La ricerca della <<poesia pura>> che in forme più o meno consapevoli caratterizza la produzione poetica italiana a partire da Pascoli e D'Annunzio trova il suo periodo più ricco nei decenni fra le due guerre mondiali. Vi si può rintracciare un'ideale linea di svolgimento che, partendo dalle indicazioni dei futuristi, arriva fino agli ermetici con alcuni atteggiamenti comuni: anzitutto l'isolamento rispetto alla realtà storica esterna, l'attenzione rivolta esclusivamente alla propria vita interiore. La poesia diventa colloquio del poeta con sè stesso, per trovare un significato per la prima volta, cessa di essere dialogo e comunicazione con gli altri uomini; ne consegue la ricerca di un'esprressione che, nella metrica e nelle strutture del linguaggio, tende sempre più a staccarsi dagli usi finora adottati, per dare un rilievo fondamentale all'espressività della parola intesa nei suoi valori fonici.
Campana, Rebora, Sbarbato si possono considerare gli anticipatori di questa nuova esperienza poetica: Campana per la fantasia turbinosa della sua ispirazione e per la originlità espressiva, Rebora e Sbarbato per l'intimismo lirico e la malinconia con cui osservano la condizione umana.
Dopo la prima guerra mondiale, le prime opere poetiche di Ungaretti e Montale, quasi contemporanee, e quelle poco successive di Quasimodo dettero luogo alla definizione di <<poesia ermetica>>, con cui un critico (Francesco Flora) volle segnalare l'effetto di oscurità e di ambiguità del nuovo linguaggio ed il carattere di chiusura della nuova poesia che appariva riservata ad un ristretto pubblico di lettori affini per sensibilità ed atteggiamento intellettuale.
In realtà, mentre Ungaretti e Montale seguono una loro via personale che solo in parte ed in certe fasi si può ricondurre all'esperienza ermetica, è con la prima fase della poesia di Quasimodo che si può far iniziare la vera scuola ermetica come cosciente corrente letteraria, che appartiene soprattutto agli anni tra il '30 ed il '40.
Un pò appartate rispetto a questa linea dominante si svolgono le produzioni poetiche di Saba e Cardarelli, che affrontano anch'essi i temi della propria solitudine interiore e dell'ansia delusa di attribuire un significato alla vita, ma si servono di un linguaggio più aperto e più collegato alla tradizione letteraria (Cardarelli) o alle strutture espressive comuni (Saba).
In tutti questi poeti è rintracciabile la consapevolezza del <<male di vivere>> come condizione spirituale inevitabile dell'uomo d'oggi, smarrito di fronte ad una società attanagliata da una forte crisi morale e ad una vita a cui non riesce ad attribuire alcun significato. Sono gli stessi atteggiamenti che rintracciamo in quegli anni nella grande poesia europea ed in genere in tutti i maggiori protagonisti dell'attività letteraria. In Italia però questo atteggiamento di solitudine pessimistica si può considerare anche in rapporto alla particolare situazione storica: negli anni dell'ascesa e dell'affermazione della dittatura fascista, la chiusura nella propria prospettiva personale e interiore poteva essere intesa anche come l'unico modo per conservare una propria libertà di giudizio, per non lasciarsi coinvolgere nell'adesione ad ideali fasulli e nella loro celebrazione retorica, e per conservare un'autonomia ed una coerenza di atteggiamenti. Quando però la vicenda politica in Italia ed in Europa sfociò nell'immane tragedia della II guerra mondiale, l'immagine dell'intellettuale e del poeta chiusi nella <<torre d'avorio>> della propria sensibilità individuale entrò in crisi, e vi si contrappose l'esigenza di un nuovo dialogo aperto dal poeta con tutti gli uomini: in misura diversa, tutte le raccolte poetiche successive al 1945 risentiranno di questa esigenza, che segnerà la fine dell'ermetismo.
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