La Certosa di ParmaEinaudi «... quanti giovani riceveranno il colpo di fulmine fin dalle prime
pagine, e si convinceranno d'improvviso che il piú bel romanzo del mondo
non può essere che questo, e riconosceranno il romanzo che avrebbero
sempre voluto leggere e che farà da pietra di paragone a tutti gli altri
che leggeranno in seguito».
Italo Calvino
«La gioia che dà Stendhal è imprevedibile quanto la vita, quanto le ore di una giornata e quanto le giornate di una vita».
Leonardo Sciascia Il libro
Nella secolare disputa fra gli amanti di Stendhal che preferiscono Il rosso e il nero e quelli che preferiscono La Certosa di Parma (i rougistes e gli chartreux,
come vengono chiamati in Francia), quasi a smentire la dedica che
chiude il romanzo, «To the happy few», questi ultimi sono senza
confronto i piú numerosi.
Consacrato come capolavoro, a un anno dalla sua pubblicazione, grazie a
un monumentale saggio di Balzac, soprattutto dai primi del Novecento in
poi La Certosa di Parma diviene il romanzo piú celebre e piú
letto di Stendhal. E questo nonostante la stesura rapidissima – fu
scritto in soli cinquantatre giorni alla fine del 1838 – e la natura
composita dei materiali e delle fonti utilizzati.
Al «preambolo milanese» del primo capitolo, l’unico che l’autore abbia
voluto intitolare, segue l’anti-epopea della battaglia di Waterloo, che
inaugura l’età del disincanto. Come l’oscuro Julien Sorel, anche il
nobile Fabrizio del Dongo è nato troppo tardi per conoscere il tempo
dell’eroismo, della gloria e della spensierata allegria dopo le
vittorie. E coloro che invece lo hanno vissuto con gioia ed entusiasmo,
come la duchessa Sanseverina e il conte Mosca, devono accontentarsi di
meschini succedanei, feste e intrighi alla corte del principe Ernesto
Ranuccio IV.
In tutta la parte ambientata a Parma emerge la traccia della fonte
principale di quello che nell’idea originaria di Stendhal sarebbe stato
«un romanzetto»: la «cronaca» manoscritta L’origine delle grandezze della famiglia Farnese. Ne è nata invece una storia trascinante, calata, con una scelta geniale, nella realtà della Restaurazione in Italia.
Storia fatta di passioni e cinismo, poesia del paesaggio e beffardo
ritratto di ambienti e di figure aggrappate a idee e comportamenti dell’ancien Régime
ormai solo scimmiottati, avvelenamenti sventati e riusciti, un’evasione
rocambolesca, amori taciuti o confessati, esaltanti e distruttivi. La
passione di Stendhal per l’opera lirica si riflette in questo melodramma
nel quale ogni ruolo, sia dei protagonisti sia dei comprimari, è
delineato con l’implacabile brevitas distintiva del suo stile.
Spicca l’invenzione della Sanseverina, uno dei piú affascinanti
personaggi femminili mai creati dalla letteratura.
Storia con una conclusione tragica temperata però da un’irriducibile
ironia, e raccontata con quel «brio» che secondo Stendhal definisce lo
spirito italiano. Storia impossibile da ambientare in Francia, e che
solo l’Italia come lui l’ha immaginata e amata poteva offrire.
«Sto rileggendo La Certosa di Parma. Spero che anche tu riesca a concederti questo piacere una seconda volta. Non mi pare si trovi molto di meglio, in giro».
Walter Benjamin
RECENSIONE
Ne <<La Certosa di Parme>> (1839), Syendhal (1783-1842) narra le vicende di un giovane della nobiltà lombarda, Fabrizio del Dongo che, affascinato dal mito di Napoleone, fugge di casa, si unisce alle truppe francesi ed assiste alla battaglia di Waterloo. Ritornato in famiglia, in seguito a dissidi col padre, se ne allontana definitivamente e ripara a Parma ove ottiene la protezione e l'affetto di una zia, la duchessa di Sanseverina. Ha qui inizio la parte più intricata del romanzo, caratterizzata dalle vicende politiche di cui la duchessa si trova al centro. Fabrizio resta coinvolto in un duello; costretto ad uccidere per difendersi, fugge, ma, preso, viene incarcerato nella torre Farnese. Qui si innamora della figlia del governatore della prigione, Clelia Conti. In seguito, grazied all'intervento della zia, riesce ad evadere e, dopo la morte del principe di Parma, avvelenato per istigazione dalla duchessa, può ritornare in questa città. Il giovane ritrova Clelia. Il loro amore, allietato dalla nascita di un figlio, ha però un tragico epilogo: dopo breve tempo il piccolo muore e la madre non gli sopravvive. Fabrizio, rimasto solo, si ritira nella Certosa di Parma. Ti riassumo brevemente i fatti che sono narrati nella parte che precede il brano che riporto: Fabrizio, giunge a Waterloo, confida a una vivandiera la sua intenzione di prendere parte alla battaglia. La vista del sangue e dei morti lo terrorizza, ma la donna gli insegna a vincere l'istintivo ribrezzo. Fabrizio, deciso a partecipare al combattimento, si procura un cavallo e unitosi alla scorta che segue i generali, giunge in prima linea. Non riesce però a scorgere l'imperatore e ne rimaned deluso. Nell'infuriare della battaglia vede parecchi uomini cadere.
Italo Calvino
«La gioia che dà Stendhal è imprevedibile quanto la vita, quanto le ore di una giornata e quanto le giornate di una vita».
Leonardo Sciascia
Nella secolare disputa fra gli amanti di Stendhal che preferiscono Il rosso e il nero e quelli che preferiscono La Certosa di Parma (i rougistes e gli chartreux,
come vengono chiamati in Francia), quasi a smentire la dedica che
chiude il romanzo, «To the happy few», questi ultimi sono senza
confronto i piú numerosi.
Consacrato come capolavoro, a un anno dalla sua pubblicazione, grazie a
un monumentale saggio di Balzac, soprattutto dai primi del Novecento in
poi La Certosa di Parma diviene il romanzo piú celebre e piú
letto di Stendhal. E questo nonostante la stesura rapidissima – fu
scritto in soli cinquantatre giorni alla fine del 1838 – e la natura
composita dei materiali e delle fonti utilizzati.
Al «preambolo milanese» del primo capitolo, l’unico che l’autore abbia
voluto intitolare, segue l’anti-epopea della battaglia di Waterloo, che
inaugura l’età del disincanto. Come l’oscuro Julien Sorel, anche il
nobile Fabrizio del Dongo è nato troppo tardi per conoscere il tempo
dell’eroismo, della gloria e della spensierata allegria dopo le
vittorie. E coloro che invece lo hanno vissuto con gioia ed entusiasmo,
come la duchessa Sanseverina e il conte Mosca, devono accontentarsi di
meschini succedanei, feste e intrighi alla corte del principe Ernesto
Ranuccio IV.
In tutta la parte ambientata a Parma emerge la traccia della fonte
principale di quello che nell’idea originaria di Stendhal sarebbe stato
«un romanzetto»: la «cronaca» manoscritta L’origine delle grandezze della famiglia Farnese. Ne è nata invece una storia trascinante, calata, con una scelta geniale, nella realtà della Restaurazione in Italia.
Storia fatta di passioni e cinismo, poesia del paesaggio e beffardo
ritratto di ambienti e di figure aggrappate a idee e comportamenti dell’ancien Régime
ormai solo scimmiottati, avvelenamenti sventati e riusciti, un’evasione
rocambolesca, amori taciuti o confessati, esaltanti e distruttivi. La
passione di Stendhal per l’opera lirica si riflette in questo melodramma
nel quale ogni ruolo, sia dei protagonisti sia dei comprimari, è
delineato con l’implacabile brevitas distintiva del suo stile.
Spicca l’invenzione della Sanseverina, uno dei piú affascinanti
personaggi femminili mai creati dalla letteratura.
Storia con una conclusione tragica temperata però da un’irriducibile
ironia, e raccontata con quel «brio» che secondo Stendhal definisce lo
spirito italiano. Storia impossibile da ambientare in Francia, e che
solo l’Italia come lui l’ha immaginata e amata poteva offrire.
Walter Benjamin
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