Tech, la carriera delle donne fra sfide e disparità (soprattutto se madri)
Donne e tecnologia, un binomio in cui l’impegno spesso non trova il giusto riconoscimento economico e di carriera, soprattutto per le madri.
È quanto emerge dalla ricerca “Donne e tecnologia: un’indagine quali-quantitativa” condotta dall’Università degli studi di Milano-Bicocca e Women&Tech ETS – associazione donne e tecnologie. Secondo lo studio, oltre il 71% delle intervistate ha segnalato una disparità nel trattamento salariale rispetto ai colleghi maschi, mentre più della metà ha evidenziato difficoltà nell’ottenere credibilità e riconoscimento sul posto di lavoro. Preparate e dedite alla professione, eppure il 39% lamenta una stasi nella propria carriera, che le ha viste rimanere nella stessa posizione per oltre 10 anni. Fenomeno ancora più pronunciato per le donne madri e single, che affrontano sfide aggiuntive nel bilanciare lavoro e famiglia.
L’indagine, presentata durante l’evento “Donne e STE(A)M. Tra passato e futuro”, ha coinvolto 200 professioniste di aziende tecnologiche associate a Women&Tech ETS, che lavorano in realtà professionali “ad alta intensità lavorativa”, in prevalenza impiegate nel settore tech, software e internet (per il 70% dei casi) e di età tra i 30 e 45 anni (46,9%).
«Le donne con la loro visione olistica delle tecnologie danno un contributo fondamentale all’innovazione tecnologica e sociale». Ha dichiarato Gianna Martinengo, presidente di Women&Tech ETS. «Tuttavia, come ci mostrano i risultati di questa ricerca, siamo ancora lontani dalla parità: di opportunità, retribuzione e presenza stessa delle donne nelle professioni tecnologiche e scientifiche. Oggi più che mai, innanzi alla velocità con cui si sta evolvendo e affermando l’AI generativa, siamo quindi chiamati a un intervento su più fronti e che ci riguarda tutti: mondo dell’istruzione, aziende, istituzioni e associazioni».
Madri penalizzate
Un dato interessante sul quale ci invita a riflettere Cristina Quartararo, assegnista di ricerca per il Comitato unico di garanzia di ateneo e per Abcd (centro interdipartimentale per gli studi di genere, presso il dipartimento di Sociologia e ricerca sociale) dell’università Bicocca è che, nonostante il 39,7% delle partecipanti dichiari un impegno pari a 9 ore 50 minuti al giorno, al quale si aggiungono straordinari e trasferte, la maggioranza delle donne si dichiara soddisfatta del proprio lavoro. Punto ancora più rilevante se si considera che oltre la metà di loro si dichiara madre e il 20% genitore single.
Nonostante un alto ammontare di ore dedicato al lavoro, straordinari e trasferte compresi, quindi, la maggioranza delle intervistate è felice della propria scelta professionale.
Dal campione emerge, comunque, come lavoratrici madri full-time e madri single esprimano maggiori difficoltà nell’armonizzare le diverse sfere di vita e dichiarino maggiore fatica a godere di tempo libero. Non è un caso che la quota di lavoratrici “a orario ridotto” presente all’interno del campione sia composta per il 90,5% da madri e che in questo gruppo non si registri la presenza di donne che ricoprono ruoli apicali.
La fotografia proposta dall’Istat all’interno del Rapporto annuale 2024, conferma come la maggior parte degli occupati part-time siano donne, con il 31,4% sul totale delle donne occupate contro il 7,4% degli uomini (infografica). Percentuale cresciuta in modo consistente dalla precedente analisi, sempre Istat, “Donne e lavoro: un binomio ancora da costruire”, dove i dati del 2022, evidenziano il 27,7% delle occupate lavoratrici part-time contro il 16,2% degli uomini.
Congedo di paternità: una misura da rafforzare
Quali sono le misure più efficaci per contrastare i divari di genere nelle aziende? Sui 14 suggerimenti che la domanda aperta ha raccolto, le parole chiave sono state: paternità, parità salariale, formazione. La piena condivisione della cura all’interno dei nuclei famigliari e il contributo maschile è un nodo critico. Vanno in questa direzione i suggerimenti di rendere obbligatorio e più attrattivo per gli uomini, l’utilizzo del congedo di paternità, sottolineando l’importanza del lavoro di cura e del ruolo di care-giver anche per gli uomini.
«Questo è secondo me il nodo – afferma la ricercatrice – condivisione e co-partecipazione maschile alla costruzione di nuovi tempi di vita. Per esempio rendere obbligatorio e/o più attrattivo per gli uomini, l’utilizzo del congedo di paternità, che sappiamo essere poco fruito, anche quando i padri ne hanno diritto. Su questo punto emerge anche l’importanza della de-costruzione degli stereotipi di genere con un maggiore coinvolgimento maschile».
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