lunedì 8 aprile 2024

REVIEW: VIRDIMURA DI SIMONA LO IACONO, GUANDA.

Se Virdmura fa rima con cura.

Simona Lo Iacono racconta la prima donna medico nella Catania del 1376: un inno alla perseveranza femminile, alla laicità, all’umanità di chi assiste i malati, alla terra siciliana.

Titolo Virdimura
Autore
Casa Editrice GUANDA
224 pagine, Euro 16,90€

 

Il libro

Nata in un giorno di pioggia e di presagi, Virdimura porta il nome del muschio che affiora tenace dalle mura di Catania e della sua nascita non sa quasi nulla. A crescerla è suo padre, il maestro Urìa, medico ed ebreo, « il più alto dei giudei, il più forte, il più santo ». Un uomo che conosce i segreti delle spezie e i progressi delle scienze, che parla molte lingue, che sa che da tutto bisogna imparare: dalla natura, dalla strada, dalla poesia. A Virdimura insegna a guarire sia i corpi sia le anime, senza distinguere tra musulmani, cristiani o ebrei. E soprattutto le trasmette il segreto più importante: « La medicina non esige bravura. Solo coraggio ». Queste parole Virdimura ripete, ormai anziana, alla Commissione di giudici riunita per decidere se concederle, prima donna della storia, la « licenza per curare ». E davanti a loro Virdimura ripercorre, in un racconto vividissimo, tutta la sua vita: la lotta di suo padre contro l’epidemia di tifo che infesta la città, la solitudine dopo la sua scomparsa, gli studi instancabili sui libri che le ha lasciato, le donne visitate in segreto e operate di notte, le accuse di stregoneria da cui deve difendersi, e soprattutto il legame con Pasquale, l’amico d’infanzia che torna al suo fianco dopo un lungo apprendistato in Oriente, anche lui medico, per restarle accanto sempre, alleato fedele contro tutti gli attacchi della sorte. Sullo sfondo di una Catania fiammeggiante di vita, commerci, religioni, dove i destini si incrociano all’ombra dell’Etna ribollente, Simona Lo Iacono ci regala il grandioso ritratto di una protagonista indimenticabile, fiera e coraggiosa, che combatte le superstizioni e le leggi degli uomini per affermare il diritto di tutti a essere curati e delle donne a essere libere

 

Sicilia, 1376. Accade l’impensabile: a una donna dal nome bizzarro, Virdimura, viene concesso di fare il medico. In pieno Medioevo si supera un divieto apparentemente invalicabile, si sancisce un diritto che aprirà a tutte le porte della medicina. Lo certifica la licentia curandi del 7 novembre di quell’anno conservata all’archivio di Stato di Palermo, poche rivoluzionarie righe nella storia delle donne.

Chi è Virdimura? Come ha imparato l’arte della cura? Come ha convinto la commissione che la esaminava ad andare oltre i pregiudizi e a valutare sulla base della preparazione e dei risultati? Simona Lo Iacono, siciliana, già autrice di storie femminili di riscatto (La tigre di Noto, 2021; La storia di Anna, 2022), racconta la vita della protagonista calandoci nella Catania di quegli anni, «un groviglio di mercanti, di compagnie di venturieri, di armigeri, di maestri giustizieri», dove gli ebrei – nel ghetto della Giudecca – coesistevano con musulmani, arabi e cristiani. Ebrea era anche Virdimura, la identificano nel nome il verde del muschio e la forza delle mura della città. I capelli sono rossi e ribelli come la sua indole, assecondata dal padre Urìa. Uomo illuminato, è medico e unico punto di riferimento per la figlia (che non ha conosciuto la madre, morta di parto). È lui a insegnarle ogni cosa, a trasmetterle il sapere teorico e quello operativo della medicina. A farle capire che la loro abilità e umanità sono rivolte a chiunque, senza distinzioni di religione, di etnia, di censo. Gli ultimi, i malati ai margini della società, le prostitute, i lebbrosi, chi non ha un soldo (all’epoca si poteva essere assistiti solo a pagamento) hanno anzi la priorità nella loro casa a ridosso del mare, che presto assume le sembianze di un ospedale. Urìa raccomanda alla figlia di mettersi in ascolto, di abbandonare i preconcetti, di aiutare il paziente a elaborare il dolore.

Virdimura apprende giorno dopo giorno i nomi delle patologie e i rimedi per combatterle, studia gli organi interni del corpo umano, acquisisce dimestichezza con gli strumenti, diventa capace di disinfettare, fasciare, suturare le ferite, maneggiare il forcipe. Assorbe il sapere stratificato del padre, riconoscendo le virtù di diverse piante, usando i loro benefici estratti. È attenta all’umiliazione e alla sofferenza delle donne violate, che hanno bisogno della chirurgia plastica per ricostruire l’imene, pena l’essere marchiate a vita e condannate all’espulsione dalla società. Gli episodi si moltiplicano dopo che, nel 1322, papa Giovanni XXII aveva lanciato l’interdetto sulla Sicilia del re Federico III, precludendo ai fedeli l’accesso ai sacramenti: sono tanti i casi di cattoliche vittime di abusi, promesse spose disonorate che si affidano a Virdimura per l’intervento chirurgico, trovando un’interlocutrice di cui potersi fidare e dalla quale sentirsi capite.

La violenza della superstizione radicata nella cultura del tempo esplode con l’epidemia di tifo di cui il maestro Urìa aveva riconosciuto i sintomi, cercando – inutilmente – di mettere in guardia la collettività. È più facile non credergli, peggio, attribuire la causa di quell’apocalisse a lui, giudìu, che si ostina curare i reietti e si dedica a chissà quali magie dell’occulto. Una diffidenza che in pochi giorni, mentre il contagio dilaga, si trasforma in furia: un manipolo di sopravvissuti si scaglia contro la casa-ospedale, distruggono tutto, rovesciano i letti, rompono gli strumenti, bruciano i libri con anni di annotazioni e ricerche, spaccano i vasi. Quando Virdimura esce dal nascondiglio in cui si era salvata, non trova più suo padre, portato via dagli assalitori. Sull’uscio di casa campeggiano «zampe di pollo legate con fili d’aglio. Un amuleto contro le streghe».

Trovare forza e motivazione per rialzarsi, ormai sola, sembra impossibile. Ma ricostruire, senza cedere allo sconforto, è come offrire assistenza ai derelitti: lo si deve fare sapendo solo che è la cosa giusta. Virdimura, con perseveranza, pian piano rimette in piedi la struttura. Cura soprattutto le donne, poi le istruisce, condivide con loro nozioni e pratiche mediche, insieme coltivano l’orto. «Eravamo un gruppo di esiliate e tradite, di sfollate e abusate. Non ci univa niente, non il sangue, né l’istruzione, o la religione. Le ebree convivevano con le cristiane e si parlava indifferentemente il dialetto o l’arabo. (…) Mettemmo su una casa povera, e perciò ricca, augusti doctori, in cui nessun medico era più importante del malato».

Una dimensione di sorellanza che la rafforza e quasi la prepara alla successiva calamità. Nel 1330, infatti, una tremenda carestia si abbatte sul territorio. I contadini allo stremo lasciano in lunghe file una campagna ormai irriconoscibile per riversarsi in città. Arriveranno in bande a cercare il cibo, mentre la dutturissa, memore dell’esperienza precedente, aveva trovato riparo in una grotta dove aveva custodito del cibo e trasferito i pazienti. Tenacia e senso del sacrificio accanto a competenza e crescita sviluppate ulteriormente con Pasquale de Medico, l’uomo che sposerà, con cui condivide l’arte della cura. I giudici chiamati a pronunciarsi quando lei è ormai ultrasettantenne, non potranno che constatare la sua perizia e ratificare l’evidenza.

Quelle di Virdimura sono pagine in cui si respira la “sicilianità” della terra, con un profluvio di sapori, erbe, spezie, agrumi, animali, una ricchezza della natura che è parte centrale del libro, al pari della “sicilianità” del linguaggio, resa anche con espressioni trecentesche oltre che dialettali. Ne viene fuori una musicalità ritmata, avvolgente, che dà forza e originalità alle descrizioni e caratterizza in modo potente la voce di Virdimura. Il libro si chiude con la pubblicazione della pergamena conservata all’Archivio di Stato, che contiene notizie scarne tra le quali la garanzia di curare gli indigenti senza incorrere in sanzioni.

Simona Lo Iacono è una magistrata, un mestiere vietato alle donne in Italia ben oltre il Medioevo...sino al 1963. Chissà che in questo racconto non ci sia una piccola traccia anche di quella discriminazione e del suo superamento.

TAG: paziente Virdimura Simona Lo Iacono Palermo Federico III d'Asburgo


 

 

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