà che si intersecano nel libro, i falsipiani che moltiplicano le prospettive dell’intreccio rendendolo vertiginoso: Fuoco pallido si avvia sereno come una pastorale, esplode in commedia festosa, si inerpica fino al culmine dolente di un’elegia, prende il largo sotto le sembianze di racconto avventuroso, ma la sua nota dominante resta quella tragica della solitudine.
RECENSIONE
E’ a questo romanzo “Fuoco Pallido” che Vladimir Nabokov ha infatti affidato il compito di farci da
guida nelle sue ironiche ma profonde divagazioni su cosa significhi
invecchiare. Non si tratta però di un monologo, ogni tanto irrompono altre
voci, componendo una sorta di coro, diversi personaggi che raccontano pezzetti
della loro storia.
Vladimir viaggia e i suoi pensieri, come in un flusso di
coscienza, girano intorno a quell’unica ossessione: riuscire a venire a parti
in modo elegante con l’idea che la vita abbia “una destinazione, un fine, un
ultimo motto”.
Nonostante tutto riprenderò la matita che avevo abbandonato
nel mio grande scoraggiamento, mi rimetterò a scrivere; e da allora gli sembra
che sia tutto cambiato per lui. Sono proprio i fogli e gli appunti liberati dalle briglie delle regole.
Il romanzo è una creazione autonoma, ma spesso prefigura
l’incanto di scenari futuri, legati alle tematiche a lui care, un’esplosione di
crepuscolari sfumature nere. Ma ci sono anche le notti stellate, gli interni e
i giardini, “Fuoco Pallido” è un capolavoro assoluto, espressione del talento e
della follia.
Un percorso cronologico da batticuore, che spazia dai viaggi
immaginari alla drammatica morte della figlia. Vetrine, proiezioni e una voce
narrante svela la storia della bambina persa insieme alle piccole e grandi cose
custodite nella sua camera: giochi, abiti. Libri.
Come il resto dei personaggi in bilico della propria tragica
esistenza. Dipende dai punti di vista. Perché oltre alla crudeltà, in questo
romanzo è sempre presente il gioco dell’ironia, del distanziamento possibile
sempre e solo attraverso uno sguardo disincantato sulla vita.
All’improvviso la morte lacera il velo dell’ipocrisia con
rivelazioni inaspettate, innescando in tal modo un effetto domino nella vita di
tutti i presenti. L’autore gioca magistralmente con i protagonisti che, a
seconda della loro indole, lasciano trasparire l’inestricabile amalgama di
sentimenti, reazioni, istinti, di cui è fatta la loro vita.
Vladimir Nabokov ci ha regalato un romanzo bello e
particolare come Fuoco Pallido, mettendo sempre in scena l’ambiguità e la
potenza delle pulsioni umane.
Un male oscuro gli divora l’anima. Ma non è la prima volta
che si addentra nelle zone più buie della psiche utilizzando il libro, la
scrittura come tramite di riflessione, gli echi sono molteplici e si
intrecciano, spingendo il lettore in un labirinto da cui trovare l’uscita.