venerdì 19 aprile 2024

REVIEW: SE IL ROMANZO NASCE DALLA RISATA DI DIO.

Se il romanzo nasce dalla risata di Dio

Da I Libri di Jakub di Olga Tokarczuk a La doppia vista di Roberto Pazzi a L’arte del romanzo: tre titoli per definire il presente

«L’uomo pensa, Dio ride». Questa massima ebraica è contenuta ne L’arte del romanzo, riedito da Adelphi (traduzione di Ena Marchi, pagg. 168, € 12,00) lo scorso anno per celebrare la scomparsa di Milan Kundera. Lo scrittore ceco che avrebbe meritato il Nobel, amava immaginare che Francois Rabelais avesse udito un giorno la risata del creatore, e che fosse nata in quel frangente l’idea del primo grande romanzo europeo: «Mi diverte pensare che l’arte del romanzo sia venuta al mondo come eco della risata di Dio», confessava.

È salutare congedarsi dai postumi del 2023 con il saggio di un intellettuale tanto radicale quanto relativista; d’altronde, Kundera incarnava le contraddizioni di un Occidente democraticamente sottomesso agli imperativi finanziari.

I libri di Jakubè

È stato merito di Paolo De Caro ravvisare nella Primavera hitleriana di Eugenio Montale (La bufera e altro) tracce residuali di un cliziano “frankismo”, cioè un lontano legame parentale tra Irma Brandeis – Clizia, appunto – e l’eresiarca ebreo Jakub Frank, autoproclamatosi Messia sulla scorta degli insegnamenti di Sabbatai Zevi e leader di un movimento religioso risalente alla metà del Settecento. Con I Libri di Jakub (traduzione di Ludmila Ryba e Barbara Delfino, Bompiani, pagg. 1120, € 29,00), monumentale romanzo dedicato proprio a Frank (e numerato al contrario, in ordine decrescente), il Premio Nobel per la letteratura 2018 Olga Tokarczuk presenta il suo opus magnum, originariamente pubblicato in Polonia nel 2014.

Il taglio del testo è di chiara ascendenza postmoderna: l’enciclopedismo spinto fino alla minuzia, l’opera-mondo, l’allegorismo religioso che si mescola a elementi fantastico-fiabeschi, la pynchoniana ironia (si pensi al fluviale sottotitolo: «O il grande viaggio attraverso sette frontiere, cinque lingue e tre grandi religioni, senza contare quelle minori. Narrato dai morti, e dall’autrice completato col metodo della congettura, da molti e vari libri attinto, e sorretto inoltre dall’immaginazione che dei doni naturali dell’uomo è il più grande. Memoriale per i saggi, riflessione per i compatrioti, istruzione per i laici, e svago per i malinconici»).

Tokarczuk segue passo dopo passo l’assurda parabola di vita di Jakub Frank: dal villaggio Rohatyn – diviso tra conventi domenicani, sinagoghe e chiese ortodosse – parte questo giovanotto che ricalca su di sé il motivo medievale dell’ebreo errante: «Jakub ha cominciato improvvisamente a presentarsi con un altro nome: non più Yankel Lejbowicz, bensì Jakub Frank come vengono chiamati qui gli ebrei d’Occidente, e così pure suo suocero e sua moglie. Frank, frenk significa straniero».

Tra misticismo ed erotomania

Tra misticismo ed erotomania, misinterpretazioni scritturali (il versetto di Isaia secondo il quale il redentore doveva essere «peccatore e mortale») e metodiche infrazioni della Torah, dispute dottrinali e avventure di ogni genere, Frank è un soggetto sgusciante, inafferrabile, lo Straniero par excellence, simbolo egli stesso di una concezione della letteratura come «perfezione di forme imprecise».

La doppia vista

Nella solitudine individuale si arriva a fare esperienza della vita, a «l’approvazione della vita fin dentro la morte», come sosteneva Bataille e come Fosse rappresenta nel monologo interiore dell’umile pescatore norvegese Johannes, in Mattino e sera. E significa contestare i propri modelli quanto riuscire a rinunciare, infine, alla sicurezza dei propri limiti. Questo è anche il testamento di Roberto Pazzi ne La doppia vista (La nave di Teseo, pagg. 208, € 19,00), il suo ultimo romanzo pubblicato postumo. Superato il prologo in cui lo scrittore concepisce l’indicibile desiderio degli angeli di aspirare all’immortalità della carne, invidiosi degli esseri umani ai quali il Signore dedicherebbe un’eccessiva attenzione, il libro si divide in tre parti, tre momenti della medesima verità. Quando ne La frivolezza dei moribondi, la prima, il canuto protagonista perde i punti di riferimento e nemmeno ricorda il suo nome, lo vengono a soccorre le creature di carta, i personaggi dei suoi romanzi. Da subito, Pazzi si affida alla pagina bianca per stigmatizzare, e a poco a poco esorcizzare, la sua paura più grande: smarrire l’identità che si fonda sulla memoria una volta calata la notte perpetua. Dunque si trasforma nel Padreterno, preso dalla brama di umanizzarsi, per ritrovarsi nei panni di Ludwig di Baviera, mecenate di Wagner, arrestato per demenza e incarcerato nel castello di Berg. In una sorta di discesa dantesca senza balze, l’io narrante assume le sembianze di Lucifero, che a sua volta si tramuta in una sequela di volti del male, di figure tiranniche che hanno segnato la storia: i faraoni, Nerone, Attila, Hitler e Stalin. E con l’intermediazione di Bernardo, nocchiero della nave che lo porterà a Damietta dal Sultano, tenta poi di acquisire la santa follia di Francesco d’Assisi, in viaggio per costruire una pace coi musulmani. Afflitto da un’attualità carica di incognite e dolori, nella quale gli equilibri del potere occidentale si sono incrinati rendendo possibile l’approssimarsi, secondo le Sacre Scritture, del cosiddetto «abominio della desolazione», allo scrittore non resta che la preghiera, la stessa che Dostoevskij definiva «un’ascensione dell’intelletto».

L’arte del romanzo, riedito da Adelphi, trad. di Ena Marchi, pagg. 168, € 12,00
Libri di Jakub, trad. di Ludmila Ryba e Barbara Delfino, Bompiani, pagg. 1120, € 29,00

La doppia vista, La nave di Teseo, pagg. 208, € 19,00

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