Dal caffè paradisiaco al Suv divino, stiamo assistendo alla fine del monopolio delle istituzini ecclesiastiche sui simboli confessionali. Un fenomeno graduale, la <<mlignità>> dei creativi no c'entra. Spiegare il crescente ricorso alla religione nella pubblicità con <<l'atribuzione all'industria pubblicitaria di una volontà perversa di sfruttamento spiegata attraverso la presunta <<malignità>> dei pubblicitari. I simboli della fedi <<appaiono al pubblico non più come parte di un sapere che richiede la mediazione di esperti religiosi, bensì come un sistema di conoscenza condiviso e noto a tutti>>. Mentre la religione tradizionale perde il controllo sui propri simboli, il istema della pubblicità trae dalla sua sintonia commerciale con il pubblico un <<patrimonio di credibilità>>, grazie al quale può permettersi di sfidare l'autorità religiosa.
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