Colpi di scena, intricate vicende amorose, inquietudine, sopraffazione, malattie si intrecciano seguendo ritmi narrativi ora precipitosi ora trattenuti, ma sempre avvincenti, in una narrazione a effetto, spesso avvolta nel mistero.
EINAUDI
ET Classici
pp. XII - 380
€ 13,00
Il libro
Il
perfido principe Valkovskij si staglia sulla schiera delle sue vittime,
umiliate e offese: la spartizione tra bene e male, luce e tenebre, non
si spegne però mai in un facile schematismo. Trova ragione e spessore
nella profondità dell’ideale umanitario dell’autore, nella sua indagine
psicologica, nell’intensità dei sentimenti ritratti che, pagina dopo
pagina, mantengono viva la tensione.
Autore
Fëdor Dostoevskij
Di Fëdor Michajlovic Dostoevskij (Mosca 1821 - Pietroburgo 1881). Fu uno dei più grandi prosatori russi di tutti i tempi. Sin dalla fanciullezza manifestò una precoce intelligenza e una grande nobiltà d'animo. Nel 1848 fu condannato a morte per motivi politici, ebbe la condanna commutata ai lavori forzati, per cui fu deportato in Siberia, ove rimase quattro anni. Frutto di questa crudele e disumana esperienza fu il libro <<Ricordo di una cosa morta>>. Anche dopo la liberazione trascorse una vita agitata, tra ristrettezze finanziarie trascorse una vita agitata, tra ristrettezze finanziarie e sofferenze che minarono la sua già debole fibra. Tra i suoi capolavori: <<Le notti bianche>>, <<Il giocatore>>, <<L'idiota>>, <<I demoni>>, <<L'adolescente>> e <<I fratelli Karamazov>>. Einaudi ha pubblicato: Memorie del sottosuolo, Umiliati e offesi, Delitto e castigo, I demoni, L'adolescente, L'idiota, I fratelli Karamazov, Diario di uno scrittore, Le notti bianche, Il sogno dello zio e L'eterno marito.
RECENSIONE
Nell'opera <<Umiliati e offesi>> come in altre dello stesso autore, il tema dominante è il dramma spirituale dei personaggi che assume uno straordinario risalto. <<Il cuore umano>>, scrisse Dostoevskji <<non è che il campo di battaglia su cui lottano Dio e il diavolo>>, esprimendo così che il bene e il male sono presenti nella nostra natura. Dal loro contrasto continuo e incessante nascono il tormento e l'angoscia dell'uomo, ora elevato alle vette della perfezione, oa scagliato come di una forza malefica e invincibile nelle colpe più ripugnanti.
Per questi motivi non si trova forse in tutto l'Ottocento un scrittore che abbia rappresentato con maggior lucidità l'estrema complessità dello spirito umano. Il protagonista del romanzo è un giovane scrittore, nel quale Dostoevskji raffigura se stesso: Ivan Petrovic, detto Vanja. E' stato allevato dagli Ikmenev con la loro figlia Natascia. Mentre egli studia a Pietroburgo, il principe Valkonsky affida a Ikmenev, suo amministratore, il figlio Alioscia: il ragazzo ha condotto vita scapestrata e il padre intende punirlo mandandolo in campagna. Alioscia frequenta Natascia, attratto dalla sua grazia. Si diffondono pettegolezzi, e ne nasce un piccolo scandalo.
Il principe, che è assolutamente contrario a questa storia d'amore, deciso a separare i due giovani, provoca la rovina di Ikmenev che egli considera responsabile di quanto è avvenuto, Vanja si fidanza con la giovane la quale però non gli nasconde di essere sempre innamorata di Alioscia. Non appena, infatti, lo ritrova, abbandona per lui la propria famiglia e il fidanzato. Da questo amore appassionato e folle Natascia riceverà molto dolore: Alioscia infatti la abbandonerà per sposare la bella e ricca Katja, la fidanzata che suo padre ha scelto per lui.
Nel frattempo Vanja ha accolto in casa sua un'orfanella, Nelly, malata, che morirà dopo aver fatto riconciliare Ikmenev con Natascia.
Nelle prime pagine del romanzo, lo scrittore racconta una strana avventura che gli capitò una sera quando, dopo aver vagato per la città alla ricerca d'un alloggio, arrivò davanti al bar Miller. Dal lato opposto della strada vide avanzare un vecchio seguito da un cane.
IL VECCHIO E IL CANE - E' una scena descritta nel romanzo
Il caffè è frequentato soprattutto da tedeschi e vi regna una certa aria familiare. Poco dopo essere entrato nel locale, lo scrittore si addormenta. Al risveglio una strana scena attira la sua attenzione. Il vecchio guarda con insistenza, ma con uno sguardo spento, come se egli non vedesse, un certo Adamo Ivanovic Schulz, mercante di Riga, intento a leggere un giornale. Questi si accorge di essere continuamente osservato dal vecchio e se ne offende. Gli domanda perchè lo guardi, ma l'altro non risponde. Ripete allora la domanda, con maggiore ira.
Benchè la scena sia descritta nel mondo più realistico possibile, l'atmosfera che la domina è quella dell'allucinazione e dell'incubo. Già l'apparizione del vecchio e del cane - due figure indimenticabili nel loro squallore che le rende simili ad esseri fuori del tempo - conferisce al brano una nota di inquietudine, di attesa e di mistero che le vicende successive intensificano.
Ciò che avviene rientra nella più assoluta normalità (un vecchio solo, il suo cane, un bar, i clienti, un diverbio), ma Dostoevskji <<sente>>, in modo indefinibile e pur certo, la presenza, in quell'uomo che tutti evitano con un moto di ribrezzo, di un dramma le cui origini risalgono assai addietro nel tempo.
Lo scrittore, isolando al centro della scena questo personaggio impenetrabile che fino all'ultimo manterrà nascosto il suo segreto, e rappresentando gli altri come mossi da lui, inspiegabilmente turbati e condizionati dalla sua presenza che li innervosisce in modo innaturale, rappresenta una situazione in cui la tensione cresce via via, tanto che un piccolo incidente provoca, prima, una reazione esageratamente violenta da parte di Schulz, poi una profondissima pietà, non meno illogica dell'ira precedente, da parte dello stesso e degli altri avventori del locale.
Ma il tema dominante, sia prima, sia dopo la lite, è l'ansia da cui tutti sono presi. Essa è ben visibile nelle parole di circostanza che ognuno si sente in obbligo di pronunciare dopo la morte del cane. Se rileggi quel passo noterai che il verbo impagliare e il sostantivo abnegazione ritornano di frequente a dimostrare l'imbarazzo dei presenti che Dostoevskji registra con una nota appena percettibile di ironia (Miller e Krigher ripetono quasi le stesse frasi.)
Chi è querl vecchio? Quale mistero nasconde? Di quale male è morto il cane? Perchè non si separavano mai l'uno dall'altro? Perchè l'animale è morto in quel locale, proprio mentre il suo padrone veniva ingiurato? Perchè il vecchio non reagisce all'ira di Schulz e poi trema, come terrorizzato, quando tutti si mostrano gentili con lui? Sono domande che lo scrittore ci costringe a porre e che lascia senza risposta.
L'unica certezza che il lettore ha è la sofferenza di uel vecchio, respinto dalla società, offeso dagli altri e pur abituato a sopportare come naturali le umiliazioni che gli vengono inflitte. Sentiamo che la storia, la vita che il vecchio ha vissuto sono all'origine del suo stato presente, di abbattimento e di pena. Ma da quando nel colloquio che lo scrittore ha con lui alla fine, l'enigma è sul punto di essere svelato e ci attendiamo la rivelazione, essa non viene. La verità del vecchio ci sfugge così, definitivamente.
Le ultime frasi del romanzo, tanto brevi, incalzanti e drammatiche. Esse esprimono la concitazione e l'ansia del protagonista che <<sente>> la morte del vecchio prima di averne le prove. Mi pareva che tutto ciò accadesse in un sogno conclude l'autore e veramente in tutta la pagina la realtà stessa sembra diventare paurosa e misteriosa, evanescente e inafferabile come una visione grottesca.
E' certamente possibile ricondurre questo tema della morte e del mistero a certi motivi macabri del primo romanticismo europeo. Ciò nonostante l'originalità di Dostoevskji resta assoluta perchè in lui morte, mistero, incubo sono riferiti costantemente alla coscienza dell'uomo che è la fonte di ogni sensazione. Il <<terrore>> non è insomma nelle cose in sè, ma nella nostra anima sconvoltà. Solo nello spirito, secondo Dostoevskji, è la realtà, poichè esso è come il punto da cui i <<fatti>> prendono avvio e a cui in un certo senso ritornano.
ET Classici
pp. XII - 380
€ 13,00
Il libro
Il
perfido principe Valkovskij si staglia sulla schiera delle sue vittime,
umiliate e offese: la spartizione tra bene e male, luce e tenebre, non
si spegne però mai in un facile schematismo. Trova ragione e spessore
nella profondità dell’ideale umanitario dell’autore, nella sua indagine
psicologica, nell’intensità dei sentimenti ritratti che, pagina dopo
pagina, mantengono viva la tensione.
Autore
Fëdor Dostoevskij
Di Fëdor Michajlovic Dostoevskij (Mosca 1821 - Pietroburgo 1881). Fu uno dei più grandi prosatori russi di tutti i tempi. Sin dalla fanciullezza manifestò una precoce intelligenza e una grande nobiltà d'animo. Nel 1848 fu condannato a morte per motivi politici, ebbe la condanna commutata ai lavori forzati, per cui fu deportato in Siberia, ove rimase quattro anni. Frutto di questa crudele e disumana esperienza fu il libro <<Ricordo di una cosa morta>>. Anche dopo la liberazione trascorse una vita agitata, tra ristrettezze finanziarie trascorse una vita agitata, tra ristrettezze finanziarie e sofferenze che minarono la sua già debole fibra. Tra i suoi capolavori: <<Le notti bianche>>, <<Il giocatore>>, <<L'idiota>>, <<I demoni>>, <<L'adolescente>> e <<I fratelli Karamazov>>. Einaudi ha pubblicato: Memorie del sottosuolo, Umiliati e offesi, Delitto e castigo, I demoni, L'adolescente, L'idiota, I fratelli Karamazov, Diario di uno scrittore, Le notti bianche, Il sogno dello zio e L'eterno marito.
RECENSIONE
Nell'opera <<Umiliati e offesi>> come in altre dello stesso autore, il tema dominante è il dramma spirituale dei personaggi che assume uno straordinario risalto. <<Il cuore umano>>, scrisse Dostoevskji <<non è che il campo di battaglia su cui lottano Dio e il diavolo>>, esprimendo così che il bene e il male sono presenti nella nostra natura. Dal loro contrasto continuo e incessante nascono il tormento e l'angoscia dell'uomo, ora elevato alle vette della perfezione, oa scagliato come di una forza malefica e invincibile nelle colpe più ripugnanti.
Per questi motivi non si trova forse in tutto l'Ottocento un scrittore che abbia rappresentato con maggior lucidità l'estrema complessità dello spirito umano. Il protagonista del romanzo è un giovane scrittore, nel quale Dostoevskji raffigura se stesso: Ivan Petrovic, detto Vanja. E' stato allevato dagli Ikmenev con la loro figlia Natascia. Mentre egli studia a Pietroburgo, il principe Valkonsky affida a Ikmenev, suo amministratore, il figlio Alioscia: il ragazzo ha condotto vita scapestrata e il padre intende punirlo mandandolo in campagna. Alioscia frequenta Natascia, attratto dalla sua grazia. Si diffondono pettegolezzi, e ne nasce un piccolo scandalo.
Il principe, che è assolutamente contrario a questa storia d'amore, deciso a separare i due giovani, provoca la rovina di Ikmenev che egli considera responsabile di quanto è avvenuto, Vanja si fidanza con la giovane la quale però non gli nasconde di essere sempre innamorata di Alioscia. Non appena, infatti, lo ritrova, abbandona per lui la propria famiglia e il fidanzato. Da questo amore appassionato e folle Natascia riceverà molto dolore: Alioscia infatti la abbandonerà per sposare la bella e ricca Katja, la fidanzata che suo padre ha scelto per lui.
Nel frattempo Vanja ha accolto in casa sua un'orfanella, Nelly, malata, che morirà dopo aver fatto riconciliare Ikmenev con Natascia.
Nelle prime pagine del romanzo, lo scrittore racconta una strana avventura che gli capitò una sera quando, dopo aver vagato per la città alla ricerca d'un alloggio, arrivò davanti al bar Miller. Dal lato opposto della strada vide avanzare un vecchio seguito da un cane.
IL VECCHIO E IL CANE - E' una scena descritta nel romanzo
Il caffè è frequentato soprattutto da tedeschi e vi regna una certa aria familiare. Poco dopo essere entrato nel locale, lo scrittore si addormenta. Al risveglio una strana scena attira la sua attenzione. Il vecchio guarda con insistenza, ma con uno sguardo spento, come se egli non vedesse, un certo Adamo Ivanovic Schulz, mercante di Riga, intento a leggere un giornale. Questi si accorge di essere continuamente osservato dal vecchio e se ne offende. Gli domanda perchè lo guardi, ma l'altro non risponde. Ripete allora la domanda, con maggiore ira.
Benchè la scena sia descritta nel mondo più realistico possibile, l'atmosfera che la domina è quella dell'allucinazione e dell'incubo. Già l'apparizione del vecchio e del cane - due figure indimenticabili nel loro squallore che le rende simili ad esseri fuori del tempo - conferisce al brano una nota di inquietudine, di attesa e di mistero che le vicende successive intensificano.
Ciò che avviene rientra nella più assoluta normalità (un vecchio solo, il suo cane, un bar, i clienti, un diverbio), ma Dostoevskji <<sente>>, in modo indefinibile e pur certo, la presenza, in quell'uomo che tutti evitano con un moto di ribrezzo, di un dramma le cui origini risalgono assai addietro nel tempo.
Lo scrittore, isolando al centro della scena questo personaggio impenetrabile che fino all'ultimo manterrà nascosto il suo segreto, e rappresentando gli altri come mossi da lui, inspiegabilmente turbati e condizionati dalla sua presenza che li innervosisce in modo innaturale, rappresenta una situazione in cui la tensione cresce via via, tanto che un piccolo incidente provoca, prima, una reazione esageratamente violenta da parte di Schulz, poi una profondissima pietà, non meno illogica dell'ira precedente, da parte dello stesso e degli altri avventori del locale.
Ma il tema dominante, sia prima, sia dopo la lite, è l'ansia da cui tutti sono presi. Essa è ben visibile nelle parole di circostanza che ognuno si sente in obbligo di pronunciare dopo la morte del cane. Se rileggi quel passo noterai che il verbo impagliare e il sostantivo abnegazione ritornano di frequente a dimostrare l'imbarazzo dei presenti che Dostoevskji registra con una nota appena percettibile di ironia (Miller e Krigher ripetono quasi le stesse frasi.)
Chi è querl vecchio? Quale mistero nasconde? Di quale male è morto il cane? Perchè non si separavano mai l'uno dall'altro? Perchè l'animale è morto in quel locale, proprio mentre il suo padrone veniva ingiurato? Perchè il vecchio non reagisce all'ira di Schulz e poi trema, come terrorizzato, quando tutti si mostrano gentili con lui? Sono domande che lo scrittore ci costringe a porre e che lascia senza risposta.
L'unica certezza che il lettore ha è la sofferenza di uel vecchio, respinto dalla società, offeso dagli altri e pur abituato a sopportare come naturali le umiliazioni che gli vengono inflitte. Sentiamo che la storia, la vita che il vecchio ha vissuto sono all'origine del suo stato presente, di abbattimento e di pena. Ma da quando nel colloquio che lo scrittore ha con lui alla fine, l'enigma è sul punto di essere svelato e ci attendiamo la rivelazione, essa non viene. La verità del vecchio ci sfugge così, definitivamente.
Le ultime frasi del romanzo, tanto brevi, incalzanti e drammatiche. Esse esprimono la concitazione e l'ansia del protagonista che <<sente>> la morte del vecchio prima di averne le prove. Mi pareva che tutto ciò accadesse in un sogno conclude l'autore e veramente in tutta la pagina la realtà stessa sembra diventare paurosa e misteriosa, evanescente e inafferabile come una visione grottesca.
E' certamente possibile ricondurre questo tema della morte e del mistero a certi motivi macabri del primo romanticismo europeo. Ciò nonostante l'originalità di Dostoevskji resta assoluta perchè in lui morte, mistero, incubo sono riferiti costantemente alla coscienza dell'uomo che è la fonte di ogni sensazione. Il <<terrore>> non è insomma nelle cose in sè, ma nella nostra anima sconvoltà. Solo nello spirito, secondo Dostoevskji, è la realtà, poichè esso è come il punto da cui i <<fatti>> prendono avvio e a cui in un certo senso ritornano.
E' certamente possibile ricondurre questo tema della morte e del mistero a certi motivi macabri del primo romanticismo europeo. Ciò nonostante l'originalità di Dostoevskji resta assoluta perchè in lui morte, mistero, incubo sono riferiti costantemente alla coscienza dell'uomo che è la fonte di ogni sensazione. Il <<terrore>> non è insomma nelle cose in sè, ma nella nostra anima sconvoltà. Solo nello spirito, secondo Dostoevskji, è la realtà, poichè esso è come il punto da cui i <<fatti>> prendono avvio e a cui in un certo senso ritornano.
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