ILARIA ROSSETTI
"LA FABBRICA DELLE RAGAZZE"
BOMPIANI
pp.308 - 19,00 euro
Il libro
Al centro di questo romanzo ci sono le ragazze: con i capelli al vento
di chi attraversa la campagna in bicicletta, con le guance scavate
perché il cibo scarseggia ma gli occhi ardenti di chi ha tutta la vita
davanti, con le dita sottili che sono perfette per costruire le
munizioni. Infatti, durante la Prima guerra mondiale, la fabbrica Sutter
& Thévenot sceglie proprio la campagna lombarda per installare, a
Castellazzo di Bollate, uno degli stabilimenti dove centinaia di donne
giovanissime fanno i turni per rifornire i soldati al fronte. E poi ci
sono anche loro, i ragazzi, allontanati dalle famiglie e dal lavoro per
andare a far carne da macello nelle trincee, con i cuori pieni di
nostalgia e pronti ad accendersi quando arriva una cartolina vergata da
una grafia femminile, come succede a Corrado che per amore arriva alla
diserzione... Ma è il 1918, la Storia sta accelerando: è così che
Emilia, la piscinìna, la mattina del 7 giugno saluta i genitori
senza sapere se li rivedrà, perché una grave esplosione investirà la
fabbrica causando decine di vittime, quasi tutte donne e bambine. La
produzione però riprende subito, in tempo di guerra le vite umane
contano ancora meno del solito. È così che Corrado e il padre di Emilia,
Martino, con sua moglie Teresa dovranno accettare che la realtà è più
dura dei sogni e il tempo scorre indifferente come il Seveso sotto il
grande cielo. Con una lingua intensamente poetica e venata di dialetto
senza mai indulgere nella maniera, Ilaria Rossetti racconta un episodio
quasi dimenticato e più che mai attuale di lavoro femminile e morti
bianche: prima di lei, fu Ernest Hemingway a parlarne in uno dei Quarantanove racconti.
In queste pagine la storia vera dell'esplosione della fabbrica Sutter
& Thévenot di Bollate, che uccise cinquantanove tra operai e
operaie, da testimonianza si fa romanzo e attraverso le voci di tante
piccole vite non smette di chiederci ascolto.
Un romanzo vero, moderno, a cominciare dai temi, le morti sul lavoro innanzitutto, poi la guerra, con un bel ritmo, colpi di scena, cambi di prospettiva e un racconto quasi corale con echi classici nell'atmosfera e la scrittura, appena venata di dialetto, leggera e incisiva nella concretezza del suo sguardo realista e poetico, controllato e senza un filo di retorica, sull'asprezza della vita e la capacità di resistergli.
E' l'ultima opera (in selezione per il Premio Strega) di una scrittrice, vincitrice del Campiello Giovani nel 2007, poi autrice di alcuni romanzi, tra cui il notevole "Le cose da salvare" del 2020, capace di scegliere momenti esemplari, tragici, per raccontare un pezzo della storia del nostro paese, i cui avvenimenti di parlano anche del presente, di persone vinte ma che non si piegano, che non riescono o non vogliono dimenticare.
Si parte dal recupero della storia vera
dell'esplosione, il 7 giugno 1918, della fabbrica di munizioni Sutter
& Thévenot di Bollate (di cui parlerà Ernest Hemingway, che
partecipò ai soccorsi, nel racconto "Storia naturale dei defunti") che
fece 59 vittime (in appendice sono riportati tutti i loro nomi e l'età),
molte delle quali praticamente scomparse, perché ridotte a brandelli,
tra uomini e una grande maggioranza di giovani donne. Tra queste si
seguono le diverse storie di Emilia Minora (nome vero di una delle
scomparse) e poi di Clementina Colombo ricostruendole con la libertà e
la creatività del narratore, ma dando risalto in particolare alle figure
e al dolore dei genitori della prima, Martino e Teresa Minora,
contadini dai sentimenti profondi vissuti con pudore e ritrosia e dalla
vita misera e aspra, relativamente ai quali, ma non solo, nasce la
domanda: "Perché le guerre, quando finiscono, non finiscono mai per
tutti?". Domanda che appunto riguarda coloro che ne sono rimasti
segnati, ma che qui si allarga a tutto, acquistando un valore
esistenziale, metaforico, oltre a quello più letterale relativo alla
Grande Guerra, di cui si raccontano gli ultimi mesi e la fine, nel 1918,
tra Bollate, le campagne intorno e Milano, unite dal fiume Seveso,
percorse da ragazze e uomini in bicicletta Con queste, mentre la
fabbrica riprende subito la produzione utile alla guerra, che procede
indifferente alle morti che si lascia dietro, si intrecciano altre
vicende umane, da quella del soldato Corrado, che diserta per una
illusoria storia d'amore, al carabiniere Ernesto Fumagalli detto
Drumedari che gli dà la caccia, al farmacista di Bollate o la povera
Clementina, stuprata dalla guerra, e molte altre minori, in un affresco
coinvolgente di una realtà articolato e ricco nel rendere conto dei
fatti ma assieme di come le persone li elaborano per sopravvivere bene o
male, in un mondo in cui ''se le cose non vogliono più stare al loro
posto, se non possono più stare al loro posto, allora come si fa?''.
Ecco quindi che la bella creatività della Rossetti gioca coi sogni e
con la realtà, spiazza il lettore e lo riacchiappa portandolo a
partecipare alla sofferenza di Martino, che vuol restare solo sul fiume
col suo dolore e si incontrerà con la vita drammatica di quel periodo, o
ai sentimenti di rancore in cui si chiude Teresa (tutto simbolicamente
concentrato in un uovo non consegnato e schiacciato a terra), due che
''se avessero conosciuto le parole per fare esistere quel dolore e
condividerlo, avrebbero potuto girarsi sul fianco e guardarsi negli
occhi''.
Un romanzo in cui si sentono lontani echi manzoniani,
da quella impossibilità, per la violenza della storia, di vivere la
propria vita secondo i propri desideri, all'arrivo a Milano di Martino e
Corrado, o l'attenzione ai paesaggi attorno, perchè di un vero grande
romanzo affresco tradizionale si tratta, ma riscritto e visto con
sapienza, occhi e una struttura e scrittura moderna, precisa, ben
ritmata, senza una parola, un aggettivo di troppo, con una sua
concretezza (''Il risucchio della minestra si unisce ai rumori della
sala, voci levate e silenzi solitari, il cigolio delle sedie, la porta
che sbatte'') anche nella scelta di vocaboli particolari (''La sardana
sanguinaria della guerra'') e della vita contadina, come in certe
elencazioni in crescendo che trovano la propria forza espressiva nel
loro aggregarsi.
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