mercoledì 11 novembre 2020

RECENSIONE "L'ARTE DI CORRERE" by MURAKAMI HARUKI - EINAUDI SUPER ET

 


L’arte di correre
EINAUDI
2013
Super ET
pp. 160
€ 11,00
Traduzione di
  • Antonietta Pastore 
  •  «Come in tutti i libri di Murakami, la voce narrante convince per schiettezza e vivacità, e una volta conclusa la lettura si resta incantati dalla sua grazia semplice e genuina».

    «The Observer»
     
  • Il libro

    Murakami Haruki in uniform edition Super ET, con le copertine di Noma Bar.

    ***

    Una riflessione sul talento, sulla creatività e piú in generale sulla condizione umana; l’autoritratto di uno scrittore-maratoneta, di un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza – dei propri limiti come delle proprie capacità -, di maniacale disciplina nel sottoporre il proprio fisico al duro esercizio della corsa; e non da ultimo la sorpresa di scoprire che un autore celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello stereotipo dell’artista tutto «genio e sregolatezza».

    Murakami Haruki


    Murakami Haruki
    è nato a Kyoto nel 1949 ed è cresciuto a Kobe. È autore di molti romanzi, racconti e saggi e ha tradotto in giapponese autori americani come Fitzgerald, Carver, Capote, Salinger. Con La fine del mondo e il paese delle meraviglie Murakami ha vinto in Giappone il Premio Tanizaki. Einaudi ha pubblicato Dance Dance Dance, La ragazza dello Sputnik, Underground, Tutti i figli di Dio danzano, Norwegian Wood (Tokyo Blues), L'uccello che girava le Viti del Mondo, La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Kafka sulla spiaggia, After Dark, L'elefante scomparso e altri racconti, L'arte di correre, Nel segno della pecora, I salici ciechi e la donna addormentata, 1Q84, A sud del confine, a ovest del sole, Ritratti in jazz (con le illustrazioni di Wada Makoto), L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Sonno, Uomini senza donne, La strana biblioteca (con le illustrazioni di Lorenzo Ceccotti), Vento & Flipper, Gli assalti alle panetterie (illustrato da Igort), Il mestiere dello scrittore, Ranocchio salva Tokyo (con le illustrazioni di Lorenzo Ceccotti), L'assassinio del Commendatore. Libro primo e L'assassino del commendatore. Libro secondo. Einaudi ha anche pubblicato in uniform edition nei Super ET, con le copertine di Noma Bar: L'arte di correre, L'elefante scomparso, L'uccello che girava le Viti del Mondo, Norwegian Wood, Dance Dance Dance, La ragazza dello Sputnik, Nel segno della pecora, Kafka sulla spiaggia, I salici ciechi e la donna addormentata, La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Tutti i figli di Dio danzano, After Dark, Underground, A sud del confine, a ovest del sole, Uomini senza donne, L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Vento & Flipper, Il mestiere dello scrittore e, con Ozawa Seiji, Assolutamente musica.

    ***

    «Amo la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture. Questa è la mia via, il mio stile. Perciò non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. lo sono a metà strada, e cerco di fare qualcosa di nuovo. [...] Scrivo storie strane, bizzarre. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà, sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all'oroscopo. [...] Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. Non so perché. Piú sono serio, piú divento balzano e contorto».
    Murakami Haruki «The Salon Magazine», 16-12-1997

    ***

    Fin dal suo primo romanzo, Ascolta la canzone del vento, del 1979, Murakami si è imposto sulla scena letteraria giapponese come uno scrittore di primo piano che non sembrava appartenere alla tradizione nipponica. I suoi scenari metropolitani e i riferimenti alla cultura popolare occidentale (da Michel Polnareff ai Beach Boys, dai film di Peckinpah a Jean Seberg), perfino la forma della scrittura, debitrice a Fitzgerald e a Capote, piú che a Kawabata o Tanizaki, proiettavano la letteratura giapponese in spazi nuovi e inattesi. L'influenza della cultura occidentale su uno scrittore giapponese nato nel 1949 non era certo cosí sorprendente di per sé, anzi rispecchiava una formazione comune a un'intera generazione di giovani; ma era la prima volta che queste atmosfere venivano rappresentate nell'ambito della letteratura «alta». Alla sua attività ricca e costante di narratore e saggista, Murakami ha affiancato il lavoro di traduzione letteraria facendo conoscere in Giappone l'opera completa di Raymond Carver, oltre a numerosi racconti e romanzi di Francis Scott Fitzgerald, Truman Capote, Tim O'Brien, John Irving.

    RECENSIONE 

    Dalla lotta fatta di doveri, codici e imposizioni si è arrivati oggi, a un io fragile, indifeso, narcisistico. La lotta è quella che ciascuno combatte, fin dall'infanzia, per costruire se stesso confrontandosi con gli altri e con il mondo. Essa comporta inevitabilmente, l'obbligo di sottomettersi a una dura disciplina, fatta di doveri, codici di condotta e modi <<appropriati>>, di pensare e sentire, dapprima imposti dall'esterno e poi interiorizzati e rielaborati.

    La vittoria su se stessi, ammesso che si consegna, non è mai, tuttavia, completa e definitiva. Implica un aspro conflitto che scinde la volontà, opponendo una parte di noi che cerca di prevalere a un'altra riluttante a piegarsi e sempre pronta a ribellarsi o a negoziare compromessi al ribasso.

    Ogni persona porta in sè le ferite e le cicatrici di questa guerra per distaccarsi dalla propria vita meramente biologica. Nello stesso tempo, tenta di emendarsi da idee e forme di condotta riprovevoli in modo da conquistare una sempre maggiore autonomia.

    In tale confronto l'individuo, rischiando di logorarsi e di perdersi, avverte la tentazione di lasciarsi andare, di abbandonare nell'arena del conflitto, di cedere al desiderio di irresponsabilità o di dare retta ai richiami della nostalgia, che lo invita a mettere indietro l'orologio della propria storia e ad abbandonare la battaglia.

    Troppe appaiono le <<spine>> che i comandi e gli obblighi hanno conficcato nella sua carne, troppi gli insuccessi e le inadeguatezze cui è andata incontro. Tra gli innumerevoli paradigmi predisposti nel tempo e nello spazio, ho deciso di esaminarne soltanto due, quelli canonici di cui - mediante molteplici filtri e ibridazioni - siamo noi stessi gli eredi. Entrambi si basano sulla metafora sportiva della corsa, declinata, in modi sostanzialmente diversi.

    Non si tratta più, come nella filosofia degli storici e degli epicurei, di conseguire la tranquillità dell'animo, di giungere a posizioni contemplative di equilibrio statico, ma di raggiungere un piacere e una felicità che nascono da un incessante movimento: nel non fermarsi mai e nell'avanzare sempre: <<La felicità è un continuo progredire del desiderio da un oggetto a un altro, non essendo il conseguimento del primo che la vita verso quello che viene dopo>>. O in maniera più incisiva, la felicità è <<un progredire che incontra un minimo di impedimenti al conseguimento di fini sempre più avanzati (ad fnes semper ulteriores minime impedita progressio).

    Giungendo velocemente all'oggi e trascurando per ovvia brevità i passaggi riguardanti gli articolati processi e le molteplici teorie della conquista del Sè, attraverso un severo confronto, è giusto dire che la nostra civiltà procede in questo periodo verso l'attenuazione o, addirittura, verso l'elusione dei conflitti volti a ricomporre la personalità di ciascuno?

    E ch la corsa, se si affronta, ha per meta, soprattutto, l'avanzamento di carriera e di <<tramonto dell'Occidente? Ci siamo realmente "sdraiati"? Forse in questa fase storica, crediamo di avere meno bisogno di sforzarci e di ingaggiare una guerra contro noi stessi perchè godiamo, in diversa misura, della maggiore rendita di posizione accumulata negli ultimi cinque secoli di dominio del globo, di maggiore ricchezza e libertà nei confronti di paesi che devono colmare il divario.

    Eppure, nascondendo i conflitti, gloriandoci pigramente del fatto di essere "liquidi" e "plasmabili", indebolendo la lotta per auto-sovvertirci, come potremo reggere - perfino sul piano culturale - nel mondo globalizzato e nelle economie di mercato di un lontano futuro, alla sfida di una concorrenza aggressiva e spietata?

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