La Storia di Elsa Morante compie 50 anni
Era il 20 giugno del 1974 quando la casa editrice Einaudi mandò in libreria un romanzo monumentale, La Storia di Elsa Morante, 719 pagine che l'autrice aveva rigorosamente voluto in edizione tascabile e con in copertina la foto in rosso e nero su fondo bianco del cadavere di un bambino tra le macerie, per noi purtroppo ancora di drammatica attualità.
Morante, che era già una scrittrice affermata e nel 1957 aveva anche vinto il Premio Strega con L'Isola di Arturo, dedica simbolicamente il suo nuovo romanzo agli analfabeti, citando il poeta peruviano César Vallejo. Analfabeti letterari, analfabeti sentimentali chissà.
In tre mesi ne furono vendute ben seicentomila copie ma lo scontro sull'opera più volte definita - e a ragione - il più bel romanzo del secolo, andò avanti a lungo sulle terze pagine di giornali che si accaloravano sui contenuti, sullo stile, sul valore politico del testo e persino sulla copertina che fu cambiata con l'immagine di un bambino sempre tra le macerie, ma questa volta vivo e solo in bianco e nero. Era del resto il pessimismo dell'opera una delle questioni più discusse. Non si dibatteva solo ovviamente sul libro di Elsa Morante ma su concezioni del mondo contrapposte e la scrittrice, che amava definirsi ''poeta'', aveva abbracciato una visione profondamente politica in un romanzo dall'impianto tradizionale, punti di vista entrambi rivoluzionari. Erano gli anni Settanta del resto, fatti di sperimentalismo artistico, tra neoavanguardia e ricerca, ma anche di rigore programmatico e La Storia contravveniva entrambi questi paradigmi. Raccontava si della Seconda Guerra mondiale, con le pagine meravigliose del bombardamento di San Lorenzo a Roma, ma era un romanzo fondamentalmente scritto dal punto di vista di una donna: quella Ida Ramundo senza ideologie ma con il dolore della vita vissuta e vista dalla parte bassa di quella Storia con la S maiuscola. Il trasformismo gradasso del primo figlio di Ida, Nino, prima giovane balilla, poi partigiano, infine contrabbandiere, incarnava questa visione sconsolata dell'ideologia, molto femminile e quindi disturbante.
Era il 20 giugno del 1974 quando la casa editrice Einaudi mandò in libreria un romanzo monumentale, La Storia di Elsa Morante, 719 pagine che l'autrice aveva rigorosamente voluto in edizione tascabile e con in copertina la foto in rosso e nero su fondo bianco del cadavere di un bambino tra le macerie, per noi purtroppo ancora di drammatica attualità.
Morante, che era già una scrittrice affermata e nel 1957 aveva anche vinto il Premio Strega con L'Isola di Arturo, dedica simbolicamente il suo nuovo romanzo agli analfabeti, citando il poeta peruviano César Vallejo. Analfabeti letterari, analfabeti sentimentali chissà.
In tre mesi ne furono vendute ben seicentomila copie ma lo scontro sull'opera più volte definita - e a ragione - il più bel romanzo del secolo, andò avanti a lungo sulle terze pagine di giornali che si accaloravano sui contenuti, sullo stile, sul valore politico del testo e persino sulla copertina che fu cambiata con l'immagine di un bambino sempre tra le macerie, ma questa volta vivo e solo in bianco e nero. Era del resto il pessimismo dell'opera una delle questioni più discusse. Non si dibatteva solo ovviamente sul libro di Elsa Morante ma su concezioni del mondo contrapposte e la scrittrice, che amava definirsi ''poeta'', aveva abbracciato una visione profondamente politica in un romanzo dall'impianto tradizionale, punti di vista entrambi rivoluzionari. Erano gli anni Settanta del resto, fatti di sperimentalismo artistico, tra neoavanguardia e ricerca, ma anche di rigore programmatico e La Storia contravveniva entrambi questi paradigmi. Raccontava si della Seconda Guerra mondiale, con le pagine meravigliose del bombardamento di San Lorenzo a Roma, ma era un romanzo fondamentalmente scritto dal punto di vista di una donna: quella Ida Ramundo senza ideologie ma con il dolore della vita vissuta e vista dalla parte bassa di quella Storia con la S maiuscola. Il trasformismo gradasso del primo figlio di Ida, Nino, prima giovane balilla, poi partigiano, infine contrabbandiere, incarnava questa visione sconsolata dell'ideologia, molto femminile e quindi disturbante.
Era il 20 giugno del 1974 quando la casa editrice Einaudi mandò in libreria un romanzo monumentale, La Storia di Elsa Morante, 719 pagine che l'autrice aveva rigorosamente voluto in edizione tascabile e con in copertina la foto in rosso e nero su fondo bianco del cadavere di un bambino tra le macerie, per noi purtroppo ancora di drammatica attualità.
Morante, che era già una scrittrice affermata e nel 1957 aveva anche vinto il Premio Strega con L'Isola di Arturo, dedica simbolicamente il suo nuovo romanzo agli analfabeti, citando il poeta peruviano César Vallejo. Analfabeti letterari, analfabeti sentimentali chissà.
In tre mesi ne furono vendute ben seicentomila copie ma lo scontro sull'opera più volte definita - e a ragione - il più bel romanzo del secolo, andò avanti a lungo sulle terze pagine di giornali che si accaloravano sui contenuti, sullo stile, sul valore politico del testo e persino sulla copertina che fu cambiata con l'immagine di un bambino sempre tra le macerie, ma questa volta vivo e solo in bianco e nero. Era del resto il pessimismo dell'opera una delle questioni più discusse. Non si dibatteva solo ovviamente sul libro di Elsa Morante ma su concezioni del mondo contrapposte e la scrittrice, che amava definirsi ''poeta'', aveva abbracciato una visione profondamente politica in un romanzo dall'impianto tradizionale, punti di vista entrambi rivoluzionari. Erano gli anni Settanta del resto, fatti di sperimentalismo artistico, tra neoavanguardia e ricerca, ma anche di rigore programmatico e La Storia contravveniva entrambi questi paradigmi. Raccontava si della Seconda Guerra mondiale, con le pagine meravigliose del bombardamento di San Lorenzo a Roma, ma era un romanzo fondamentalmente scritto dal punto di vista di una donna: quella Ida Ramundo senza ideologie ma con il dolore della vita vissuta e vista dalla parte bassa di quella Storia con la S maiuscola. Il trasformismo gradasso del primo figlio di Ida, Nino, prima giovane balilla, poi partigiano, infine contrabbandiere, incarnava questa visione sconsolata dell'ideologia, molto femminile e quindi disturbante.
Nessun commento:
Posta un commento