Cosa succede quando la morte travolge due amanti? Quando la promessa di un amore nuovo viene spezzata bruscamente?
«Mai più. Due avverbi sono sufficienti a divorarmi il cuore, frantumare le ossa. Mai più lo rivedrò. Mai più lo abbraccerò. Mai più mangiare insieme, sorseggiare del vino, ballare, leggere pagine ad alta voce, ridere, camminare mano nella mano, a Roma, a Parigi, incontrare persone, viaggiare in treno, guardare il mare, le nuvole, un fuoco nel camino, la neve. Fare l’amore. Scopare. Cantare, recitare una poesia, piangere al cinema, ascoltare la musica. Mai più il suo odore su di me, le sue braccia. Mai più. La morte si riassume in questo. Questa impossibilità declinata da due avverbi».
Cosa succede quando la morte travolge due amanti? Quando la promessa di un amore nuovo viene spezzata bruscamente? Il libro racconta il viaggio inaudito e sconvolgente di una donna che ha perso l’amato poco dopo averlo incontrato. La sua vicenda si intreccia all’esperienza altrettanto sconvolgente del confinamento, il lutto intimo, personale, diventa allora esperienza universale. Attraverso un linguaggio sobrio e poetico, l’autrice cerca di ricucire lo strappo aggrappandosi alla bellezza delle piccole cose, scoprendo che la vita rinasce in luoghi e modi inaspettati, scopre che qualsiasi tragedia, se trova le parole per essere raccontata, può diventare un’opera, un oggetto vivo che si può condividere, rompendo la solitudine. È forse questo il senso ultimo della letteratura.
L'autrice
Chiara Mezzalama
Chiara Mezzalama è nata a Roma e oggi vive tra Roma e Parigi, dove
insegna letteratura presso l’Istituto italiano di cultura. Scrittrice,
traduttrice e psicoterapeuta, per le nostre edizioni ha pubblicato Avrò cura di te, Il giardino persiano e Dopo la pioggia, mentre nel 2015 ha pubblicato con Edizioni Estemporanee un diario sugli attentati terroristici di Parigi dal titolo Voglio essere Charlie: diario minimo di una scrittrice italiana a Parigi. È anche autrice di libri per bambini.
Una storia di sentimenti e sesso quindi, concreta e vera, che rimargina le ferite di una separazione dolorosa da un marito che non è riuscito a accettare le scelte della moglie, di Chiara di andare coi due bambini piccoli a vivere a Parigi e dedicarsi alla scrittura. Un libro quindi che sanguina con le parole che pian piano ridanno vita al corpo congelato dal lutto, che si interroga, si rapporta alla natura, scivola inevitabilmente nei ricordi, che vibrano come il desiderio di allora, come il desiderio ora orfano. Nasce anche un confronto implicito tra la morte ingiusta, improvvisa nel pieno dello slancio vitale di Olivier e quella naturale del padre ''dopo una vita lunga, ricca e piena'' in famiglia, tutti assieme, vicini, non sentendo ''la pelle che brucia, disertata dalla sua assenza. Sola e nascosta.
Abbandonata''.
Tra Roma, Parigi, la Toscana e la casa di Villafalletto in Piemonte, tra Cuneo e Saluzzo, la dimensione salvifica è nel rapporto con la natura, dalla stanza foresta del primo incontro (''Quando la finestra si apre, con un cigolio di legno vecchio e sformato, un ramo di quercia entra nella stanza, che diventa foresta'') da cui escono ''risplendenti di luce'' e più vivi che mai, alla tortora che, al crepuscolo, si posa sulla sua finestra senza che lei ancora sappia che è venuta a annunciarle la morte di lui. Non c'è forse nulla come l'amore e la morte che ci facciano sentire parte di un tutto, ''nella luce dorata di questo pomeriggio di inizio estate, le bouganvillee esplodono di rosa e di viola, il profumo del gelsomino invade le nostre stanze. Un vento gentile mi accarezza il viso, danza nei miei capelli: dove sono le sue carezze? Il ricordo delle sue mani delicate e generose sulla mia pelle'' e ancora fiori e piante ''generosi di ombra e di foglie sono lì a proteggermi'', ma anche ''vorrei sprofondare nella foresta e sparire, diventare muschio, fungo, corteccia, radice. Lui''. Viene in mente il titolo con quelle ''nostre perdute foreste'' in cui non può più perdersi. E la domanda finale è ''di cosa si è immischiata la morte?''.
Il sogno è quello dell'angoscia che si presenta in forma si porcospino ''piantato nel ventre che non mi lascia più, I suoi aculei scavano nella mia carne''. e rabbia, violenza, sentimento d'ingiustizia fanno sì che ''mastico, mordo, frantumo gli aculei del porcospino... gli aculei con le gengive che sanguinano...
Mastico, mordo, frantumo queste parole, fino a consumarle, a consumarmi. Ma dovrò smettere'' e un giorno forse ''accetterò la sua norte come l'ultimo dono del suo gigantesco amore''.
Olivier innamorato aveva iniziato a scrivere. Amore e dolore in Chiara si trasformano in parole, trovano la via della scrittura, prima in francese, ''lingua d'amore e di legittima difesa, scelta per necessità, senza pensare'', poi riscritta dalla stessa autrice in italiano, non tollerando che ''un'altra voce, nella traduzione, si insinuasse nell'intimità dell'amore e del rapporto con la morte''. Quante altre storie e parole avrebbe mai scritto Olivier? E' una storia questa che offre ora ai lettori Chiara, perché, come scrive lei, citando Vinciane Despret: ''i morti fanno di coloro che restano dei fabbricanti di storie''.
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