mercoledì 20 dicembre 2023

DIRITTI E SALARI, IL LAVORO E' CAMBIATO. SIAMO TORNATI INDIETRO DI UN SECOLO.

Diritti e salari, il lavoro è cambiato. Siamo tornati indietro di un secolo

Il lavoro che non c'è. E quando lo trovi non ti senti al sicuro lo stesso. Il futuro dell'occupazione visto dall'altra parte dell'Atlantico, dove per qualcuno il precaraito è, spesso, sinonimo di flessibilità. Ma è proprio così? <<La flessibilità è un termine ampiamente utilizzato negli Sati Uniti; ma il problema è: la flessibilità per chi? Il più delle volte è una flessibilità a vantaggio solo di parte: i datori di lavoro che decidono le regole. Mentre i lavoratori devono adattare la propria vita a soddisfare queste nuove esigenze. Diventare disponibili a offrire la loro prestazione ogni volta che il datore di lavoro lo richiede. Tutto ciò ha incrementato l'insicurezza per il posto. La linea che divide il precariato dal lavoro nero o non riconosciuto, spesso, è molto labile. Però in altri versi, sembra si stia tornando indietro a un modello antico di capitalismo. Come si immagina il mondo del lavoro domani?

LA FEDE E' PUBBLICA, ANZI PUBBLICITARIA.

Dal caffè paradisiaco al Suv divino, stiamo assistendo alla fine del monopolio delle istituzini ecclesiastiche sui simboli confessionali. Un fenomeno graduale, la <<mlignità>> dei creativi no c'entra. Spiegare il crescente ricorso alla religione nella pubblicità con <<l'atribuzione all'industria pubblicitaria di una volontà perversa di sfruttamento spiegata attraverso la presunta <<malignità>> dei pubblicitari. I simboli della fedi <<appaiono al pubblico non più come parte di un sapere che richiede la mediazione di esperti religiosi, bensì come un sistema di conoscenza condiviso e noto a tutti>>. Mentre la religione tradizionale perde il controllo sui propri simboli, il istema della pubblicità trae dalla sua sintonia commerciale con il pubblico un <<patrimonio di credibilità>>, grazie al quale può permettersi di sfidare l'autorità religiosa.


L'EUROPA PUO' SALVARSI SE DIVENTA AMERICANA?

Concorrenza globale, invecchiamento della popolazione, crisi del mondo arabo e migrazioni di massa sono sfide che non si possono affrontare su scala nazionale. Chi lo pensa sbaglia tutto.

L'Europa può salvarsi 

se diventa americana?

MANCANZA DI FIDUCIA. MA DAVVERO, CACCIATA FUORI ALLA PORTA, RIENTRA DALLA FINESTRA?

 

Mancanza di Fiducia. Ma davvero, cacciata fuori dalla porta, rientra dalla finestra?


martedì 19 dicembre 2023

Post del 20/12/2023


In questo tempo di trasparenze a doppio taglio, di confini: <<Chi è la nostra meglio gioventù?>>

POST DEL 19/12/2023

 

Di fronte ai crimini contro l'umanit che senso ha scrivere <<bene>>?

martedì 12 dicembre 2023

UN INIZIO ANNO 2024 MAGICO.

 UN INIZIO ANNO 2024 MAGICO


 

SOLO A TOCCARCI.

Solo a toccarci

e a stringerci abbracciati

sapremmo tutto

delle nostre storie,

del vuoto che ha lasciato

qualcun altro

e del bisogno

di chiudere comunque la ferita

riconsegnando al tatto

tutta la sorpresa della vita.

LE MONTAGNE DA SPOSTARE.

 

Le montagne da spostare sono dentro di noi.

Le librerie sono un paradiso di tentazioni da sfogliare.

gennaio 2012 – Affascinailtuocuore 

Le librerie sono un paradiso di tentazioni da sfogliare.

CHI E' ADESSO IL TESTIMONE DELLA MIA VITA?

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Chi è adesso il testimone della mia vita?

L'ARTE E' UN ROMANZO.

L'arte è un romanzo

Misteri, passioni, vite straordinarie e, sullo sfondo, la storia. Dai tormenti di Artemisia Genileschi ai segreti di Edvard Munch, quando l'arte e gli artisti del passato diventano protagonisti della narrativa.

Quello de romanzo storico è un filone narrativo antico e ben consolidato, che negli ultimi decenni ha generato numerosi sottofiloni, quasi spin off, di successo. Tra questi, uno dei più frequentati è il romanzo storico d'arte, in cui l'atmosfera di un'epoca del passato fa da sfondo alla biografia di un protagonista dell'arte, notissimo o da riscoprire, o alle vicende di un'opera famosa. L'apripista di questo sottogenere di successo, diventato fenomeno editoriale, è stato il bestseller La ragazza con l'orecchino di perla di Tracy Chevalier (Neri Pozza 2000), di cui si celebra il ventennale: il libro, diventato anche un film per la regia di Peter Webber (2003), narra la nascita deò  celebre dipinto Ragazza con turbante di Johannes Vermeer (1632-1675) e la relazione silenziosa che si instaura tra il grande pittore e la sedicenne modella, la popolana Griet.

E visto che la storia dell'arte racchiude un tesoro di storie, tra biografie di artisti misteriosi o inquieti , e indagini su dipinti o sculture enigmatiche, il filone si è ingrossato e i romanzi che mescolano arte e storia sono numerosissimi. Spesso, si tratta di storie che riscoprono talenti misconosciuti, oggi rivalutati dalla critica. Ad esempio, ne La passione di Artemisia di Susan Vreeland (Neri Pozza, 2002) si racconta la biografia poco nota della prima pittrice donna a ottenere un riconoscimento pubblico, Artemisia Gentileschi (1593-1654), che pure patì in vita violenze e umiliazioni: stuprata dal suo maestro, fu costretta ad un matrimonio riparatore nella Roma del Seicento.

Una figura femminile di progettista, poco nota e riscoperta dalla letteratura, è Plautilla Bricci: Melania Mazzucco ne ha fatto la protagonista del suo romanzo L'architettrice (Einaudi, 2019), in cui ha raccontato la vita e le relizzazioni di questa architetta, dalla Villa Benedetti alla risistemazione di palazzo Testa-Piccolomini, alla decorazione della chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma.

Non romanzi ma biografie letterarie sono le storie narrate da Elisabetta Rasy ne Le disobbedienti (Mondadori, 2019): le vicissitudini, gli amori, i dolori e i talenti di sei donne ostinate e coraggiose che hanno cambiato la storia dell'arte, da Elisabeth Vìgee Le Brun a Berthe Morisot.

Innumerevoli i libri che indagano episodi poco noti della vita dei grandi pittori: La ragazza delle fragole di Lisa Stromme (Giunti, 2016) racconta un amore appassionato e segreto del grande pittore Edvard Munch, artista solitario e guardato con sospetto dai vicini di casa, gli abitanti dei fiordi norvegesi. Ambientato nel Quattrocento Il ragazzo di Bruges di Gilbert Sinouè (Neri Pozza, 2009), che introduce una trama thriller nella biografia del pittore Jan Van Eyck (1390 circa-1441) e descrive l'ambiente artistico europeo trasformando in personaggi romanzeschi artisti come Donatello, Antonello da Messina e Brunelleschi.

Per comprendere meglio il genio di Leonardo da Vinci, si approfondisce la storia della sua famiglia nel romanzo L'ombra di Caterina di Marina Marazza (Solferino, 2020): la vicenda della madre Caterina rivela in controluce le tappe della vita di Leonardo, raccontando l'irresistibile ascesa del giovane scienziato, ingegnere e artista.

Altro artista dalla biografia affascinante, personaggio oscuro e inquieto che ha solleticato spesso la fantasia degli scrittori, è Caravaggio. A lui è dedicato il romanzo di un'autrice che ha fatto del genere storico artistico il suo favorito, Alex Connor: in Caravaggio enigma (Newton Compton, 2019) la narrazione segue l'artista nella sua vita rocambolesca tra passioni, amicizie ambigue, pericolose frequentazioni e violenti delitti.

 

CONFESSO CHE HO VISSUTO

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Confesso che ho vissuto

Di quel pomeriggio

vestito di brina dal tempo

rimarrà in bianco il tuo quaderno

dove scrivevi tutto

il cuore logorato dalle intemperie.

E sai

che è impossibile tornare a ciò che è stato

che adesso lo scettro

un tempo di benvenuto

  è oggi monarca di quel poco

            e signore di ciò che resta del nulla.

        Fa ciò che è giusto

               benchè sia alto il prezzo

                 e crudele il suo verdetto.

                           Forse la vita non è altro che questo:

                E in pienezza insisti

                         a sfoggiare con orgoglio ogni ferita

                       poichè vivere ti costerà sempre la vita.

LE STAGIONI DELLA LETTERATURA

 

Le stagioni della Letteratura

La primavera di E. M. Foster, George Elliot, Elizabeth von Arnim; l'estate di Francis Scott Fitzgerald, Ian McEwan, Philip Roth; l'autunno di Donna Tartt e Shirley Jackson; l'inverno di Stephen King e Agatha Christie. Questi (e altri autori) ci accompagnano in un viaggio attraverso le stagioni nella letteratura. Con due cicli completi che le abbracciano tutte e quattro: quelli, recenti di Karl Ove Knausgard e Ali Smith.

Stupisce che in tutta la storia della letteratura si sia dovuti arrivare all'oggi, al maestro dell'autobiografia Karl Ove Knausgard (in Autunno, in Inverno, in Primavera, in Estate, usciti in riginale tra il 2015 e il 2018, in Italia tradotti da Margherita Padestà Heir per Feltrinelli) e alla sottilissima inglese Ali Smith (Autunno, Inverno, Primavera, Estate - curiosamente nello stesso ordine scelto dal norvegese - dal 2016 al 2020; l'ultimo volume esce il 7 luglio tradotto da Federico Aceto per Sur, come gli altri, perchè qualche scrittore dedicasse una serie di romanzi alle quattro stagioni, tra gli archetipi più ovvi e profondi per l'essere umano.

Se invece di pretendere il quartetto vivaldiano si va sulle singole stagioni, diventa invece possibile costruire piccoli canoni letterari: si può cominciare dalla primavera, che è lo scenario di testi capitali con Camera con vista di E. M. Forster, Middlemarch di George Eliot, che non potrebbe esistere senza una certa energia primaverile - anzi, <<a certain spring energy>> - nell'aria, ma anche testi minori di gran pregio, come Un incantevole aprile di Elizabeth von Arnim, irriverente romanzo anni Venti pubblicato da Fazi, o La primavera romana della signora Stone, aspra novella di tennesse Williams a base di gigolò e attrici decadute, oggi fuori catalogo ma facilmente reperibile nell'usato viste le molte edizioni di Garzanti susseguitesi in passato.

Se la primavera è adatta a emozioni sospese e mezzitoni, l'estate chiama, invece, grandi sommovimenti interiori ed esteriori: è la stagione di riferimento per Francis Scott Fitzegerald, che vi ambienta sia Tenera è la notte che Il Grande Gatsby, è lo sfondo delle intense vicende del Buio oltre la siepe e dei drammi di Espiazione di Ian McEwan (einaudi); si presta agli autodistruttivi Misteri di Pittsburgh di michael Chabon (Mondadori, poi Rizzoli) come all'apparentemente più rilassato ma in realtà abissale Libro dell'estate di Tove Janssn (Iperborea); sui carica di disperazione con l'epidemia di polio di Nemesi di Philip Roth (Einaudi), ma si presta anche allo struggente romanzo di formazione dell'Estate incantata (Mondadori), di un Ray Bradbury per una volta fantascientifico. E' l'este fattuale (in questo caso quello del 1972) può diventare anche un luogo dell'anima, come ci ricorda L'estate infinita del nostro Eduardo nesi, Bompiani (o, in America e in epoca più recente, il sottovalutato Sag Harbor dell'altrimenti celebratissimo Colson Whitehead).

Come la primavera, l'autunno tende a evocare sentimenti meno netti, ma c'è chi sa sfruttarlo al meglio per seminare dubbi e pertuabare, come Donna Tartt nel suo Dio di illusioni (Rizzoli); e il contesto accademico, còlto sempre nel momento decisivo del rientro autunnale, è sfruttato al meglio anche da A. S. Byatt nel suo Possessione (Einaudi). Si serve delle suggestioni dell'autunno, stavolta in senso malinconico, anche John Irving nella sua elegia adolescenziale Le regole della casa del sidro (Bompiani), mentre Shirley Jackson localizza le note più oscure della stagione con l'indagine sul male di Abbiamo sempre vissuto nel castello e con lo straordinario ribaltamento dei topos horror dell'Incubo di Hill House (entrambi Adelphi).

Grande ammiratore di Jackson è Stephen King, che sceglie l'autunno per il suo It (Sperling & Kupfer) ma mostra una maggiore vocazione per l'inverno come sfondo di storie di paura: tra le tante spiccano, gelidi come una stagione invernale che anzitutto esclude e isola dal mondo esterno, i capolavori di Misery (Sperling & Kupfer) e Shinning (Bompiani). L'inverno, più che da sfondo, fa da muro: e lo sa bene Agatha Christie, che d'inverno ha ambientato il suo Assassinio sull'Orient Express (Mondadori), che dietro la facciata del giallo <<whodonit>> si candida in segreto a <<grande romanzo invernale>>. Gli sfidanti? Il dottor Zivago di Borsi Pasternak (Feltrinelli), Amabili resti di Alice Sebold (e/o) e La bambina di neve di Eowyn Ivey (Einaudi).

giovedì 7 dicembre 2023

REVIEW: JON FOSSE. L'UOMO CHE PREGA E SCRIVE.

 Il 10 dicembre il norvegese riceverà il Nobel.


In quasi tutti i libri di Jon Fosse c'è un uomo che prega. Quasi sempre quest'uomo è un pittore, o meglio, è un pittore che crede in Dio, un credente la cui fede però attiene a qualcosa di più di una religione, direi piuttosto a un sentimento panico nei confronti dell'esistente.

Questo artista, tutt'altro che famoso, ma abbastanza noto da sopravvivere grazie ai suoi quadri, ogni volta si aggrappa ad un rosario come minuscolo salvagente. Il suo è un afflato verso un Dio tutt'altro che onnipotente, un Dio che non ha creato il cielo e la terra e noi umani secondo un disegno imperscruitabile, ma è sceso accanto a noi, si è abbassato indossando le nostre sembianze e la nostra carne per condividere il dolore e la gioia (poca), di quest'avventura terrestre.

Il protagonista dei romanzi di Fosse in genere non è un uomo particolarmente disperato, è solo consapevole, in ogni istante, dell'intrinseca fragiltà che scorre nelle vene del mondo, nelle cose che ci circordano  e nei rapporti che ci legano gli uni agli altri. Il suo Dio non può promettere nessun risarcimento, nessuna prospettiva compensativa alla sofferenza terrena, nessun aldilà da vagheggiare, ma neppure si sottrae, anzi, il Dio pregato da Fosse è sempre presente e non nasconde la sua impotenza di fronte al male che ci vessa. 

Questo, alla fine, è il suo modo di amarci: l'amore di dio sta nel vivere con noi lo sbigottimento di fronte alla malattia incurabile di un bambino, ad esempio, e a tutte le atre sciagure che ci fanno sentire la vita, come profondamente ingiusta. 

Solo sotto questo profilo Dio è infinito, lo è cioè in quanto infinitamente amorevole. Questa è la caratteristica principale dell'opera di Fosse: la frontalità. Lo scrittore norvegese si getta nelle questioni capitali dell'esistenza già dalla prima frase e continua praticamente fino all'ultima, assecondando un flusso di pensieri che sgorga senza un vero inizio nè una vera fine dentro una storia con pochi personaggi, quasi sempre gli stessi, che si avvitano e si sdoppiano in destini pieni di specchi fino a diventare il brontolio che accompagna il lettore, la sua stessa voce interiore. Proprio perchè dalle prime parole del libro si precipita in medias res, tutto ciò che viene raccontato, le azioni dei personaggi, i dialoghi, l'ambiente che li circonda (una Norvegia abbozzata eppure folgorante), tutto è fagocitato da un monologo ininterrotto che si priva di pause e di punti fermi. 

Da quanto detto si distinque in arte Malanchonia, un dittico che esce ora in un unico volume presso La Nave di Teseo, un doppio romanzo del 1995, dove la punteggiatura è ancora governata da un narrato tutto sommato affidabile (ma già sulla via del delirio), identificato nella prima parte con il pittore protagonista, in questo caso un artista relamente vissuto, Lars Hertervig, uno dei più grandi paesaggisti dell'800, qui colto nell'estenuante ruminazione della sua vicenda umana, osservata dal letto del suo ultimo giorno, quello che precede il suicidio.

Il pittore di Melancholia è un derelitto segnato dalla follia, un uomo vissuto di elemosina finchè non è    stato rinchiuso in manicomio, ma non per questo manca della lucida franchezza, della frontalità di cui sono dotati i protagonisti del romanzi successivi. 

Una franchezza che richiama anche Heerervig alla religiostà delle cose ultime: la bellezza di un cielo o di un seno femminile, l'eleganza di una giacca color malva e anche sì, sempre, la tentazione della carne. Tutte le verità che sprizzano, ad esempio, dai dialoghi memorabili di Hertervig con il sorvegliante Hauge. Nella seconda parte come Vidme, scrittore fallito, secondo la voce narrante, a tratti in terza persona, per non aver colto la possibilità di riscattarsi scrivendo un libro su Hertervig, colui che ha saputo <<cavar fuori alcuni segreti umani che si nascondono nelle nuvole>>. Vidme è uno dei primi alter-ego che poi affolleranno l'opera di Fosse, un trentenne che detesta la chiesa norvegese eppure si sente costretto a cercare un prete (e finisce per trovarne uno, donna). Poi, d'un tratto, ecco che prende la parola la sorella del pittore pazzo, in un monologo di un centinaio di pagine che da solo vale il Nobel.

A differenza dei romanzi successivi, dove trionferanno le sigarette, in Melancholia, c'è una pipa, oggetto di culto, forse simbolo alchemico, come la bilancia nella famosa incsione di Durer. Ma per il resto questo romanzo è in piena continuità con le opere che seguiranno, mi riferisco soprattutto ai tre volumi di Settologia, dove il pittore Asle, stavolta a noi contemporaneo e frutto dell'immaginazione dell'autore, passa in rassegna la sua vita mentre la vive, cucendo in una spirale di pensieri presente e passato, vivi e morti, piccole gioie del quotidiano insieme alla frustazione e al rancore per i giorni che non torneranno.

Sono parte della continuità nei romani di Fosse. Una è la quotidianità spartana dei protagonisti. La stanza in affitto, la mensa frugale, il dialogo perpetuo con il proprio sè alienato in una figura autonoma, un ater-ego sbalzato sulla superficie della pagina come un bizzarro altorilievo, un sosia uscito dallo specchio e messosi in cammino tra le cose per conto proprio.

Un'altra continuità è la mancanza, il dolore di un'assenza e la sua sempre incompleta elaborazione: i protagonisti di Fosse sono vedovi o comunque sono stati lasciati dalla donna che amavano. Una terza continuità è l'immanenza dei morti, come non pensare ai Dublinesi di Joyce? Presenze di cui avvertiamo il respiro, a cui non smettiamo di parlare accontentandoci delle loro risposte silenziose. 

Ma Asle è attanagliato da un'accidia che si rivela paradossalmente creativa, se non altro per garantirgli una produzione piuttosto costante di quadri informali dotati di una malia irresstibile sia per l'amico gallerista che per gli acquirenti. 

Anche Asle è triste come Hertervig, ma tutt'altro che pazzo. Il melanconico è triste perchè vede più lontano. Il nero che offusca la sua visione, è in realtà un prsima ottico che gli consente di osservare la vita senza ornamenti. Il melanconico è una figura alata apparentemente prigioniera della sua depressione. A guardarlo bene, è più libero del più scatenato degli ottimisti. Asle, Hertervig, Vidme, per non parlare del vecchio di Mattino e sera, sono tutti personaggi a servizio della frontalità poetica e brutale che caratterizza la scrittura di Fosse.

E' uno scontro a viso aperto con la vita. Una vita ridotta all'osso, al punto che la giornata di un'artista è pressochè indistinguibile da quella dei suoi compaesani, pescatori, vecchie sorelle, docili vicini di casa. Per questo, forse, i romanzi di Fosse sembrano opere corali benchè siano vorticosi flussi di voci monologanti.

Inuile perderci in trame troppo sofisticate, sembra dirci l'autore, visto che l'unica cosa che ci preme è questa: perchè siamo vivi e poi a un certo punto non lo siamo più. Da qui nasce una prosa che, nel suo canto alla ripetizione, si offre al lettore come una sterminata preghiera, un'incessante variazione sul tema che fa pensare ai vortici ossessivi e calcolatissimi delle composizioni di Steve Reich o Philip Glass, ma anche alla missione di un Hokusai della scrittura, un artista che non teme la ripetizione, ma anzi, sa che solo attraverso quell'inanellamento infinito di prove la verità piano piano accetterà di concedersi nei tratti del mondo materiale: un'onda, un vulcano, un pittore che a mattina inoltrata non è ancora riuscito ad alzarsi dal letto.


JON FOSSE. L'UOMO CHE PREGA E SCRIVE.

 

Il 10 dicembre il norvegese riceverà il Nobel.

lunedì 4 dicembre 2023

NOSTALGIE DOLOROSE.


 

Assobiti dal silenzio friabile di ricordi

decomposti che prendono la gola,

nella frana del tempo che tutto divora.

Si scrive, ed è una lotta con l'ombra

che sempre sfugge e sempre ci minaccia

presi da un'onda che lascerà una traccia.

LA DONNA CHE SCOMPARVE.

Spira un vento senza meta giorni perduti

sfilano verso di me sciatti slavati

come le nuvole.

Eppure ogni assoluzione viene da te da sotto

le tue palpebre stanche e dalla severità

dei tuoi baci custodi della nostra pallida solitudine

ti fermi sempre rivolto verso di me

anche nei giorni caduti

nel pozzo buio del mutismo

e nei minuti depredati della luce

qui dove i fiumi erodono le rive silenti

e domani saranno invecchiate le case.

NATALE SENZA DI LEI.



 

Dimmi quale folle sventura fa brillare i tuoi occhi.

Con tale disperazione che il dolore selvaggio.

In persona, impazzito, adorna la tua piccola bocca.

Malgrado le gelide lacrime, con un sorriso di lutto.

POETA DICONO.

Il sapore della vita è nel mangiarla

e sorridere del gusto inaspettato che si scopre,

e uniti e non disgiunti si giunge al nuovo, 

o voi credete d'aver tutto e che vi basti?

Pasti a base d'astinenza e sbagli

m'han reso abbastanza saggio da capire

che valgo solo se ti dono ore

e che il migliore me 

è noi.

FOGLIE D'ERBA.



E noi come faremo invece

se fuori frana il nostro mondo

per un accidente fortunoso

a coltivare la nostra quiete

come un lauro sempreverde?

REVIEW: JANE EYRE DI CHARLOTTE BRONTE, EINAUDI


Charlotte Brontë, una vita appassionata.

Einaudi

2023 Supercoralli
pp. 520 - € 22,00
Traduzione di

«Come il tono e il significato delle grandi opere poetiche cambiano radicalmente coi secoli, cosí cambia anche la lingua materna del traduttore».
Walter Benjamin

 

«Vorrei tanto che non mi aveste inviato Jane Eyre. Mi ha interessato al punto che ho perso (o guadagnato, se preferite) un giorno intero a leggerlo. [...] È certo opera di una donna. Ma di quale? Vi prego di porgere i miei omaggi e i miei ringraziamenti all'autrice del primo romanzo inglese (e quelli francesi non sono ormai che storielle d'amore) che mi sia riuscito di leggere da molto tempo a questa parte».
Lettera di William Thackeray all'editore di Jane Eyre, 23 ottobre 1847

«La scrittrice ci tiene per mano, ci costringe a percorrere la sua strada, a vedere ciò che lei vede, non ci lascia per un solo istante né ci consente di scordarla. In ultimo siamo pervasi, completamente pervasi dal genio, dalla veemenza, dall'indignazione di Charlotte Brontë».
Virginia Woolf

Il libro

Il manoscritto di Jane Eyre arrivò per posta alla Smith, Elder, & Co. di Londra il 24 agosto 1847, inviato da un certo «Currer Bell». George Smith, l’editore, passò l’intera giornata della domenica a leggerlo, annullando ogni altro impegno, e il lunedí offrí allo sconosciuto autore la cifra di cento sterline per la sua pubblicazione. Sei settimane dopo, il 16 ottobre, il libro era stampato. (Le sterline sarebbero diventate, alla fine, seicento). Fu un immediato, strepitoso successo, sia di pubblico sia di critica. Il libro andò a ruba, ebbe una seconda edizione già in dicembre e una terza nell’aprile del 1848. In quello stesso anno uscí anche negli Stati Uniti, dove godette di uguale fortuna. La vera autrice, Charlotte Brontë, riuscí a mantenere l’anonimato per un certo periodo, poi dovette arrendersi alle fughe di notizie e divenne, suo malgrado, una celebrità. Era la prima volta che la protagonista femminile di un romanzo metteva il proprio «io» al centro, dichiarando di voler perseguire una vita conforme alla propria natura e ai propri piú intimi desideri, senza sottostare all’autorità della tradizione, della bigotteria, del prestigio sociale e di alcuna altra norma imposta, tantomeno quelle legate al ruolo della donna. Era la prima volta, per di piú, che l’eroina, contro ogni cliché, era una donna povera, bruttina e di modesti natali. La storia autobiografica che Jane racconta, retrospettivamente, al suo Lettore – quella di un’orfana angariata dalla ricca zia, abbandonata in una scuola per poveri, costretta a guadagnarsi da vivere come istitutrice, innamorata di un gentiluomo, ingannata, poi fuggiasca, ridotta a mendicare un tozzo di pane, infine ricompensata negli affetti, nella fortuna e nell’amore – avrebbe potuto diventare un romanzo vittoriano come tanti altri, di sapore antiquato. Charlotte Brontë, invece, spinta dalla propria esperienza personale e da una sconfinata immaginazione, ne fece un capolavoro immortale – la quintessenza del classico. Il romanzo era una novità anche per la sua prosa, schietta e lucida, talvolta perfino cruda, risoluta fin nella punteggiatura. «Solo un certo insieme di parole era lo specchio fedele dei suoi pensieri, – riferisce la sua amica, nonché prima biografa, Elizabeth Gaskell: – nessun altro, di significato apparentemente identico, sarebbe andato altrettanto bene». Su questa linea guida, per dare questa voce a Jane, è stata condotta la presente traduzione.

REVIEW

In un recente libro che raccoglie foto del XIX secolo si vede una cupa e angusta casetta a schiera di Manchester. È lì che Charlotte Brontë, all’epoca trentenne, trascorse l’agosto del 1846, quando suo padre fu operato a un occhio (senza anestetici). «Totale privazione della luce», ordinò il chirurgo. In quell’ambiente poco romantico, mentre sedeva al fianco di Mr Brontë in una stanza oscurata, concepì Jane Eyre.


Decisiva, nella vita di Charlotte Brontë, è stata la sua capacità di scrivere dall’oscurità – le tenebre di un sé non visto. Durante i suoi riluttanti anni da maestra, a volte scriveva a occhi chiusi sotto l’attento sguardo dei suoi allievi. In seguito confessò al suo editor il desiderio di «camminare senza essere vista».

 Svelare la donna che diventò la scrittrice ha richiesto una certa presa di distanza dalla leggenda Brontë.
L’immagine romantica del genio maledetto e isolato in una selvaggia brughiera, lontano dalla civiltà, è stata promossa da Elizabeth Gaskell nel suo La vita di Charlotte Brontë, pubblicato nel 1857. Affascinò i lettori dell’epoca vittoriana e sopravvisse per tutto il XX secolo in libri, opere teatrali e film. Agli inizi degli anni Novanta, quando scrissi questo libro, mettere in discussione il mito di Brontë era rischioso; da allora è diventato di rigore, grazie soprattutto alla pionieristica storia del “mito Brontë” (The Brontë Myth, 2001) di Lucasta Miller. Ma questa biografia ebbe inizio con uno scopo diverso, sebbene a esso connesso: esplorare la distanza siderale tra il timido comportamento di Charlotte in pubblico (la figura decorosa trasmessaci da Gaskell) e quello che Charlotte definiva il suo «carattere domestico».

 Inizialmente tale proposito faceva parte di un progetto più ampio. Tempo fa, pensai un libro che si sarebbe dovuto chiamare Lives for Women: il saggio iniziava proprio con Charlotte Brontë e prendeva in esame anche Emily Dickinson, Olive Schreiner e due donne all’avanguardia, Minny Temple e Constance Fenimore Woolson, che fecero da modello per la donna che “afferra il proprio destino” in Henry James. Mi ero fatta l’idea che alcuni insoliti modi di essere – indizi di elementi trascurati nella natura femminile – popolassero una regione sconosciuta di vite represse, malate o interrotte. Ognuna di queste donne, in un modo o nell’altro, si allontanò dalla norma, e ciascuna sviluppò un carattere unico, diversamente dalle altre donne della loro epoca. All’inizio l’idea era quella di esplorare questo volto domestico dell’emancipazione, una sorta di filone parallelo agli aspetti pubblici della questione femminile del 1840-1920. Il libro doveva chiudersi con l’attrazione di Virginia Woolf per le sorelle Brontë e la celebrazione del suo romanzo Notte e giorno (1919), dove il tema del suffragio femminile fa da sfondo alla questione meno ovvia e più complicata dei sentimenti privati. Il rifiuto di Jane Eyre di attenersi a una serie di copioni sociali già scritti, in sostanza il rifiuto di forzare la propria natura, è un modo di porre questa domanda più vasta. Per le donne evolute del XIX secolo lo scarto tra pubblico e privato divenne esplosivo. Questo scarto si è prestato a eccessive leggende di pathos e dannazione, occultando proprio quello che la scrittura rivela: la forza di tramutare le perdite in guadagni e l’impatto di una voce invisibile.


Anche se inizialmente avevo immaginato di non dedicare più di un capitolo a Charlotte Brontë, dopo aver avuto per le mani i frammenti manoscritti che compongono il suo Roe Head Journal, e dopo aver saggiato la natura esplosiva della sua voce di giovane donna, è sorta in me una domanda che ha portato a una vera e propria biografia: qual è stata la storia di quella voce sempre più incline a scoppi d’ira privati nei tardi anni Trenta dell’Ottocento? Nel 1847 la sua voce esplose in pubblico con una passione e un’irruenza tali da far dubitare la gente che provenisse da una donna – e, se davvero si trattava di una donna, doveva essere irriconoscibile rispetto ai canoni del suo sesso. Così Charlotte appariva in pubblico mascherata, anche in compagnia della sua amica e collega scrittrice Gaskell, alla quale confidava però solo i suoi timori, risparmiandole, sapendola conservatrice, il suo sarcasmo e le sue risate. Gaskell distinse deliberatamente questa “povera creatura” dalla sua opera, facendo il gioco del pubblico vittoriano, per il quale le donne rispettabili dovevano essere discrete e modeste. Eppure, per tutto il tempo, una voce che non poteva risuonare in pubblico si rivolse intimamente – irresistibilmente – al lettore. Questa voce e la sua storia hanno poco a che vedere con il pathos, tanto che essa dichiara: «Ce ne vuole per abbattermi».


Il lavoro d’archivio che cominciai in quello stesso periodo su Emily Dickinson, Minny Temple e la donna che James chiamava Fenimore ebbe lo stesso effetto delle lettere e dei frammenti di Charlotte. L’allontanamento da un’immagine consolidata mi condusse a ulteriori ricerche, e in ciascun caso le prove di un’esistenza occulta suggerivano una fioritura narrativa. Quello che doveva essere un libro finì per diventarne tre. Allo stesso tempo, anche se ognuna di queste vite prese la sua direzione, la domanda sulla natura delle donne continuava ad approfondirsi.


Mettendo mano alla materia biografica, accade spesso che una frase assuma una particolare risonanza: «Volevo parlare, crescere – era impossibile», confessò Charlotte all’età di vent’anni. Diciassette anni più tardi, alla più autobiografica delle sue eroine, Lucy Snowe, viene chiesto chi è: qual è la fonte delle sue sempre più evidenti doti personali e di insegnante? La sua risposta: «Sono una persona che si sta elevando». 

Crescere in questi termini è un atto d’immaginazione. È questo, senz’ombra di dubbio, il fatto più importante nella vita di Charlotte, e per portarlo alla luce il singolo tomo biografico è in ogni caso inadeguato, perché il biografo dovrebbe accompagnare il lettore attraverso pagine e pagine di opere giovanili, incluse quelle di suo fratello Branwell. Le loro fantasie condivise di una vita nel lusso erano un vicolo cieco, come Charlotte – piuttosto tardivamente – finì per ammettere. È di gran moda rivalutare Branwell, ma una nuova edizione in più volumi dei suoi scritti conferma che rimane illeggibile, compreso un suo cosiddetto “romanzo” del 1845 – non più di trenta paginette sconclusionate. Tra gli scritti giovanili di Charlotte brillano invece promesse future, e per raccontare la sua storia in modo significativo – per vedere da vicino i mutamenti del genio in formazione – la biografia può selezionarle e raccoglierle insieme. Ho voluto seguire il suo essere una persona che si sta elevando, specialmente il suo sforzo di liberarsi dai sogni adolescenziali senza uccidere la natura appassionata da cui traevano alimento. Dovette tradurre la passione in qualcosa di realistico, in un personaggio simile al mentore che chiamava «Monsieur» – colui che poteva arrivare a conoscerla per quella che lei stessa sentiva di essere –, e questo sforzo parla a tutti coloro che provano il desiderio di andare oltre il piacere di conformarsi agli uomini e alle donne che li circondano. Charlotte Brontë rivela cosa si prova a soccombere a quella tentazione, e il dramma spaventoso che si apre davanti allo scrittore che se ne allontana perché determinato a ricercare la verità. Quando Lucy dice «nella catalessi e nel coma mortale, chiudevo accuratamente tutto ciò che di vivo era nella mia natura» è tutt’uno con la tempesta, la sua potenza distruttrice, che chiama «il linguaggio della natura». In modo simile, la sua identificazione con una suora seppellita, sintomo di una natura altra rispetto a quella decretata dal costume, è una sorta di controparte al «grande mostro bianco delle acque basse» di Virginia Woolf, che esploderebbe se fosse portato in superficie. 

Un essere senza forma è un soggetto che esercita su di me una potente attrazione. Non può essere definito, proprio come il genio, ma sono attratta da quelli che lo riconoscono, un po’ come l’avvistamento di una pinna che spunta nella vastità dell’oceano in Le onde: una forma di vita nascosta allo sguardo che va inseguita. Nel 1929, l’anno in cui pubblicò Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf la scorse in Mary Wollstonecraft, che «si gettò nel vivo della vita». Come Charlotte Brontë, Woolf si imbatté in quel «vivo», il vivo della vita che un romanziere o un biografo non possono ignorare. A quell’epoca parlò del «grande problema della vera natura della donna» come di un mistero che non poteva risolvere. Affrontando quel mistero molto tempo prima, Charlotte Brontë ebbe l’intelligenza di guardare oltre gli immediati risultati economici o politici verso le questioni di lungo termine dell’educazione, delle emozioni e della progressiva affermazione, nel più ampio dei sensi possibili, del contributo alla civiltà da parte delle donne al massimo della loro potenza.


Al momento in cui ho scritto questo libro, molti saggi e lettere erano sparpagliati, e dei materiali decisivi (come il Roe Head Journal e alcune lettere rivelatorie al suo editore, George Smith) esistevano solo in forma manoscritta. Nel frattempo sono state date alle stampe due pubblicazioni indispensabili: l’edizione in tre volumi di The Letters of Charlotte Brontë e The Brussels Essays. La loro disponibilità ha richiesto un aggiornamento delle note per la comodità del lettore, ma ogni qual volta lo spazio lo consente, ho preferito mantenere il manoscritto come mia fonte. Numerosi nuovi studi e manuali, che suggeriscono integrazioni al testo, sono elencati in una bibliografia riveduta e corretta. L’immediatezza della voce di Brontë può superare le barriere poste dal tempo e dallo spazio per incontrare un nuovo pubblico. La Brontë Society ha tradotto la sua guida in urdu per venire incontro a un crescente interesse per le Brontë in Pakistan, dove si dice che le donne si trovino in una posizione simile a quella delle sorelle. 

Questa biografia va alla ricerca di ciò che rimane nascosto nella vita delle donne, non solo allora, ma anche oggi. Cos’è la passione per una donna? Come può emergere dal silenzio, alzare la voce, raggiungere gli altri? Charlotte Brontë ebbe il coraggio di entrare in quella regione, di incontrare le ombre che la abitavano e di trovare parole per narrare la sua esperienza.

 

domenica 3 dicembre 2023

ALBA

 

Amore mio, nei vapori d'un bar all'alba

che colma l'aria e pare sola ragione di vita.

Questo inverno lungo e che brivido attenderti!

Qua dove il mare sussurra serenità nel tempo 

che scorre senza freno, ora nell'ermo rumore 

oltre la brina io quale tram odo, 

che apre e richiude in eterno 

le deserte sue porte? 

Amore, io fermo il polso: Qua dove il marmo nel sangue è gelo,

e sa di rifresco anche l'occhio, è forse di tali ruote un'eco.

Ma tu, amore, non dirmi che da quelle porte qui, 

col tuo passo, già attendo la morte.

Nulla senza di te sarebbe quello che è.

Se il mondo prende colore 

e vita, lo deve a te, amore.


PRENDILI TU, I SENTIMENTI ...


Prenditeli tu, i sentimenti misurati, i rischi calcolati. Io mi tengo i tuffi al cuore, i colpi di testa e i colori fuori dai margini. 

 

AMORE COM'E' FERITO IL SECOLO?

QUAL'E' IL SIGNIFICATO DELLA CECITA'?

COSA ACCADE SE VIENE MENO LA POSSIBILITA' DI SAPERE SE L'ALTRO CI STIA SORRIDENDO A SUA VOLTA?

Nella perdita dei riferimenti visivi si prvano per pochi minuti lo smarrimento e il venire in soccorso. Ma la cecità rimane, per i vedenti, qualcosa di inimmaginabile, una condizione che, letteralmente, non può essere pensata. Non nella sua interezza almeno, non nell'infinità delle sue implicazioni, non nel suo radicale esotismo. Grazie al privilegio macabro di aver abbandonato il visibile ed essersi addentrato nel <<tunnel>> da adulto, ..... ha esplorato per noi quel mondo inaccessibile. Nelle sue pagine, ha documentato tutto ciò che ha trovato dentro il buio, sotto forma di riflessioni e appunti di vita, con la chiarezza di chi aveva bisogno di costruire una mappa anzitutto per sè stessa. 

E' un'immersione nella cecità. Non spiega solo come la mente si riconfigura dentro le tenebre, o l'importanza  che il <<bastone bianco>> ha er chi deve sondare lo spazio intorno a sè; non illustra solo le innumerevoli situazioni paradossali, spaicevoli, in cui da ciechi è facile trovarsi. Attravero il filtro della disabilità, .... decodifica una serie di meccanismi del vivere quotidiano, meccanismi tanto ovvi da essere inconsapevoli per chi può vedere. Il sorriso, ad esempio. Tutti i nostri sorrisi vivono di reciprocità, dialogano con atri sorrisi, li chiamano o rispondono a essi. Ma cosa accade quando viene meno la possibilità di sapere se l'altro ci stia sorridendo a sua volta? Del sorriso non rimane che l'imabrazzo, il timore di drignirare i denti nel vuoto, come pazzi. 

la cecità finisce così per minare anche le relazioni più intime. Con il passare dei mesi le sembianze della persona amata iniziano a confondersi nella memoria, finchè in un attimo sfuggono del tutto. Il desiderio e l'eccitazione sessuale si rivelano quasi impossibili da innescare senza la visione del corpo dell'altro. Gli altri: famiglia, amici,  rimangono cristallizati per sempre alla stessa età.

Ci sono schegge nel delirio di ... . Per esempio quando si rende conto di non poter giocare con nessuno dei regali che ha ricevuto e che vorrebbe condividere. O quando annota brutalmente: <<Esistere è essere visti>>. Perchè ... ha una domanda in testa, una curiosità che la tiene in vita nonostante l'allontanarsi inesorabile di tutto ciò che ama:<<Qual'è il significato della cecità?>>

venerdì 1 dicembre 2023

Per capire il racconto. N. 8. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.


Per capire il racconto. N. 8. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

Possiamo allora concludere che lo scrittore, mediante una novella fantastica, tutta giocata sull'assurdo, ci ha indotto a meditare sul senso della vita, non diversamente da Cechov e da Pirandello con i loro racconti più realistici.

Ma il tipo di racconto scelto da Kafka esprime il suo messaggio in modo meno diretto, più ambiguo. Qui non abbiamo nessun personaggio che esprima la sua filosofia, facendosi o meno portavoce dell'autore; abbiamo solo una storia assurda e inquietante, che si offre a molte interpretazioni. Sta a noi decifrarne il significato, scioglierne l'ambiguità, e non è impresa facile, come avrai notato svolgendo l'ultimo questionario.

Nè dobbiamo credere che esista una sola interpretazione corretta; anzi, il fatto che il testo ci induca a più di una ipotesi di lettura è un segno della sua ricchezza. Ciò avviene non perchè il pensiero dell'autore sia confuso e incerto, ma perchè il suo modo di comunicare è profondamente allusivo e capace di suggestioni diverse.

Questo racconto rappresenta in modo evidente una particolare caratteristica del discorso letterario: la sua POLISEMIA, cioè la capacità di trasmettere più di un significato con lo stesso segno (el nostro caso, più di un messaggio con lo stesso racconto). 

Un medico di campagna

Franz Kafka
pubblicato da Mondadori

Generi Romanzi e Letterature » Classici stranieri » Racconti e antologie letterarie

Collana I Meridiani

Pubblicato 28/11/2023   - -  Pagine 192  

Curatore L. Crescenzi

 

 

 

Il libro  

Questa edizione di "Un medico di campagna", folgorante e visionaria raccolta di racconti apparsa per la prima volta nel 1919, offre un'anticipazione di quella che, a partire dalla ricorrenza del centenario della morte dell'autore, sarà la nuova edizione integrale in cinque volumi, diretta da Luca Crescenzi, delle opere, dei diari e delle lettere di Franz Kafka (1883-1924) nei «Meridiani». Un'impresa alla quale parteciperanno alcuni fra i maggiori studiosi e traduttori dell'opera di Kafka, e che intende idealmente ricollegarsi a quella, in gran parte dovuta alla perizia traduttiva di Ervino Pocar - con collaboratori d'eccezione come Remo Cantoni e Ferruccio Masini -, realizzata nella medesima collana fra il 1969 e il 1988. La ricerca su Kafka ha assunto dimensioni colossali e ha dato spazio a una Babele di approcci critici dagli esiti assai diversi, di cui tuttavia le attuali edizioni critiche e commentate, compresa quella assai nota pubblicata dall'editore Fischer a partire dai primi anni Ottanta, non rendono conto che in minima parte. Un commento innovativo ha il compito di sintetizzare ed enucleare i contributi più significativi per un inquadramento ragionato dei testi e della loro ricezione nel corso del tempo, pur nella consapevolezza che la selezione di tali contributi deriva necessariamente dalla prospettiva che si intende adottare, al fine di proporre una lettura consapevole e demistificata che restituisca in toto quella visione radicalmente critica delle cose che è la cifra più grande e più saldamente attuale di un autore come Kafka. L'obiettivo fondamentale della nuova edizione che da qui prende avvio è quello di agevolare l'orientamento del lettore all'interno di un'opera composita, costituita da scritti editi e inediti, testi compiuti e frammenti, aforismi, abbozzi e, come mostrano i diari, infiniti spunti e tentativi poetici e poetologici geniali, che istituiscono tra di loro una fitta rete di rimandi assai difficili da ricostruire. L'intento è di rendere perspicue le variazioni, le affinità, le contrapposizioni concettuali e le linee di continuità genetica fra le immagini, i motivi, le strutture formali e persino le soluzioni grammaticali e sintattiche di cui si sostanzia la scrittura kafkiana. Di assoluto rilievo anche le nuove traduzioni, che verranno condotte - fin dove possibile e con poche eccezioni - sui manoscritti conservati presso la Bodleian Library di Oxford, il Deutsches Literaturarchiv di Marbach am Neckar e la Biblioteca Nazionale Israeliana di Gerusalemme, e presso un numero relativamente ristretto di collezionisti privati.

 

Per capire il racconto. N. 7. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

 

Per capire il racconto. N. 7. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

E veniamo alla situazione finale. Il protagonista è <<nudo, esposto al gelo>>, senza la possibilità di recuperare la pelliccia con cui coprirsi, in balia dei cavalli che lo trascinano senza meta. Egli dà un giudizio conclusivo sulla sua vicenda, espresso nell'ultima frase. Come mai pensa di essere stato ingannato? E da chi?

Ci siamo soffermati sui punti del testo che ci paiono più significativi, se leggiamo l'intera storia come metafora della vita. 

Ora ti propongo alcune ipotesi di interpretazione: scegli quelle che ti sembrano più accettabili dopo averne discusso con i tuoi compagni e aggiungine, se vuoi, altre tue personali.

A) Lo scrittore presenta la vita come governata dal caso: i fatti si succedono senza un rapporto di causa-effetto, in modo caotico e incomprensibile.

B) La vita è dominata da forze soprannaturali (di cui sono simbolo i cavalli), che determinano il nostro destino.

C) Di fronte alle difficoltà della vita ciascuno è solo e senza mezzi, se non interviene l'aiuto divino.

D) La vita ci offre delle ccasioni (i cavalli) che dobbiamo saper sfruttare a nostro vantaggio; se falliamo, la colpa è della nostra inettitudine.

E) L'uomo deve fidarsi solo delle sue forze e rifiutare ogni aiuto che gli provenga dall'esterno.

F) La vita di ciascuno di noi è percorsa da un richiamo, da una vocazione (il nitrito dei cavalli), che però spesso non sappiamo interpretare.

G) L'errore sta nel rispondere al richiamo della vita (<<dare ascolto al suono ingannevole del campanello notturno>>), cioè nel credere che ci sia davvero chiesto di fare qualcosa. Questo è un inganno.

H) Ogni uomo è sottoposto a un destino crudele che si prende gioco di lui, rende vano ogni suo sforzo di fare il bene e lo condanna alla solitudine e alla sconfitta.

Un medico di campagna

Franz Kafka
pubblicato da Mondadori

Generi Romanzi e Letterature » Classici stranieri » Racconti e antologie letterarie

Collana I Meridiani

Pubblicato 28/11/2023   - -  Pagine 192  

Curatore L. Crescenzi

 

 

 

Il libro  

Questa edizione di "Un medico di campagna", folgorante e visionaria raccolta di racconti apparsa per la prima volta nel 1919, offre un'anticipazione di quella che, a partire dalla ricorrenza del centenario della morte dell'autore, sarà la nuova edizione integrale in cinque volumi, diretta da Luca Crescenzi, delle opere, dei diari e delle lettere di Franz Kafka (1883-1924) nei «Meridiani». Un'impresa alla quale parteciperanno alcuni fra i maggiori studiosi e traduttori dell'opera di Kafka, e che intende idealmente ricollegarsi a quella, in gran parte dovuta alla perizia traduttiva di Ervino Pocar - con collaboratori d'eccezione come Remo Cantoni e Ferruccio Masini -, realizzata nella medesima collana fra il 1969 e il 1988. La ricerca su Kafka ha assunto dimensioni colossali e ha dato spazio a una Babele di approcci critici dagli esiti assai diversi, di cui tuttavia le attuali edizioni critiche e commentate, compresa quella assai nota pubblicata dall'editore Fischer a partire dai primi anni Ottanta, non rendono conto che in minima parte. Un commento innovativo ha il compito di sintetizzare ed enucleare i contributi più significativi per un inquadramento ragionato dei testi e della loro ricezione nel corso del tempo, pur nella consapevolezza che la selezione di tali contributi deriva necessariamente dalla prospettiva che si intende adottare, al fine di proporre una lettura consapevole e demistificata che restituisca in toto quella visione radicalmente critica delle cose che è la cifra più grande e più saldamente attuale di un autore come Kafka. L'obiettivo fondamentale della nuova edizione che da qui prende avvio è quello di agevolare l'orientamento del lettore all'interno di un'opera composita, costituita da scritti editi e inediti, testi compiuti e frammenti, aforismi, abbozzi e, come mostrano i diari, infiniti spunti e tentativi poetici e poetologici geniali, che istituiscono tra di loro una fitta rete di rimandi assai difficili da ricostruire. L'intento è di rendere perspicue le variazioni, le affinità, le contrapposizioni concettuali e le linee di continuità genetica fra le immagini, i motivi, le strutture formali e persino le soluzioni grammaticali e sintattiche di cui si sostanzia la scrittura kafkiana. Di assoluto rilievo anche le nuove traduzioni, che verranno condotte - fin dove possibile e con poche eccezioni - sui manoscritti conservati presso la Bodleian Library di Oxford, il Deutsches Literaturarchiv di Marbach am Neckar e la Biblioteca Nazionale Israeliana di Gerusalemme, e presso un numero relativamente ristretto di collezionisti privati.

Per capire il racconto. N. 6. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

 

Per capire il racconto. N. 6. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

 Per capire il racconto. N. 6. Un medico di campagna di Franz Kafka, Mondadori.

Ed ora  cerchiamo di capire quale visione della realtà lo scrittore esprime con questo tipo di racconto. Esaminiamo separatamente alcuni aspetti della storia, interpretandoli in senso metaforico e simbolico.

a) Il protagonista è un medico; svolge dunque una professione utile all'umanità, che è considerata come una missione e per la quale si richiede un speciale vocazione.

Come ti pare che la affronti? Con entusiasmo, con spirito i sacrificio, con senso di responsabilità, con abilità e competenza, con disinvoltura, con superficialità e pigrizia, con sfiducia? Fa del suo meglio per superare gli ostacoli o rinuncia in partenza? Ha cioè un atteggiamento attivo, di tensione, oppure rassegnato e passivo?

Il suo lavoro obbiettivamente appare soddisfacente o frustante? Come puoi definirlo? Interessante, vario, faticoso, impegnativo, ingrato ...?

Ma, soprattutto, il suo intervento risulta davvero utile?

Rispondendo a queste domande avrai definito: il carattere del protagonista, il modo con cui affronta la vita (=il suo lavoro), l'esito e il valore vdei suoi sforzi. 

b) Vediamo ora i rapporti tra il protagonista e gli altri personaggi.

Che rapporti intrattiene il medico con i suoi pazienti? Essi lo stimano e hanno fiducia in lui? Ed egli che cosa pensa di loro? Riesce a rispondere alle aspettative del malato e della sua famiglia? Come puoi interpretare il suo atteggiamento di fronte agli anziani che lo spogliano: (<<Sono pronto a tutto, superiore a tutti, e tale rimango, anche se questo non serve a nulla>>): rassegnazione, impotenza, spirito di sacrificio, vittimismo, altruismo, orgoglio, indifferenza?

Quali sono le reazioni di fronte al garzone di stalla selvaggio e violento? Ti pare che manchi di risolutezza, che pecchi di viltà, o di connivenza? O che semplicemente non riesca a controllare la situazione?

Raccogliendo le idee, puoi riassumere in pochi tratti l'atteggiamento del protagonista verso gli uomini.

c) Resta da esaminare lo svolgimento complessivo della vicenda.

La situazione iniziale presenta il protagonista in difficoltà: ha un dovere da compiere, ma gli manca il mezzo essenziale per farlo: il cavallo. Come viene in possesso di questo mezzo?

A) Lo sceglie dopo un attento esame.

B) Lo ottiene grazie ai suoi sforzi.

C) Gli viene offerto da qualcuno.

D) Vi si imbatte per caso.

Il medico accetta di salire sul calesse precisando: <<Guidare, però, guido io>>. E' così che vanno davvero le cose?

Mentre il medico è in visita al malato, i cavalli forzano dall'esterno le finestre, guardando nella casa, ntriscono a più riprese. Come reagisce il medico a questi fatti? Come interpreta il omportamento dei cavalli?

Un medico di campagna

Franz Kafka
pubblicato da Mondadori

Generi Romanzi e Letterature » Classici stranieri » Racconti e antologie letterarie

Collana I Meridiani

Pubblicato 28/11/2023   - -  Pagine 192  

Curatore L. Crescenzi

 

 

 

Il libro  

Questa edizione di "Un medico di campagna", folgorante e visionaria raccolta di racconti apparsa per la prima volta nel 1919, offre un'anticipazione di quella che, a partire dalla ricorrenza del centenario della morte dell'autore, sarà la nuova edizione integrale in cinque volumi, diretta da Luca Crescenzi, delle opere, dei diari e delle lettere di Franz Kafka (1883-1924) nei «Meridiani». Un'impresa alla quale parteciperanno alcuni fra i maggiori studiosi e traduttori dell'opera di Kafka, e che intende idealmente ricollegarsi a quella, in gran parte dovuta alla perizia traduttiva di Ervino Pocar - con collaboratori d'eccezione come Remo Cantoni e Ferruccio Masini -, realizzata nella medesima collana fra il 1969 e il 1988. La ricerca su Kafka ha assunto dimensioni colossali e ha dato spazio a una Babele di approcci critici dagli esiti assai diversi, di cui tuttavia le attuali edizioni critiche e commentate, compresa quella assai nota pubblicata dall'editore Fischer a partire dai primi anni Ottanta, non rendono conto che in minima parte. Un commento innovativo ha il compito di sintetizzare ed enucleare i contributi più significativi per un inquadramento ragionato dei testi e della loro ricezione nel corso del tempo, pur nella consapevolezza che la selezione di tali contributi deriva necessariamente dalla prospettiva che si intende adottare, al fine di proporre una lettura consapevole e demistificata che restituisca in toto quella visione radicalmente critica delle cose che è la cifra più grande e più saldamente attuale di un autore come Kafka. L'obiettivo fondamentale della nuova edizione che da qui prende avvio è quello di agevolare l'orientamento del lettore all'interno di un'opera composita, costituita da scritti editi e inediti, testi compiuti e frammenti, aforismi, abbozzi e, come mostrano i diari, infiniti spunti e tentativi poetici e poetologici geniali, che istituiscono tra di loro una fitta rete di rimandi assai difficili da ricostruire. L'intento è di rendere perspicue le variazioni, le affinità, le contrapposizioni concettuali e le linee di continuità genetica fra le immagini, i motivi, le strutture formali e persino le soluzioni grammaticali e sintattiche di cui si sostanzia la scrittura kafkiana. Di assoluto rilievo anche le nuove traduzioni, che verranno condotte - fin dove possibile e con poche eccezioni - sui manoscritti conservati presso la Bodleian Library di Oxford, il Deutsches Literaturarchiv di Marbach am Neckar e la Biblioteca Nazionale Israeliana di Gerusalemme, e presso un numero relativamente ristretto di collezionisti privati