venerdì 30 ottobre 2020

RECENSIONE "L'OTTAVA VITA (PER BRILKA) by NINO HARATISCHWILI - MARSILIO EDITORE

 Le luci dei giorni che si accorciano./ Il tempo inesorabile potenza dell'istante./ Qui riunite otto generazioni di donne: nonna, mamma, zia, sorella, figlia./ Tutte donne che correggono i propositi dell'idillio nascente.


Nino Haratischwili

L'ottava vita (per Brilka)

 

traduzione di
MARSILIO EDITORE
 
 pp. 1148, 2° ed.
Euro 24,00 
 
 
 
 
 
Il libro
 
«Ci lega un secolo. Un secolo rosso. Questa storia doveva essere raccontata solo per arrivare fino a te, Brilka. A te e quindi all’inizio»

«Una pietra miliare della letteratura» The Guardian 
 
«Commovente, straziante, sublime» The New York Times 

La famiglia Jashi deve la sua fortuna (e la sua sfortuna) a una preziosa ricetta per una cioccolata calda molto speciale, destinata a essere tramandata di generazione in generazione con una certa solennità. Gli ingredienti vanno maneggiati con cura, perché quella bevanda deliziosa può regalare l’estasi, ma porta con sé anche un retrogusto amaro... Al tempo degli ultimi zar, Stasia apprende i segreti della preparazione dal padre e li custodisce nel lungo viaggio che, da una cittadina non lontana da Tbilisi, in Georgia, la porta a San Pietroburgo sulle tracce del marito, il tenente bianco-rosso arruolatosi pochi giorni dopo le nozze. È convinta che quella ricetta, come un amuleto, possa curare le ferite, evitare le tragedie e garantire alla sua famiglia la felicità. Ma allo scoppio della Rivoluzione d’ottobre, quando il destino della stirpe degli Jashi cambierà per sempre, capirà che si sbagliava. Tra passioni e violenze, incontri, fughe e ritorni, sei generazioni e sette donne – da Stasia, nata nel 1900, a Brilka, che vedrà la luce nel 1993 – attraversano l’Europa, da est a ovest, fino all’inizio del nuovo millennio, inseguendo i propri sogni e arrendendosi solo alla Storia.
Alla ricerca del proprio posto nel mondo, le discendenti del famoso fabbricante di cioccolato percorrono il “secolo rosso”, dando vita a una saga familiare avventurosa e tragica, romantica e crudele, in cui per il lettore sarà dolcissimo perdersi, e ritrovarsi.
 

Autore

 
è nata a Tbilisi nel 1983 e oggi vive ad Amburgo. Scrittrice, drammaturga, regista teatrale, già due volte finalista al Deutscher Buchpreis, il più prestigioso premio letterario tedesco, con L’ottava vita ha scalato le classifi che di mezza Europa e ottenuto importanti riconoscimenti, tra i quali l’English Pen Award.
 
RECENSIONE 
 
Sono in tanti a sostenere che il nostro sia un tempo sempre più senza memoria. Se le cose stanno così, la propensione della nostra storia verso il romanzo familiare si può spiegare come un tentativo di conservazione, di responsabilità verso una scrittura che non può mai essere soltanto personale ma, dell'umanità. Del resto, la storia stessa, si vuole figlia della Memoria. ll suo grande nemico è da sempre la dimenticanza, il silenzio o, come diceva un grande scrittore, l'<<oblio>>. Un vasto, inclusivo poema familiare, va componendo la sua <<saga familiare>>. La scrittrice Nino Haratischwili, di questa storia pubblicata da Marsilio. 

<<E' una visita, dove è nata a Tbilisi, e all'immaginario che da qui ha preso forma e vita negli anni, in tempi e luoghi diversi>>. E proprio la tradizione, diventa il filo conduttore di una trama di vicende private e collettive che dalla fine degli ultimi zar arriva fino al presente di Haratischwili. 
 
Il romanzo racchiude l'ironia, il sarcasmo, il gioco, non mancano certo in questa trama dal tema storico. Pù che narrare Nino Haratischwili fotografa, scrivendo per singoli quadri corrispondenti ciascuno a una generazione, le dinamiche, il procedere dell'immaginario, contano per lei non meno della ricostruzione lineare e meticolosa.

L'amibizione maggiore della scrittura di Nino Haratischwili, così piena di affetti ancora irrisolti e di memorie non cicatrizzate, non è semplicemente quella di ricordare, ma di evocare una presenza, di cogliere un'eco che ancora vibra e si ripercuote nella sua mente come un lascito e un enigma.

Le donne protagoniste del libro si sarebbero silenziosamente parlate, attraverso gli anni, con quel filo che ...
 
"Nino Haratischwili avrebbe deciso, con notevole trepidazione, di scrivere un romanzo su una storia apparentemente ordinaria nella vita di donne apparentemente ordinarie e, nel farlo, avrebbe dimostrato che l'intera storia umana può rivelarsi in un giorno qualsiasi dell'esistenza di una persona qualsiasi, nè più nè meno di quanto l'architettura di un intero organismo si riveli in ogni filamento del suo Dna".
 
Donne costrette a vivere in una società sessista e conservatrice in cui gli uomini vogliono avere il controllo e il potere sui loro cari. Si ricamano spazi di vita, quasi una scelta di autonomia e di libertà. Il racconto si sviluppa in una situazione magmatica, non ancora ben fissata nella sua intelaiatura  politica, alla ricerca di queste donne della loro vita e del loro tragico destino. 

Tante storie, una medesima faccia tragica della medaglia. A queste domande, la Haratischwili, risponde con una spiegazione oltre modo complessa, che coniuga un insieme di motivi, sotterranei, intimi, irrazionali, legati alla personalità delle donne e dei loro mariti, alle loro emozioni, alle passioni, ai rancori, con tanti altri fattori che, pur tuttavia, pesarono: i vincoli sociali, il senso dell'onore offeso, calcoli politici, i giochi di potere. Le donne sono ridotte in una condizione di strumentalità, all'interno della quale esse si ricamano spazi di vita personali, distaccati, in un clima di cultura, in evoluzione. Donne, rivelate nel loro destino in questo libro che rivivranno ancora come tema: Donne. L'altro volto della storia.  
 
E non ci si ricorda quasi più della ricetta segreta del cioccolato. Questo ingrediente era in origine una spezia, certo una spezia speciale, in vrtù delle sue proprietà corroboranti e, si dice, afrodisiache.

Intanto, i decenni passano, fra momenti d'oro e rovinose cadute il tempo lascia i suoi segni, gli eventi si accavallano e il ritmo accelera fino sul sorprendente epilogo.

Citazioni del libro

Tu sei un filo, io sono un filo, insieme formiamo un piccolo ornamento, e insieme a molti altri fili formiamo un motivo. I fili sono tutti diversi, diversamente grossi o sottili, tinti con diversi colori. Se li prendi singolarmente i motivi sono difficili da distinguere, ma se li osservi legati l’uno all’altro rivelano storie fantastiche.

E torno a pensare a te, Brilka, a quando hai suonato e cantato queste canzoni per me durante il nostro viaggio in auto. Come brillavano i tuoi occhi! Ce l’ho messa tutta per non mostrarti la mia commozione, la profonda commozione che avevano risvegliato in me le canzoni e il tuo entusiasmo. Ma in quel viaggio, Brilka  mi hai rivelato anche tante altre piccole meraviglie, così tante che non smetterei più di raccontare se cominciassi, e allora probabilmente la nostra storia non avrebbe fine… Ma devo condividerti con tutti gli altri, perché la nostra storia anche la loro, e la loro e anche la nostra. E ancora non tocca noi…


 
 

POST "L'OTTAVA VITA (PER BRILKA) by NINO HARATISCHWILI - MARSILIO EDITORE

Una famiglia che deve la sua fortuna (e la sua sfortuna a una preziosa ricetta, dal tempo degli ultimi zar a oggi. Le donne protagoniste del romanzo di Nino Haratischwili "L'ottava vita di Brilka" - Marsilio Editore, si sarebbero silenziosamente parlate, attraverso generazioni in generazione, con quel filo che ...


L'ottava vita (per Brilka)

Marsilio Editore

 

traduzione di

pp. 1148, 2° ed.

 

 

 

 

«Ci lega un secolo. Un secolo rosso. Questa storia doveva essere raccontata solo per arrivare fino a te, Brilka. A te e quindi all’inizio»

«Una pietra miliare della letteratura» The Guardian 
 
«Commovente, straziante, sublime» The New York Times 


 Il libro

La famiglia Jashi deve la sua fortuna (e la sua sfortuna) a una preziosa ricetta per una cioccolata calda molto speciale, destinata a essere tramandata di generazione in generazione con una certa solennità. Gli ingredienti vanno maneggiati con cura, perché quella bevanda deliziosa può regalare l’estasi, ma porta con sé anche un retrogusto amaro... Al tempo degli ultimi zar, Stasia apprende i segreti della preparazione dal padre e li custodisce nel lungo viaggio che, da una cittadina non lontana da Tbilisi, in Georgia, la porta a San Pietroburgo sulle tracce del marito, il tenente bianco-rosso arruolatosi pochi giorni dopo le nozze. È convinta che quella ricetta, come un amuleto, possa curare le ferite, evitare le tragedie e garantire alla sua famiglia la felicità. Ma allo scoppio della Rivoluzione d’ottobre, quando il destino della stirpe degli Jashi cambierà per sempre, capirà che si sbagliava. Tra passioni e violenze, incontri, fughe e ritorni, sei generazioni e sette donne – da Stasia, nata nel 1900, a Brilka, che vedrà la luce nel 1993 – attraversano l’Europa, da est a ovest, fino all’inizio del nuovo millennio, inseguendo i propri sogni e arrendendosi solo alla Storia.
Alla ricerca del proprio posto nel mondo, le discendenti del famoso fabbricante di cioccolato percorrono il “secolo rosso”, dando vita a una saga familiare avventurosa e tragica, romantica e crudele, in cui per il lettore sarà dolcissimo perdersi, e ritrovarsi.

Autore

è nata a Tbilisi nel 1983 e oggi vive ad Amburgo. Scrittrice, drammaturga, regista teatrale, già due volte finalista al Deutscher Buchpreis, il più prestigioso premio letterario tedesco, con L’ottava vita ha scalato le classifi che di mezza Europa e ottenuto importanti riconoscimenti, tra i quali l’English Pen Award.
 

 

 

 

 

 

 

 

 


venerdì 23 ottobre 2020

RECENSIONE "PORTAMI OLTRE IL BUIO. VIAGGIO NELL'ITALIA CHE NON HA PAURA" by GIORGIO BOATTI - LATERZA


LATERZA - Portami oltre il buio. Viaggio nell'Italia che non ha paura

Boatti Giorgio 

Pagine 233 

Euro 18,00

 






                                                                     








Il libro

«I sogni ammonitori sono arrivati prima che partissi. Sono saliti al volo sull’idea di questo viaggio. Loro non ci credono proprio ai semi di nuovo, quelli sparsi da questi anni difficili. Forse, semplicemente, non li vogliono vedere. Non credono possibile un girar pagina, rispetto al passato, capace di renderci diversi, forse persino migliori di ciò che siamo stati...»

Ecco l’Italia irrequieta ma non domata dalle difficoltà di questi anni. Un Paese che si mette alla prova, con grinta e speranza, afferra i cambiamenti e supera timori e autodenigrazioni. Oltre il buio, appunto.


È stata così lunga e severa la crisi che immaginare la vita degli italiani ‘dopo’ pareva una sfida impossibile. Nasce così questa esplorazione che dal Monferrato scivola leggera sino al Parco dei Paduli nel Salento; salta da un coworking di Matera alle periferie di Genova e sosta nel virtuoso paese dell’‘ulivo sospeso’, tra l’Amiata e il Chianti. E ancora: da Roma, dirimpetto a Santa Marta, va alla reggia di Babette, nel cuore della Food Valley emiliana, dove è sbocciata una scuola molto speciale e, da un’avveniristica ‘play factory’, tra i colli di Jesi, finisce all’Hotel Etico di Asti che punta a rendere inclusiva, anche per i più fragili, un’intera città.
Ogni tappa di questo viaggio sorprendente è il racconto di un futuro inaspettato e vitale che non è dietro l’angolo. È già qui.

La crisi degli ultimi anni è stata così dura da rendere difficile, quasi impossibile per alcuni, riuscire a immaginare una vita "dopo". Invece c'è un'Italia che si è messa alla prova e ce l'ha fatta. Dal Monferrato al Salento, da Matera a Genova, da Roma a Jesi: Giorgio Boatti raccoglie e ci racconta storie vere e straordinarie di gente comune che ha deciso di cambiare. Ve ne proponiamo una qui di seguito.

Al mare ci è venuto dagli Appennini. Dunque dagli Appennini alle onde, scherzano gli amici. Quello che fingono di non capire è che il suo non è stato un bizzarro e improvviso cambiamento di scenario. Piuttosto è stato lo stringere d’appresso una cosa più rilevante del panorama dove si va a vivere. Qualcosa che non si può vedere con gli occhi. Per riuscire a spiegarla va scritta – su quell'immaginaria lavagna di cui si diceva prima – la parola giusta: essenzialità.

Fabrizio, da qualche anno, ha deciso che la ricerca dell’essenzialità, in ogni cosa, lo fa star bene. Lo aiuta a dar senso al suo vivere. Sconfigge le paure che, come succede a tutti, lo incalzano. Dunque lui, da uomo coerente, ha deciso di puntare a una vita essenziale. E per capire di cosa si sta parlando è meglio raccontare i fatti. Dopo aver studiato agraria, Fabrizio ha lavorato un po’ come tecnico nei consorzi agrari, collaborando con il padre, e quindi, in cerca di indipendenza economica, visto che si era fatto anche una certa esperienza come fotografo, è approdato a Cologno Monzese, negli studi Mediaset. A pensarlo lì, adesso, sembra incredibile. Eppure ci ha lavorato e per qualche tempo, non tantissimo ma neppure poco, ha timbrato il cartellino, condiviso giornate con i colleghi, affittato casa in un condominio.

Poi un giorno ha capito che non era la vita che voleva fare e che doveva scappare via, al più presto. Gran camminatore, abituato nel tempo libero ad andare per vallate e crinali, gli è sembrato più che naturale cercare la soluzione nell'Appennino, in quella specie di spina dorsale fatta di boschi silenziosi e di paesini dimenticati che corre lungo tutta l’Italia, dalla pianura padana sino allo stretto di Messina. Ha lasciato la sicurezza di uno stipendio e di un posto che avrebbero potuto tenerlo in ostaggio sino alla pensione; si è inventato un’altra vita e un altro lavoro. Nell'Appennino, appunto. Per oltre dieci anni, sino alla soglia dei cinquanta, è andato avanti cosi: si sceglieva un pezzo di Appennino, ci trovava una casa e vi si installava. Detto così, di corsa, significa poco: chi lo ha conosciuto già allora ricorda come ogni abitazione dove ha piantato le tende fosse diversa da quelle precedenti e, al tempo stesso, avesse qualcosa che la univa a tutte le altre. Quelle venute prima e quelle che sarebbero arrivate dopo. Ognuna prendeva posto in un album ideale dove aveva già la sua pagina pronta ad aspettarla, con una storia che doveva ancora compiersi del tutto ma che tuttavia, appena lui arrivava nei paraggi, cominciava a mettersi in moto.

Ogni volta c’era l’imbattersi in una casa, sì, abbandonata in qualche luogo sperduto, ma che parlava. C’era la ricerca di chi accampava ancora diritti sulla costruzione e poi l’incontro con i proprietari che di solito avveniva dopo una specie di mosca cieca più complicata, surreale, spiazzante della più imprevedibile caccia al tesoro. Qualche esempio? Eredi di emigrati in Argentina rientrati all'improvviso, quasi avessero un appuntamento fissato da tempo con qualcuno che si sarebbe preso cura di quelle quattro mura da cui erano partiti i loro nonni. Oppure vecchie signorine finite in città e che però, in una vecchia torre avvoltolata dalla rosa canina e protetta da un secolare castagno, avevano lasciato momenti della loro infanzia: ed erano felici di affidarla a qualcuno che prometteva di averne cura senza cacciare via i vecchi ricordi. In qualche caso spuntavano pazzarielli che quando Fabrizio finalmente li raggiungeva e mostrava le foto della casa che chiedeva loro di affittargli lo guardavano con benevolenza e gratitudine, folgorati da attacchi di felicità e di quiete. Come se, all'improvviso, scoprissero che la loro follia era un niente rispetto a quella con cui quel giovanotto magro e alto e con gli occhi chiari stava camminando a braccetto. Una volta trovato dove abitare e sistemata qualche stanza alla meglio, eccolo affrontare ogni giornata esattamente come aveva deciso dovesse essere.

Con la macchina fotografica a tracolla e il blocco degli appunti in tasca, percorreva crinali e cime, vallate e paesi abbandonati che gli stavano attorno. Un anno, un anno e mezzo. Il tempo sufficiente, di solito, per tirar fuori strepitosi volumi fotografici che poi stampava e vendeva in proprio, puntando soprattutto sulle sagre estive giù nelle vallate e su serate di presentazione che lo portavano in un’infinità di posti dove, ogni volta, lo stimavano e apprezzavano. La sua traiettoria è partita dall'estremo occidente, ai confini della Francia, e il suo progetto era di percorrere tutti gli Appennini, anno dopo anno, vallata dopo vallata. E di raccontarli con altrettanti libri.

Ma, arrivato quasi al confine tra la Liguria e la Toscana, è accaduto qualcosa che lo ha convinto a cambiare vita. Sarà stato che, a furia di camminare lungo quei crinali, ci si abitua al mare che fa compagnia appena lì sotto. Si assapora il salmastro e si respira al ritmo di quel mondo liquido che, a differenza delle rocce e delle montagne, non sta fermo un attimo. ?Quando sono fuori in mare, sul mio kayak, anche se è notte o fa freddo, non ho mai pensieri tristi o le paure di un tempo. Quello che penso e quello che sto vivendo in quel momento non sono più distaccati, in contraddizione o ostili. Sono una sola cosa?.

Forse l’essenzialità è la capacità di avere, dentro di sé, un unico sentire. Di stare dentro una vita che pare attraversata da un filo teso che tiene assieme tutto.

Giorgio Boatti, Portami oltre il buio. Viaggio nell'Italia che non ha paura

RECENSIONE 

"Quelli erano i tempi in cui si odiava chi stava meglio, non come adesso che si odiano quelli che stanno peggio. pag.178

“In piedi, davanti all’armadio, pochi giorni prima avevamo pensato al guardaroba, estate sopra, inverno sotto. Finito il lavoro provammo la soddisfazione che ogni cosa fosse al suo posto, e invece da allora in poi non sarebbe stato piú a posto niente. Gli invasori arrivarono e ci colsero impreparati. Se l’avessimo saputo, davvero il cambio degli armadi sarebbe stata l’ultima cosa”.

mercoledì 21 ottobre 2020

La Biblioteca di Katia: RECENSIONE "IL RUMORE DEL MONDO" by BENEDETTA CIBR...

La Biblioteca di Katia: RECENSIONE "IL RUMORE DEL MONDO" by BENEDETTA CIBR...: Il rumore del mondo ...

RECENSIONE "IL RUMORE DEL MONDO" by BENEDETTA CIBRARIO - MONDADORI


Il rumore del mondo

Benedetta Cibrario
pubblicato da Mondadori

Pagine 756

Euro 22,00

 

Il libro

L'ufficiale piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon, di stanza a Londra, sposa Anne Bacon, figlia di un ricco mercante di seta. Quando, dopo essere stata vittima del vaiolo, arriva a Torino, Anne è molto diversa. La vita coniugale si annuncia come un piccolo inferno domestico, ma il suocero Casimiro la invita a occuparsi della proprietà del Mandrone, il cui futuro soltanto a lui - conservatore di ferro - sembra stare a cuore. Tra i due si stabilisce un'imprevedibile complicità e Anne matura amore e dedizione per la vita appartata e operosa che vi conduce. La storia della famiglia Vignon si intreccia ai fili dello spirito del tempo, e non di meno a quelli della seta. Anne Bacon scopre come conquistarsi un posto nella storia di un paese non ancora nato, di un orizzonte ideale che infiamma il mondo. Progressisti e conservatori, al di là degli schieramenti politici, si trovano davanti alla necessità di rispondere al cambiamento e lo fanno agendo - nell'economia, nel costume, nella morale, nella cultura. E l'Italia appare, vista da lontano (complici anime migranti come Anne, e il suo entourage femminile), vista come utopia e come sfida. 


RECENSIONE 

Romanzo storico. Il romanzo di Benedetta Cibrario racconta la vicenda narrativa di Anna Bacon e di Prospero Vignon: lei è una giovane inglese, nipote di un medico e figlia di un ricchissimo mercante di sete; lui l'erede unico di una storica casata, avviato dal padre Casimiro alla carriera militare a servizio di Carlo Alberto di Savoia, il promulgatore dello Statuto passato alla storia come Re Tentenna.

L'incontro dei due giovani è l'incontro di due mondi che faticano a intendersi e che è pure si seducono irresistibilmente: la borghesia industriale e la polverosa aristocrazia, il futuro e il passato, la rivoluzione e la restaurazione in Anna e Prospero, ma anche nel giovane imprenditore Enrico Verra e nel marchese Casimiro che, pur diffidando delle sue idee innovatrici, se ne lascia coinvolgere ed entra infine in affari con lui.

Un'imprevisto arriva a sconvolgere i progetti. Durante il viaggio che deve condurla in Piemonte, al seguito di Prospero, Anna si ammala di vaiolo: qui è la scure che si abbatte imprevista su un'illusione di felicità e che costringe la giovane a compiere un <<giro più ampio>>, per giungere all'edificazione di sè. Analogamente, anche il patto tra Enrico e Casimiro sembra messo a rischio dai colpi della fortuna che si accanisce sull'impresa tessile di Enrico e sul suo orgoglio forsennato, sul suo sogno di diventare il più importante produttore di sete dell'Italia settentrionale.

Ma è Casimiro il personaggio che attrae di più il lettore, con il suo essere sospeso tra memoria e speranza, tra il ricordo doloroso legato alla partecipazione nel lontano 1796 alla campagna antinapoleonica, e il desiderio di riscatto intravisto nel giovane Enrico, tra la diffidenza e la curiosità che l'arrivo a Torino di Anne sintetizza: <<Una brezza di novità che smuove l'aria stantia dell'estate torinese. Possiamo affrettarci a chiudere tutte le finestre, ma non c'è da farsi illusioni, gli spifferi si infileranno ovunque.>>

Il destino di una nazione si specchia così nel destino di questa giovane donna, poichè: 

<<ogni paese ha il suo naufragio, la sua micidiale burrasca e il suo portentoso salvataggio>>.

Il  giardino di Casimiro diventa così, nella finzione del romanzo, luogo dell'innovazione, laboratorio periferico dove le idee, come i semi, attecchiscono o i parassiti: 

<<infettano gli organismi e li minano inesorabilmente>>.

 

lunedì 19 ottobre 2020

RECENSIONE "LA STRADA DI CASA" by KENT HARUF - NNEDITORE

Con il romanzo "La strada di casa", lo scrittore Kent Karuf chiude il cerchio di Hot, villaggio immaginario del Colorado. Il suo mondo è talmente circoscritto che se stai alle sue leggi e al suo gioco-assorbendone l'incanto feroce e rupestre - ti sembra di non aver bisogno di altro.


Kent Haruf 

La strada di casa

NNEDITORE

Traduttore : Fabio Cremonesi
Numero Pagine : 192
Prezzo : 18.00 €

 

 

 

Il libro

Jack Burdette è sempre stato troppo grande per Holt. È fuggito dalla città lasciando una ferita difcile da rimarginare, e quando riappare dopo otto anni di assenza, con una vistosa Cadillac rossa targata California, la comunità vuole giustizia. È Pat Arbuckle, direttore dell’Holt Mercury e suo vecchio amico, a raccontare la storia di Jack: dall’adolescenza turbolenta all’accusa di furto, dal suo lungo amore per Wanda Jo Evans al matrimonio lampo con Jessie, donna forte e determinata. Uno dopo l’altro, i ricordi di Pat corrono no al presente, rivelando le drammatiche circostanze che hanno portato Jack ad abbandonare la città e la famiglia. Il suo ritorno farà saltare ogni certezza, minando la serenità di tutti, specialmente quella di Pat.

Ancora una volta Kent Haruf, con il suo sguardo tenero e implacabile sulla vita e il destino, ci racconta la storia di un’umanità fragile, ostinata e tenace. Scritto prima della Trilogia della Pianura e già con la stessa grazia letteraria, La strada di casa è l’ultima opera di Haruf non ancora tradotta in Italia, il canto di una comunità dolente, un romanzo epico che ha tutti i segni distintivi del classico americano contemporaneo.

Questo libro è per chi cerca punte di frecce nei campi, per chi crede alla promessa di I love you in a thousand ways di Lefty Frizzell, per chi balla tutta la notte senza mai arrendersi alla stanchezza, e per chi torna a casa per vedere le sue montagne, anche se non ci sono, anche se sono soltanto una tenue linea frastagliata all’orizzonte.
 

Autore:

Kent Haruf

Kent Haruf (1943-2014) è stato uno dei più apprezzati scrittori americani, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Whiting Foundation Award e una menzione speciale dalla PEN/Hemingway Foundation. Con il romanzo Il canto della pianura è stato finalista al National Book Award, al Los Angeles Times Book Prize, e al New Yorker Book Award. Con Crepuscolo, secondo romanzo della Trilogia della Pianura, ha vinto il Colorado Book Award. Benedizione è stato finalista al Folio Prize. NN Editore ha pubblicato tutti i libri della trilogia ambientata nella cittadina di Holt, compreso Le nostre anime di notte, uscito postumo nel 2017.

RECENSIONE

I sei romanzi scritti nell'arco di trent'anni sono tutti ambientati a Hot, villaggio immaginario del Colorado: un paesotto talmente stilizzato da condensare in sè la struttura urbanistica. La conformazione morale di una qualsiasi altra comunità montana del West. Hot è proprio come ti piace immaginarla: un villaggio con il suo ufficio postale, la bettola, il bar, e il biliardo affollatissimo.

L'intreccio è quanto di più harufiano si possa immaginare. Tutto gira intorno a tre personaggi: il narratore, un uomo istruito e dimesso alla prese con la morte dell'unica figlia; Jack Burdette, il vigoroso eroe locale, promessa sportiva, impenitente rubacuori, fuggiasco, fanfarone e farabutto di prim'ordine; e per ultima (ma solo in ordine di apparizione) lei, Jessie Miller, la ragazza contesa tra questi due uomini, ex compagni di scuola e di università: una forestiera minuta e coriacea dall'orgoglio morale talmente incontenibile da scantonare nell'autolesionismo puritano.

Per avere un saggio di come lavora Haruf, vi cito una frase con la quale introduce con circospezione la donna:<<Non dava l'idea di una ragazzina al debutto in società o di una creatura schiva. Non era nemmeno realmente graziosa. Cioè, era affascinante, molto affascinante; più avanti, tredici ann dopo, quando la conobbi bene, pensai che fosse la donna più affascinante che avessi mai incontrato e la migliore persona in assoluto. E mi scoprii pronto a qualsiasi cosa per lei. Eppure non era affatto graziosa in senso convenzionale. Non era la ragazza della porta accanto, ottimista e carina, solare e con l'aria impertinente, non aveva niente dell'idea vistosa, californiana di avvenenza femminile>>.

Un insieme di aggettivi di uso comune che non hanno la pretesa di spiegarci chi sia Jessie, ma bensì di chiarire, a scanso di equivoci, chi lei non è. Autore Haruf, senza fronzoli, essenziale il suo colpo di genio è quello di insistere sul fascino, ovvero sulla qualità umana, e insieme la sola davvero resistente agli oltraggi del tempo.

Assimilare Haruf alla famiglia è alquanto mai paragonabile ai narratori ritrosi: la sua riluttanza è ricordata anche nella descrizione dell'ex moglie.

"In effetti non ho molta voglia di parlare di Nora Kramer. E di sicuro lei non ha nessuna voglia che io parli di lei. Perchè Nora era - ed è - una persona molto riservata e si risentirà senz'altro per la violazione della sua privacy. Però non posso farne a meno: che le piaccia o no, è parte di questa storia. Dopotutto siamo stati insieme per diciotto anni e abbiamo anche avuto una figlia".

Come vedi da queste citazioni, puoi capire come Haruf scriva per sottrazione, sembra che scriva non perchè ne abbia davvero voglia, ma perchè non possa farne a meno. Il contegno dei suoi eroi può apparire solido come un monolite e limpido come una gelida mattina di dicembre. A un'occhiata più attenta, ti rendi conto che non è così; allora capisci che una delle preoccupazioni di Haruf è proteggere il mistero dei suoi personaggi.

Ciò che conferisce il tono tragico alla sua narrativa è il fatalismo di cui è foderata la storia, e il senso del tempo. Tanto per dire, sono pochi gli scrittori contemporanei capaci di far invecchiare i personaggi in modo altrettanto credibile e toccante. Ecco perchè quando leggo Haruf, mi viene subito in mente Clint Eastwood. Forse perchè i suoi eroi e le sue eroine, proprio come quelli di Eastwood, reagiscono agli schiaffi della sorte con un misto di coraggio e fatalismo, dando prova di un'integrità incapace di cedere al compromesso.

Eppoi, come non lasciarsi attrarre dal senso dell'umorismo?

"Quando Wanda Jo scopre che Jack Burdette, il suo grande amore dai tempi della scuola, ha sposato un'altra donna.>> <<Immagino>> commenta il narratore, <<che per certe persone una cattiva notizia possa risultare letale. Specie se è improvvisa e inaspettata. O meglio se non ci sei abituata, se finora hai tirato avanti in modo passivo, sperando che tutto sarebbe andato bene malgrado fosse evidente il contrario, se hai ventinove anni e credi ancora che un uomo ti sposerà solo perchè gli hai lavato i calzini sporchi per otto anni e sei andata a letto con lui ogni sabato sera per tutto quel tempo, allora credo che una cattiva notizia possa ucciderti. In ogni caso per Wanda Jo fu più o meno così. Perchè in un certo senso Wanda Jo Evans morì quel giovedì mattina di aprile.>>

 

 

La Biblioteca di Katia: Recensione - Nuova edizione commentata delle opere...

La Biblioteca di Katia: Recensione - Nuova edizione commentata delle opere...: Dante da rileggere all'infinito "La scala della Nuova Edizione Commentata delle Opere è incomparabile. Sono tomi consistenti, chiar...

Recensione - Nuova edizione commentata delle opere di Dante. Vol. 5: Epistole. Egloge. Questio de aqua et terra. NECOD - Salerno Editore


Dante da rileggere all'infinito

"La scala della Nuova Edizione Commentata delle Opere è incomparabile. Sono tomi consistenti, chiari ed esaurienti, che affrontano con molte novità testi e problemi discussi da centinaia d'anni."

Nuova edizione commentata delle opere di Dante. Vol. 5: Epistole. Egloge. Questio de aqua et terra.

Editore: Salerno
Anno edizione: 2016
In commercio dal: 19 maggio 2016
Pagine: LXXXIV-837 p., Rilegato


Il libro

Il volume raccoglie alcune opere latine di Dante, di cui si fornisce un nuovo testo critico, o criticamente riveduto, corredato di una traduzione integrale di un ampio e puntuale commento. Le Epistole, tutte composte dopo l'esilio del 1302, documentano le vicende personali del poeta, con riferimenti, talora accalorati, sulle principali questioni del tempo, tra cui la discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII, la crisi della Chiesa e dell'impero. Tra le lettere un rilievo particolare assume la tredicesima, con la quale Dante dedica il Paradiso a Can Grande della Scala, il signore di Verona che a lungo ospitò il poeta esule. Essa costituisce una preziosa e densa introduzione d'autore alla Commedia. Le Ecloge, scritte in risposta alle richieste del maestro bolognese Giovanni del Virgilio, che lo aveva sollecitato sul tema della poesia in lingua volgare, sono l'unica ed eccelsa testimonianza dell'Alighieri versificatore latino. La Questio è infine la dotta questione di filosofia naturale dibattuta da Dante nel Gennaio del 1320. Grazie a un ampio apparato esegetico, questa nuova edizione offre al lettore, un testo criticamente accertato, insieme a una densa appendice di fonti. 
 
RECENSIONE
 
I centenari sono occasioni importanti e nefaste: ogni ente culturale ed ogni editore che aspiri alla notorietà vuole celebrarli. 
 
Molto interessante, per esempio, la trattazione - nel V volume della cosiddetta <<Epistola a Cangrande>>.
 
La Salerno Editrice, non solo pubblica da anni l'Edizione Nazionale dei commenti danteschi, ma si prepara, sin dal Novanta del secolo scorso, a pubblicare la NECOD: Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante.
 
Per il VI centenario della morte, quello del 1321, un gruppo di studiosi guidati da Michele Barbi aveva fatto nascere Le Opere di Dante. Testo citico della Società Dantesca Italiana, la cosiddetta <<Edizione del Centenario>>: memorabile, ma sprovvista di commento. In vista del VII centenario della nascita del poeta, nel 1965, si era coagulata l'iniziativa Ricciardi che, iniziata con la Divina Commedia di Natalino Sapegno nel 1957, è in realtà terminata soltanto nel 1988.

Allora prendeva ormai corpo, dopo l'edizione <<secondo l'antica vulgata>> della Commedia di Giorgio Petrocchi, l'iniziativa dei Meridiani Mondadori: nei quali, a seguire la Commedia commentata da Anna Maria Chiavacci Leonardi (1991-94), uscivano due volumi di Opere tra il 2011 e il 2014.

Tanto, per la storia. La quale documenta il generarsi infinito dell'esegesi e il suo protrarsi se non infinito comunque pluridecennale. La scala della NECOD è tuttavia incomparabile: più di 900 pagine, per esempio, per un volume, degli otto (uno per gli Indici) previsti e dei cinque già usciti. E poi, vengono i <<cardini>>, che Enrico Malato, motore primo dell'impresa, riassume così, dopo averli più pienamente enunciati già nel 2004 in Per una nuova edizione commenta delle opere di Dante e averne fornito Saggio applicato a Inferno I nel 2007: <<attenzione alla rigorosa ricostituzione della lettera dei testi, massimo impegno nella illuminazione esegetica>>.

Più facile, si direbbe, a disegnare che non a realizzare. Invece, i volumi della NECOD sono proprio così: non roba, certo, da portare sulla spiaggia, ma tomi consistenti, chiari ed esaurienti, dal prezzo contenuto, che affrontano con parecchie novità testi e problemi discussi da centinaia d'anni, e con particolare intensità nell'ultimo secolo. 

In questo volume V, per dirne una, si parla estesamente della cosiddetta Epistola a Cangrande, separata per l'occasione dal corpus delle altre dodici. E' quella, celeberrima, e della cui attribuzione a Dante si dibatte con acrimonia da decenni, nella quale, dopo la dedica a Cangrande della Scala del Paradiso, qualcuno che si definisce <<fiorentino di nascita, non di costumi>> si dà a introdurre la Commedia intera, e poi a presentarne l'ultima cantica. E' qui che l'autore dell'Epistola parla della polisemia del poema e richiama l'interpretazione del Salmo 113 (In exitu Israel de Aegypto) per applicarne la griglia di senso letterale, allegorico, morale e anagogico alla Commedia stessa.

Se l'autore della lettera è Dante - e Luca Azzetta, che la introduce e la commenta nel volume, offre non pochi indizi a favore di questa ipotesi - si tratta di un momento emozionante. Un grande scrittore, uno appunto dei tre o quattro sommi d'Occidente, che fa autoesegesi, cioè che commenta un testo suo (all'epoca, l'esegesi era riservata alla Bibbia e ad Aristotele).
 
Dante sarebbe così (quasi) perfettamente coerente con se stesso, visto che aveva iniziato a compiere tale operazione già con la Vita nova e l'aveva poi estesa e approfondita col Convivio ("quasi" perchè se aveva usato nel trattato l'allegoria dei poeti, sembra ora impiegare l'allegoria dei teologi). Per capire la portata di questo autocommento basta pensare a un Omero che decida di introdurre l'Odissea, a uno Shakespeare che illustri l'Amleto, a un Cervantes che spieghi i sensi riposti del Chisciotte.

Leggere l'Epistola a Cangrande come se uno non l'avesse mai letta è un'esperienza unica, che chiunque si occupi di letteratura dovrebbe fare. C'è in essa la passione argomentativa che si ritrova in tanti brani del Paradiso, c'è la presenza di quella <<mente innamorata>> che fa dire al poeta, nel canto IV dell'ultima cantica, che il nostro intelletto non si sazia se non lo illumina quella verità, Dio, al di fuori della quale nessuna verità può aver luogo. 
 
Dante usa, per l'attività dell'intelletto umano, un'immagine del mondo animale: dice che l'intelletto si riposa in quella verità come la fiera nella sua tana, non appena l'abbia raggiunta - e può ben raggiungerla, altrimenti il desiderio di verità innato nell'uomo sarebbe vano.
 
Non aveva forse aperto il Convivio, Dante, ripetendo la frase iniziale della Metafisica di Aristotele, <<tutti li uomini naturalmente desiderano di sapera?>> Non lo riprendeva all'inizio del Paradiso, affermando che <<appressando sè al suo desire,/ nostro intelletto si profonda?>> Ecco, la pronuncia ancora una volta qui: <<l'intelleto umano in questa vita, per la connaturalità e l'affinità che ha con la sostanza intellettuale separata, quando si eleva a tal punto che la memoria, dopo il ritorno, viene meno, per avere trasceso la misura umana>>.
 
 Scrivere frasi del genere, direbbe Dante stesso, <<non è impresa da pigliare a gabbo>>, perchè vuol dire <<descriver fondo a tutto l'universo>>. E in questo volume V della NECOD di tale <<fondo>> si vedono diverse testimonianze. Per esempio, quella Questione sull'acqua e sulla terra giudicata spesso mero esercizio di scuola e talvolta, anch'essa, non ascritta a Dante, è, come ben mette in luce Michele Rinaldi, un piccolo trattato cosmografico.

Le Egloghe, la risposta di Dante a Giovanni del Virgilio, il professore bolognese che lo invitava a comporre un poema in latino su qualche evento contemporaneo, documentano con non poca ironia la superiorità e a un tempo l'umiltà dantesca. Lui, ora che sta terminando la Commedia in volgare, non si rifà al Virgilio dell'Eneide. Al massimo confezionerà delle Bucoliche

Resta attaccato al perseguimento della verità, Dante. Quando, come emerge dall'Epistola XII, rifiuta di ritornare in patria soggiacendo a condizioni che considera umilianti, esclama: <<Forse non vedrò ovunque i raggi del sole e delle stelle? Forse non potrò investigare le dolcissime verità ovunque sotto il cielo, se prima non mi renda privo di gloria, anzi disonorato al popolo della città di Firenze?>>.

 

mercoledì 14 ottobre 2020

RECENSIONE "UN TEMPO GENTILE" by MILENA AGUS - NOTTETEMPO



Milena Agus

Un tempo gentile

NOTTETEMPO

  • pagine: 204 - 14x20
  • Data Pubblicazione: 27/08/2020
  • collana: narrativa

 

Il libro

In un piccolo paese dell’entroterra sardo, nel Campidanese, le vite degli abitanti procedono senza troppe scosse, riparate dai muri grigi delle case rimodernate con blocchetti di cemento e arrese alle monocolture di carciofi e biomasse. Un paese “perduto”, con le erbacce nei giardini e senza piú vocazione, che si è arenato su una secca e dimenticato del mondo che lo circonda. Finché non arrivano “gli invasori”: una manciata di migranti che vengono da lontano e di volontari che li accompagnano, destinati a sistemarsi nel Rudere, una casa abbandonata con le finestre sgangherate aperte sulle colline. Lo sconcerto assale tutti, paesani e invasori: “Non era questo il posto”, si ripetono da entrambe le parti – l’una spaventata da quella novità indecifrabile piovuta all’improvviso da chissà dove, l’altra catapultata in quel “corno di forca di paesino sardo” dove i treni non si fermano piú. Ma la vita, anche quando sembra scivolare nell’insensatezza, è sempre aperta al futuro, è sempre un “fare, disfare e rifare”. E se nel tempo imprevedibilmente gentile di quello strano consorzio umano gli orti tornano a germogliare, il Rudere a popolarsi, le emozioni a dilagare, qualche traccia di nuovo resterà comunque a cambiare i colori delle cose.


Milena Agus è nata a Genova da genitori sardi e vive a Cagliari dove ha insegnato Italiano e Storia al Liceo Foiso Fois. È autrice di sei romanzi, Mentre dorme il pescecane (2005), Mal di pietre (2006, nuova ed. 2016), Ali di babbo (2008), La contessa di ricotta (2009), Sottosopra (2012) e Terre promesse (2017), tutti editi da nottetempo, vincitori di numerosi premi e tradotti in piú di venti lingue. Nel 2014, sempre per nottetempo, ha pubblicato con Luciana Castellina Guardati dalla mia fame.


RECENSIONE 

Fatiscenti le case antiche, inadeguate le costruzioni èiù recenti a reggere gli urti della vita. Questa è per lo più uno dei paesi della Sardegna. Quanto è imbarazzante, ad ogni esodo di immigrati, chiedere ai nostri migliori scittori, u commento sull'accaduto. Da troppo tempo il Pese evita di mettere mano a questo enorme problema. Per quanti altri decenni saremo condannati a tornare periodicamente a piangere vittime del tutto evitabili?

E' il nostro secolo, lo abbiamo fatto così. Tutte le persone normali almeno una volta hanno pensato di andarsene. Solo chi è senza cuore non si è posto il problema. Oggi sono i Rimasti a far discutere. Casualità o scelta ponderata: coraggio necessario per affrontare qui un presente pericoloso o paura di un viaggio verso l'ignoto; opportunismo, amore, orgoglio, senza sapere di aver fatto la scelta giusta fino a quando (tutto finirà). I giovani non aspettano altro per tornare a riempire della loro vitalità le strette vie dei quartieri oggi multietnici.  

Nelle zone tradizionalmente più turistiche si tiene aperto solo nell'illusione di una normalità che non c'è, e all'imbrunire tutto torna silenzioso e deserto. L'Italia, miraggio di tanti migranti è il contrario: la vita esplode la sera non è un'illusione, ma una nuova speranza.

Quando insisto ad osservare il volto di un uomo, è perchè nelle sue rughe cerco il mio volto, e quando insisto ad osservare il mio volto di migrante, è perchè sono "di là", ma sono di qua. Sono l'attimo in cui sono nato, ma sono di qua.

 Quando insisto ad osservare un pozzo scavato nel vuoto, è perchè conto i miei giorni, o i naufraghi, è perchè io sono "di là", ma sono qua.

 In questo secolo, come mai prima d'ora, il Bene e il Male non hanno senso, nè in sè nè nel loro rapporto dialettico, sono così sottilmente combinati, e non a casaccio, entro una misteriosa formula.

Se la paura, provoca infallibilmente il collasso, ci ritroviamo, come dopo una invasione, in un mondo o nell'altro, ciò che non si annichila in questo si annichilirà in quello. Che memoria, allora, avremo?

Dietro alla finestra che s'affaccia sul mondo, siede un uomo che cerca la propria memoria: ma la memoria, ora, è colpita dal viaggio, dalla fame, sete, stanchezza, che memoria forata e umefatta avremo? La memoria è maschile e femminile, si sposa e genera, ma oggi quando concepisce un bambino, vedremo sulle sue labbra la stessa patina viola del grano lasciato nel campo per quarant'anni.

Le tristi melodie d'amore delle vite di chi ha cercato e ritrovato un'idea di normalità, hanno accompagnato le vittime di tutte le fedi. Ora offrono momenti comuni di conforto a tutti i Rimasti nella tragedia senza fine. I fratelli non si scelgono, nè i loro compagni. 

Nel castello reale come propria terra d'origine, gli uomini gli parvero tristi, si muovevano come nere marionette. Non riusciva a comprendere come la sua Patria lo condannasse. Quelle strade scure non erano la sua patria. Alberi senza foglie, freddo, donne imbacuccate in scialli e fazzoletti, forse non era che un sogno.

Quanto vale la vita di un essere umano? Questa è la domanda radicale. Come è bene che sia per un dilemma tanto radicale, che lascia ad ogni risposta lo spazio narrativo per giustificarsi. Quale è la nostra scelta morale. E ancora, non si rischia forse di dare ragione ai fanatici, agli invasori, se non si decide che la vita di ogni essere umano debba valere non solo più delle vite di tanti, ma anche più di quelle di tutti i principi sommati fra loro?

Questioni di vita o di morte, appunto? Nelle pagine del romanzo di Milena Agus, troveremo donne sole, coraggiose che, sfidano il lettore a guardare oltre, con uno spiraglio di speranza. Scoprendo di loro (le donne), la loro presenza nella storia che, spesso le cose non sono come pensiamo.

Non pensiate che il paese fosse ridotto in questo stato perchè eravamo pigri. Ma una sorta di maledizione ci impediva di immaginare il futuro, di cambiare davvero le cose importanti e così ci limitavamo alle stupidaggini di ordinaria amministrazione come il cambio degli armadi, le lenzuola perfettamente stirate, la lucidatura dei rubinetti, anzichè aggiustare le case, le strade, le tubature marce, o interessarci di politica. All'arrivo degli invasori avremmo capito che l'ansia, lo smarrimento, la paura, il senso di angoscia fanno parte della condizione umana e riguardano noi come voi, come tutti, e ci saremmo sentiti meno soli, più universali, meno timorosi dei minestroni di razze, culture e cose del genere. Il bello era che prima dell'arrivo degli invasori, stavamo sempre insieme e non sapevamo cos'era la solitudine. Noi sardi siamo accoglienti, ma se capiamo che desiderare stare soli, soli vi lasciamo, per sempre.