martedì 26 settembre 2023

LA FALSA VIRILE VIRTU' DELL'ILLEGALITA'. IL CONFINE MARINO TRA LEGALITA' E ILLEGALITA'. LAVORO, LEGGI, MERCATO. RIFONDIAMO LO STATUTO


LA FALSA VIRILE VIRTU' DELL'ILLEGALITA'

<<Non si deve tendere alla sopraffazione, nè ritenere che il predominio fondato sulla sopraffazione sia una virile virtù, mentre il rispetto delle leggi sarebbe viltà. E' davvero perversa tale concezione, e da essa deriva tutto ciò che è contrario al bene: malvagità e danno>>.

IL CONFINE MARINO TRA LEGALITA' E ILLEGALITA'

Il giurista Domenico Azuni (Sassari, 1749-1827) descrive così il pirata: corre <<chicchessia, nemico di tutti, sprezzante d'ogni legge, dannato al capestro>>. Il corsaro, invece è capitano <<di bastimenti privati che, in tempo di guerra, per patente lettera sovrana, scorre il mare a suo rischio, contro navi, merci e persone del nemico>>. Spiegazione chiara chiara sul confine tra l'illegalità e la quasi-illegalità.

 LAVORO, LEGGI, MERCATO. RIFONDIAMO LO STATUTO

L'IMPRESA DEVE ASSUMERSI RESPONSABILITA' INVECE DI SCARICARE TUTTI I RISCHI SUI LAVOTATORI. LE PERSONE NON VANNO DIFESE DAL MERCATO MA NEL MERCATO, CON UNA FORMAZIONE ADEGUATA.

A cinquant'anni dall'approvazione delle norme che assicuravano a operai e impiegati diritti fino ad allora misconosciuti, ci confrontiamo con idee diverse sul valore di quella svolta. L'articolo 18, ora riformato, garantiva troppo alcune categorie, rovesciando sualtri la flessibilità necessaria alle imprese. Non sarebbe giusto estendere a tutti la tutela riconosciuta allora solo ad alcuni.

A cinquant'anni dall'approvazione dello statuto dei lavoratori, avvenuta il 20 maggio 1970, rievochiamo quella svolta ed esaminiamo gli attuali problemi dei rapporti tra aziende e dipendenti.

Che cosa significò, mezzo secolo fa, l'entrata in vigore della legge? 

Lo statuto dei lavoratori viene subito dopo l'autunno caldo del 1969, stagione d'intense lotte sindacali, e ne raccoglie le principali istanze. Da una parte stabilisce tutele individuali: garantiscee l'esercizio delle libertà di opinione in fabbrica, limita rigorosamente le perquisizioni, vieta le schedature dei dipendenti, fino ad allora usuali in molte aziende, vieta atti discriminatori, rafforza le garanzie contri i licenziamenti immotivati con l'articolo 18 e la tutela reintegratoria. Dall'altra sostiene questi diritti promuovendo l'attività sindacale in ogni luogo di lavoro, tenuto conto che in precedenza essa aveva incontrato ostacolo di ogni tipo dove non prevista da contratti collettivi. 

Lo statuto, a dispetto di alcune critiche, era una legge molto ben scritta: a differenza di quelle attuali, esemplare per semplicità e chiarezza. Il testo, stampato in milioni di copie, potè essere letto e capito da tutti, anche dai meno istruiti. Questo consentì di cambiare la cutura del lavoro, rendendo dovunque effettivi diritti fino allora tenuti fuori dalle fabbriche. Oltre al recepimento delle norme contrattuali di sostegno al sindacato nei luoghi di lavoro, venne riconosciuto il <<diritto alla riservatezza>> del lavoratore, espressione usata qui, in questo significato tecnico, per la prima volta nella legislazione italiana. Infine, con l'articolo 18, venne introdotta una disciplina ispirata al regime della job property tipico del pubblico impiego: la reintegrazione del dipendente licenziato con una motivazione, sul piano disciplinare o economico-organizzativo, ritenuta dal giudice insufficiente. Si tratta dell'aspetto dello statuto a mio avviso più discutibile, che è stato ultimamente oggetto di incisive modifiche.

Per quale ragione?

Il disegno di legge governativo, limitava la reintegrazione ai casi di licenziamneto discriminatorio o per rappresaglia aziendale, mentre prevedeva un indennizzo rafforzato per gli altri casi di irregolarità. Va aggiunto che lo statuto conteneva in nuce, nell'articolo 28, una riforma del rocesso del lavoro, che venne poi portata a compimento nel 1973 assicurando tempi rapidi alle cause del lavoro e conferendo ai magistrati gli strumenti necessari per rendere effettivi i diritti garantiti dallo statuto: avrebbe meritato di essere assunta come modello per una riforma del processo civile.

Si dice che lo statuto da un lato divise i lavoratori tra garantisti e non garantisti, dall'altro impose vincoli eccessivi alle imprese. Sono rilievi fondati?

Il primo rilievo è fondato, il secondo no. Le tutele dei diritti individuali di libertà valgono per tutti, ma l'articolo 18 e le norme di sostegno e promozione dell'attività sindacale si applicano nelle aziende medio-grandi, con più di 15 dipendenti. Riguardo all'aspetto sindacale, la differenza si poteva giustificare, in quanto regole del genere non si adattano bene alle piccole imprese, anche se spesso la contrattazione, oggi, le estende anche a realtà di dimensione ridotte. Ben più importante è la disparità in fatto di tutela dal licenziamento, che senza dubbio crea una separazione tra i lavoratori. Sulla questione si è pronunciata una sola volta, nel 1990, la Corte costituzionale, giustificando il regime differenziato con le caratteristiche peculiari delle aziende, quali la maggiore fragilità economica e il rapporto fiduciario vigente tra datore di lavoro e dipendenti. A me sembrano argomenti discutibili, ma il fatto che la divisione tra i lavoratori ci sia sempre stata, fino a ora, ci aiuta a capire perchè non regge la secondaria critica mossa allo statuto.

In che senso?

Poniamoci una semplice domanda: il segmento produttivo delle piccole imprese, dove lo statuto non è stato applicato nei suoi contenuti più vincolanti (art.18 e diritti sindacali, ha fatto registrare uno sviluppo più solido e dinamico rispetto alla grande industria? Nessuno può affermarlo. Anzi, la stessa esperienza della crisi causata dal Covid-19 dimostra che buone relazioni industriali, con una presenza attiva del sindacato in azienda, aiutano nei momenti di difficoltà. Ristrutturazioni e innovazioni, per funzionare, richiedono la collaborazione della manodopera anche se ottenerla richiede uno sforzo: è la fatica della democrazia industriale, come della democrazia in  generale. Di certo, restare fuori dall'applicazione dello statuto non ha affatto garantito la prosperità delle imprese con meno dipendenti.

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