Per raccontare gli strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con delicatezza una storia incandescente.
Donatella Di Pietrantonio è la vincitrice del Premio Campiello 2017 con L'Arminuta.
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Donatella Di Pietrantonio è la vincitrice della 55esima edizione del Premio Campiello con L’Arminuta. «Sono emozionatissima, felicissima. Voglio dedicare il premio alle mie due famiglie: quella che mi ha generato e quella che ho costruito e alle persone che hanno lavorato con amore intorno a questo libro. Ringrazio i lettori che lo hanno amato, le due giurie che lo hanno votato e i librai». Queste sono le prime parole dell’autrice che, visibilmente commossa, aggiunge un’altra importante dedica: «Voglio portare questo premio in Abruzzo, nella mia regione che viene fuori da un anno orribile, che ha subito terremoti, valanghe e incendi», terra in cui è ambientato il romanzo, «una storia estrema in cui la maternità, l’amore e l’abbandono prendono corpo nella vita di una ragazzina di tredici anni» (tutto libri – La Stampa, link). La Di Pientranio ha anche ammesso che di essere «tentata da un seguito. I lettori e le lettrici me lo hanno chiesto tantissimo, in tutti gli incontri e presentazioni che ho fatto. E lo chiedono soprattutto per Adriana, vogliono vederla adulta» (Corriere della Sera, link).
Donatella Di Pietrantonio è la vincitrice della 55esima edizione del Premio Campiello con L’Arminuta. «Sono emozionatissima, felicissima. Voglio dedicare il premio alle mie due famiglie: quella che mi ha generato e quella che ho costruito e alle persone che hanno lavorato con amore intorno a questo libro. Ringrazio i lettori che lo hanno amato, le due giurie che lo hanno votato e i librai». Queste sono le prime parole dell’autrice che, visibilmente commossa, aggiunge un’altra importante dedica: «Voglio portare questo premio in Abruzzo, nella mia regione che viene fuori da un anno orribile, che ha subito terremoti, valanghe e incendi», terra in cui è ambientato il romanzo, «una storia estrema in cui la maternità, l’amore e l’abbandono prendono corpo nella vita di una ragazzina di tredici anni» (tutto libri – La Stampa, link). La Di Pientranio ha anche ammesso che di essere «tentata da un seguito. I lettori e le lettrici me lo hanno chiesto tantissimo, in tutti gli incontri e presentazioni che ho fatto. E lo chiedono soprattutto per Adriana, vogliono vederla adulta» (Corriere della Sera, link).
L’Arminuta, «straordinario e toccante, è tra i romanzi italiani più belli dell'anno» (Giuseppe Fantasia, Huffington Post del 10/09/207, link),
tocca corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome.
I temi che tratta sono complessi da affrontare ma la scrittrice conosce
le parole per raccontarli ed è dotata di una rara intensità espressiva,
tanto da essere considerata «una delle più importanti scrittrici italiane» da Michela Murgia.
«C'è una scrittrice unica in Italia. Ha cinquantacinque anni, ogni giorno lavora nel suo studio dentistico a Penne, in Abruzzo, e per scrivere si alza molto presto al mattino e fra le cinque e le sette procede per "lampi", come dice lei. Attraverso questi lampi, Donatella Di Pietrantonio ha scritto romanzi e racconti di grande potenza e l'ultimo suo libro è una perla» (Matteo Nucci, «la Repubblica» del 19/02/2017).
L'Arminuta, «quella che è ritornata», è una ragazzina di tredici anni che, per motivi a lei incomprensibili, viene riportata dallo zio che l'ha adottata da piccola alla sua famiglia d'origine. Dietro la porta della nuova casa c'è un mondo nuovo, estraneo e rude che sembra appena sfiorato dal progresso.
«Con una borsa piena di scarpe confuse», simbolo forse di un viaggio tutto da percorrere, l'Arminuta deve affrontare un nuovo inizio e rielaborare un distacco che non accetta. Ha tante domande a cui nessuno dà risposta, si sente colpevole di quell'abbandono. I bei vestiti che indossa, desiderati subito dalla sconosciuta sorella che apre la porta, sono il segno di ciò che lascia alle sue spalle. Trova una casa inondata da suoni e odori a cui non era abituata: il russare del padre, il pianto del fratellino, l'odore del sugo, del sudore, del caffè… tutto ingigantito dalla promiscuità. Era abituata alla gentilezza del linguaggio e dei comportamenti, ora deve affrontare un mondo dove «le mazzate» sono l'unico mezzo per educare.
«Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza» (L’Arminuta, p. 100)
L'autrice riesce a scavare nell'animo della protagonista e in quello del lettore usando un linguaggio scarno ed essenziale, delicato ed elegante che crea un piacevole e riuscitissimo contrasto con il dialetto rude, a volte volgare, della «nuova» famiglia della ragazzina. La lingua di Donatella Di Pietrantonio è dunque metafora delle differenze culturali fra la «Ritornata» e i suoi nuovi parenti biologici.
La scrittrice racconta una storia di perdita e di dolore, affronta una delle paure più profonde di ogni essere umano, quella di perdere le persone dalle quali dipende la propria felicità, e lo fa tramite una ragazzina tenace che non si arrende al suo destino:
«Ecco dove sta il motore narrativo di L’Arminuta, la benzina letteraria che permette a Di Pietrantonio di tenere un passo serrato ma sempre retto da una scrittura febbrile e potente: il rifiuto, da parte della protagonista, di rassegnarsi a questa ineluttabilità geografica-genetica, l’ostinazione a non voler rimanere in un posto scelto per lei da un potere invisibile e, soprattutto, la volontà di capire perché, all’improvviso, la donna che l’aveva accettata come figlia ha deciso di rimandarla indietro» (Roberta Scorranese, «Corriere della Sera» del 12/02/2017, link).
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Di seguito Michela Murgia parla de L'Arminuta a Quante storire su Rai3
«C'è una scrittrice unica in Italia. Ha cinquantacinque anni, ogni giorno lavora nel suo studio dentistico a Penne, in Abruzzo, e per scrivere si alza molto presto al mattino e fra le cinque e le sette procede per "lampi", come dice lei. Attraverso questi lampi, Donatella Di Pietrantonio ha scritto romanzi e racconti di grande potenza e l'ultimo suo libro è una perla» (Matteo Nucci, «la Repubblica» del 19/02/2017).
L'Arminuta, «quella che è ritornata», è una ragazzina di tredici anni che, per motivi a lei incomprensibili, viene riportata dallo zio che l'ha adottata da piccola alla sua famiglia d'origine. Dietro la porta della nuova casa c'è un mondo nuovo, estraneo e rude che sembra appena sfiorato dal progresso.
«Con una borsa piena di scarpe confuse», simbolo forse di un viaggio tutto da percorrere, l'Arminuta deve affrontare un nuovo inizio e rielaborare un distacco che non accetta. Ha tante domande a cui nessuno dà risposta, si sente colpevole di quell'abbandono. I bei vestiti che indossa, desiderati subito dalla sconosciuta sorella che apre la porta, sono il segno di ciò che lascia alle sue spalle. Trova una casa inondata da suoni e odori a cui non era abituata: il russare del padre, il pianto del fratellino, l'odore del sugo, del sudore, del caffè… tutto ingigantito dalla promiscuità. Era abituata alla gentilezza del linguaggio e dei comportamenti, ora deve affrontare un mondo dove «le mazzate» sono l'unico mezzo per educare.
«Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza» (L’Arminuta, p. 100)
L'autrice riesce a scavare nell'animo della protagonista e in quello del lettore usando un linguaggio scarno ed essenziale, delicato ed elegante che crea un piacevole e riuscitissimo contrasto con il dialetto rude, a volte volgare, della «nuova» famiglia della ragazzina. La lingua di Donatella Di Pietrantonio è dunque metafora delle differenze culturali fra la «Ritornata» e i suoi nuovi parenti biologici.
La scrittrice racconta una storia di perdita e di dolore, affronta una delle paure più profonde di ogni essere umano, quella di perdere le persone dalle quali dipende la propria felicità, e lo fa tramite una ragazzina tenace che non si arrende al suo destino:
«Ecco dove sta il motore narrativo di L’Arminuta, la benzina letteraria che permette a Di Pietrantonio di tenere un passo serrato ma sempre retto da una scrittura febbrile e potente: il rifiuto, da parte della protagonista, di rassegnarsi a questa ineluttabilità geografica-genetica, l’ostinazione a non voler rimanere in un posto scelto per lei da un potere invisibile e, soprattutto, la volontà di capire perché, all’improvviso, la donna che l’aveva accettata come figlia ha deciso di rimandarla indietro» (Roberta Scorranese, «Corriere della Sera» del 12/02/2017, link).
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Di seguito Michela Murgia parla de L'Arminuta a Quante storire su Rai3
RECENSIONE
L’Arminuta non aveva capito niente ma, tranquillizzata, inghiotti
una lacrima che rotolava. C'era nei suoi occhi un segreto nascosto. Poi scoppiò in uno strano pianto. Strano perchè non liberatorio e spontaneo, come quello degli altri ragazzi della sua età; ma faticoso, amaro come quello degli adulti, il cui dolore è impietrito e senza scampo(inflessibile, duraturo e senza scampo). A vederla piangere così, si vinceva lo stesso angoscioso disagio che si prova a veder piangere un uomo.
Per la prima volta nella sua vita, ella non aveva rivelato tutto ciò che pensava e, anzi, fatto più significativo e inquietante, lo aveva tenuto nascosto dentro di sé. Per la bambina erano gli anni della differenza e della solitudine, del senso del peccato. Ricordava invece perfettamente la ricerca giorno dopo giorno per il suo cuore. Una strada fatta di ricordi comuni che riaffiorano. Perché le cose più preziose come l’abbraccio di una madre si possiedono senza doverle cercare.
Rievocava quella casa dove abitava prima, le tornava sempre
davanti agli occhi come le era apparsa
verso la fine di quella giornata perdutamente lunga. Nella
voce della madre si udiva la minaccia dell’impazienza. Il futuro non si può predire. Ma lo si può
intravedere quando da fuori si entra in una casa. All’improvviso una bizzarria
le balenò per la testa. Le passò per la mente che tra sua madre e l’altra
esistesse da qualche tempo un’inspiegabile somiglianza. All’Arminuta ciò parve
molto strano, poiché era impossibile trovare due donne più dissimili. Non
avrebbe mai pensato di vivere l’incubo peggiore della sua vita. Eppure, ora è
difficile ricucire quello che tanto tempo prima si è spezzato.
Quello che conta ora sono le sue ambizioni e i suoi
desideri. Alcuni destinati a consumarsi velocemente; altri a essere coronati dal
successo, altri ancora, semplicemente, a non realizzarsi mai.
L’Arminuta, proprio
perché non vive in forma normale il rapporto con la famiglia si crea un suo codice mentale che gli permette di
interpretare in modo libero il rapporto con gli altri uomini, con la matura e
con lo stesso silenzio.
Il silenzio degli affetti, (la fame di affetto), in
realtà era parlante! Anzi, era fatto di voci che mescolandosi col tremolio dei
colori e delle ombre, diventò una sola voce: e allora s’intese la sensazione che
erano tutte voci del silenzio. Però dentro ci si distinguevano, una per una
tutte le voci e le frasi e i discorsi a migliaia e migliaia. Cioè nel silenzio
si può cogliere la voce nascosta di tutto ciò che nella vita è stato soffocato
e non ha potuto esprimersi: i sentimenti privati taciuti per pudore come gli
echi della tragedia.
La scrittura lirica si manifesta soprattutto nelle sottili
analisi dell’anima umano contenute nel geniale racconto. Ci viene offerta
infatti, la visione poetica di una tredicenne; la sua crescita è osservata dalla
scrittrice Donatella Di Pietrantonio con gli occhi la <<la vita dell’anima>>.
Le reazioni dell’Arminuta a tutto quello
che la circonda, alle novità, alla conoscenza, costituiscono la trama
impalpabile del racconto. La quotidianità della protagonista che vive nella sua
casa con la famiglia, trascorre nel continuo desiderio di scoprire nuove
realtà. I giorni passano e cambiano, e lei cambia seguendo inconsciamente le
leggi del corpo e dell’anima.
L’importante nel romanzo è quello che vive l’Arminuta nell’attimo
colto dalla scrittrice: il rapporto con a madre, la curiosità del sapere, le
riflessioni sull’amicizia e sui rapporti complessi che essa genera, riflettono
una stringente logica adolescenziale. Davanti a lei, il primo assaggio di
libertà e, insieme, la scoperta del corpo, il desiderio di spiccare il volo, la
voglia e la paura di essere se stessa, il bisogno di rivelare i propri
sentimenti che si mescola al timore della maldicenza.
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