giovedì 12 dicembre 2019

RECENSIONE #130/19 IL NOME DELLA ROSA by UMBERTO ECO - FABBRI


Il nome della rosa

  • Editore: Fabbri (1994)
  • Lingua: ItalianoEuro 10,31





SINOSSI

Ultima settimana del novembre 1327. Il novizio Adso da Melk accompagna in un'abbazia dell'alta Italia frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsilio da Padova, frate Guglielmo si trova a dover dipanare una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, perpetrati nel chiuso della cinta abbaziale) che insanguinano una biblioteca labirintica e inaccessibile. Per risolvere il caso, Guglielmo dovrà decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere. La soluzione arriverà, forse troppo tardi, in termini di giorni, forse troppo presto, in termini di secoli.

“Il libro più intelligente – ma anche il più divertente – di questi ultimi anni.”
Lars Gustafsson, Der Spiegel

“Il libro è così ricco che permette tutti i livelli di lettura… Eco, ancora bravo!”
Robert Maggiori, Libération

“Brio e ironia. Eco è andato a scuola dai migliori modelli.”
Richard Ellmann, The New York Review of Books

“Precisamente il genere di libro che, se fossi un milionario, comanderei su misura.”
Punch

“Quando Baskerville e Adso entrarono nella stanza murata allo scoccare della mezzanotte e all’ultima parola del capitolo, ho sentito, anche se è fuori moda, un caratteristico sobbalzo al cuore.”
Nicholas Shrimpton, The Sunday Times

“È riuscito a scrivere un libro che si legge tutto d’un fiato, accattivante, comico, inatteso…”
Mario Fusco, Le Monde

“È un tipo di libro che ci trasforma, che sostituisce la nostra realtà con la sua… ci presenta un mondo nuovo nella tradizione di Rabelais, Cervantes, Sterne, Melville, Dostoevskij, lo stesso Joyce e García Márquez.”
Kenneth Atchity, Los Angeles Times

“Mi rallegro e tutto il mondo delle lettere si rallegrerà con me, che si possa diventare best seller contro i pronostici cibernetici, e che un’opera di letteratura genuina possa soppiantare il ciarpame… L’alta qualità e il successo non si escludono a vicenda.”
Anthony Burgess, The Observer




RECENSIONE



Umberto Eco, nato nel 1932 è un professore universitario noto per i uoi studi di semiologia e per i suoi interventi critici, a volte condotti anche con brillanti articoli sui giornali. Nel 1956 pubblicò Apocalittici e integrati, un saggio in cui affrontava la questione all'epoca più scottante, cioè quella del rapporto tra cultura e mezzi di comunicazione di massa, assumendo un'equilibrata posizione di riflessione sui dati negativi, ma anche su quelli positivi, derivanti dalla diffusione quantitativa e dalla trasformazione qualitativa dell'informazione.ogia
Attentissimo all'evoluzione del costume, alle nuove correnti culturali finalmente diffusesi in Italia e principalmente agli studi di linguistica, le sue riflessioni hanno costituito stimobene li importanti per il dibattito intellettuale nel nostro paese, sicchè il suo esordio come romanziere, avvenuto nel 1980 con Il nome della rosa, ebbe grande risonanza.

Si tratta di un testo assai complesso, costruito con un'enorme sapienza tecnica, derivata dagli studi teorici di narratologia e da una sterminta congerie di letture, e tuttavia non di èlite. Eco sa molto bene quanto sia difficile oggi offrire una storia appassionante e credibile per un vasto pubblico e nello stesso tempo non banale per i colti, per quelli che cercano nella letteratura qualcosa di più che un semplice passatempo; sa che non disponiamo di idee universalmente accettate, che le grandi ideologie sono in crisi, che il pubblico (probabilmente anche a causa dell'apertura di quel grande supermercato delle immagini che è la elevisione) si è scaltrito e non accetta più nulla ingenuamente. Vive, insomma, nello stesso clima da cui nasce Palomar di Calvino, ma con una differenza essenziale, ossia che Eco non si ritrae in una sofisticata e aristocratica meditazione, ma vuole rivolgersi al grande pubblico, vuole "avere successo", come spiega in una delle postille aggiunte al romanzo nel 1983, dopo tre anni di riconoscimenti unanimi:

<<E' indubbio che se un romanzo diverte, ottiene il consenso di un pubblico. Ora, per un certo periodo, si è pensato che il consenso fosse una soia negativa. Se un romanzo trova consenso, allora è perchè non dice nulla di nuovo, e dà al pubblico ciò che esso si attendeva già ... (ora invece) credo che sarà possibile trovare elementi di rottura e contestazione in opere che apparentemente si prestano ad un facile consumo, ed accorgersi al contrario che certe opere, che appaiono come provocatorie e fanno ancora saltare sulla sedia il pubblico, non contestano nulla ...>>

Ma come fare ad essere competitivi con le produzioni di massa, di scarso valore, senza rinunciare alla propria intelligenza critica? Lo strumento principale è quello della citazione, un gioco del dire e non dire che fa appello all'intelligenza del lettore:

<<Penso all'atteggiamento ... di chi ama una donna, molto colta, e che sappia che non può dirle "ti amo disperatamente", perchè lui sa che lei sa (e che lei sa che lui sa) che queste frasi le ha già scritte Liala. Tuttavia c'è una soluzione. Potrà dire: "Come direbbe Liala, ti amo disperatamente". A questo punto, avendo evitato la falsa innocenza, avendo detto che non si può più parlare in modo innocente, costui avrà però detto alla donna ciò che voleva dirle: che la ama, ma che la ama in un'epoca di innocenza perduta. Se la donna sta al gioco, avrà ricevuto una dichiarazione d'amore, egualmente. Nessuno dei due interlocutori si sentirà innocente, entrambi avranno accettato la sfida del passato, del già detto che non si può eliminare, entrambi giocheranno coscientemente e con piacere al gioco dell'ironia ... Ma entrambi saranno riusciti ancora una volta a parlare d'amore>>.

Questo è il grande trucco de Il nome della rosa, grazie a cui quasi per ogni "trovata" di intreccio o di stile è possibile trovare esempi, precedenti, ma nello stesso tempo ci si lascia emozionare o appassionare a tematiche assolutamente "serie", come quelle delle grandi tragedie del tribunale dell'inquisizione che condannava al rogo eretici o presunti tali. Il tema "serio" del libro, del resto, è quello del rapporto tra cultura classica e cultura cristiana, del giudizio storico da dare sul Medioevo.

Ma questo è anche il trucco che ha consentito ad Eco di vendere milioni di copie in tutto il mondo, di trarre dal romanzo anche un film di successo, di vincere insomma la sua sfida col grande pubblico. Infatti, non è obbligatorio, per seguire il libro, cogliere tutte le allusioni, come non è necessario sapere di latino o di filosofia: l'intreccio è, in una certa misura, "autosufficiente", divertente come un giallo, anche se, naturalmente, leggendo in questo modo il testo lo si impoverisce di molto.

Spesso Il nome della rosa viene letto a scuola per aiutare gli studenti a capire alcune questioni di storia medioevale della cultura o del costume e anche questo è perfettamente legittimo: a condizione, però, di non dire che si tratta di un <<romanzo storico>>: si tratta, semmai, della citazione di un romanzo storico, dell'allusione a quel capostipite del romanzo storico che sono I promessi sposi, a partire dall'iniziale pretesto del ritrovamento di un manoscritto antico.

Il passo che riguarda il luogo in cui si svolgono i fatti: la biblioteca, orgoglio e vanto del convento benedettino in cui l'ex inquisitore inglese Guglielmo di Baskerville viene invitato per risolvere il <<caso>> della morte del monaco Adelmo, avvenuta in circostanze misteriose.

Il brano costituisce praticamente l'inizio del romanzo: Guglielmo è accompagnato dal giovane Adso, la voce narrante del romanzo, che si presume tratto da un manoscritto lasciato proprio dal giovane, novizio al tempo dei fatti raccontati. Accorgimento questo che serve con altri, a dare freschezza ed "innocenza" alla narrazione.




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