lunedì 3 giugno 2019

RECENSIONE #54/19 LA CHIMERA by SEBASTIANO VASSALLI - BUR RIZZOLI

Copertina di: La chimera

LA CHIMERA
SEBASTIANO VASSALLI  
RIZZOLI
Marchio: Bur 
Collana: Best bur 
Data di uscita: 17/11/2016 
ISBN carta: 9788817090803

 

Il capolavoro di Vassalli, premio Strega 1990

Nel 1610 Zardino è un piccolo borgo immerso tra le nebbie e le risaie a sud del Monte Rosa. Un villaggio come tanti, sembra, ma che in realtà racchiude una storia incredibile. Quella di una donna, Antonia, una trovatella cresciuta nella Pia Casa di Novara, scelta da due contadini e portata in paese, dove cerca di vivere nella fede e con semplicità, come le hanno insegnato le monache. Ma la ragazza è strana, dice la gente. Con quegli occhi scuri, con quella pelle scura, come i capelli… bella, troppo bella, e forse troppo indipendente… Una volta è persino svenuta al cospetto del vescovo Bascapè: c’è qualcosa, in lei, qualcosa di diabolico. Vassalli riporta alla luce una vicenda clamorosa, la tragica vita di Antonia, “la strega di Zardino”, esplorando gli angoli più oscuri di un secolo senza Dio e senza Provvidenza, in un turbine di menzogne e fanatismi di un anfratto paradossale, e spaventosamente attuale, della nostra storia italiana.

 
 
Biografia
 

Sebastiano Vassalli è nato a Genova nel 1941 ma fin da piccolo ha vissuto nel Novarese. Ha scritto per “la Repubblica” e “La Stampa” e attualmente è opinionista del “Corriere della Sera”. Tra le sue numerose opere ricordiamo La notte della cometa (1984), La chimera (1990, Premio Strega e finalista Premio Campiello), Marco e Mattio (1992) e il più recente Terre selvagge (2014).




RECENSIONE

La protagonista del romanzo è Antonia Renata Giuditta Spagnolini: Antonia, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio del 1590, giorno di Sant'Antonio abate, venne deposta da mani ignote all'ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura di Novara.

Novara, all'epoca della nascita di Antonia, era forse la città più disgraziata tra quelle città che costituivano il regno di Filippo II di Spagna. Novara era una città fortezza, cinta da mura inespugnabili: un baluardo a prova d'àssedio e di cannoni, che sbarrasse l'accesso alla pianura del Po dalla parte del Ducato dei Savoia, e delle valli alpine. Degli ordini perentori e insensati erano giunti a Giovan Pietro Cicogna, uomo ambiziosissimo, il quale eseguì ciò che gli era stato ordinato, senza guardare in faccia a chicchessia.

Con il risultato disastroso Novara giacque, stremata, in un mare di macerie. Molti degli abitanti che vi risiedevano, erano andati a vivere in altre città, per i rimanenti non era possibile ricostruire le loro case. Così Novara, definitivamente si spopolò. Anche dal punto di vista militare il progetto non era buono.

Nonostante il Cicogna e le sue distruzioni, e nonostante le prescrizioni del Concilio di Trento, ancora alla fine del Cinquecento la città di Novara poteva a buon diritto vantarsi d'avere il clero più gaudente e spensierato d'Europa: i frati più intriganti, le monache più mondane, i canonici più grassi, gli abati più felici, i parroci più ricchi.

Non c'era da stupirsi, visto il modo come andavano le cose in città, che la ruota della misericordia, il famigerato torno, continuasse a girare, e che anzi girasse sempre più in fretta?

Antonia, il mostro crebbe, diventò una bambina dagli occhi e dai capelli nerissimi. Dalla casa del torno, passò all'ospizio vero e proprio: qui subì l'apparizione in pubblico degli esposti, i quali davano al mondo la dimostrazione d'un fatto meraviglioso e prodigioso: la bontà umana! Destinata a trionfare sull'egoismo, sulla malvagità e su tutte le altre inclinazioni perverse che sembravano invece essere - in quell'epoca - il vero segno dei tempi. Nella Pia Casa la morte degli esposti non era un dramma: al contrario. Anzi erano i più fortunati di andarsene via dal mondo prima di aver raggiunto l'età di peccare, dicevano le monache.

Intanto si verificò un evento destinato ad avere conseguenze profonde e durevoli. Quest'evento fu l'arrivo del nuovo vescovo Carlo Bascapè: sul cui conto correvano voci tali, da far rabbrividire e disturbare i sonni di motissima gente, in città e in tutta la diocesi di Novara. Era un'aquila rimasta intrappolata in una rete per tordi.

Poco dopo il suo arrivo molte cose cambiarono a partire dalla scomparsa di suor Anna; che dovunque andava si lasciava una scia di profumo. Arrivò una nuova superiora, suor Leonarda, ma le cose non migliorarono, tremende punizioni e punizioni pubbliche si abbatterono sui esposti. Arrivò una conversa di nome Clelia, appositamente per istruire le esposte su episodi significativi tratti dalle vita dei santi. Perfino i muri, a forza di ascoltarle, dovettero apprendere le storie.

Crescendo, Antonia s'era fatta proprio bella. Era quieta e taciturna di carattere. Curiosava un pò in giro durante le sue passeggiate. A volte, in quelle sue paeggiate, Antonia incontrava una suora, suor Livia, era di Napoli e non sempre Antonia capiva i suoi discorsi. A San Michele, suor Livia era la "conversa più anziana" addetta alle pulizie così come suor Clelia era la "conversa giovane", addetta all'istruzione delle esposte.
 
Quando fu annunciata una visita a San Michele del nuovo vescovo di Novara, monsignor Carlo Bascapè, scelsero Antonia tra tutte le esposte per recitare al vescovo la poesia di benvenuto. Per settimane e settimane, prima del gran giorno, la costrinsero a ripetere certi orribili versi che la superiora suor Leonarda aveva scritto in occasione di tale visita.


Gran personaggio, il vescovo Bascapè! Personaggio emblematico di un'epoca, ormai lontana nel tempo e in sè conclusa; ma anche di un modo di intendere la vita e il destino dell'uomo, che non cessa di riproporsi e che certamente durerà, ben oltre il nostro secolo ventesimo.

Bascapè aveva tutte le carte in regola per aspirare a cambiare il mondo. Filippo II di Spagna, che lo aveva ospitato nella sua reggia, lo conosceva e lo apprezzava. Bascapè tutto ciò che aveva: incarichi, relazioni pubbliche, grandi missioni e grandi  prospettive anzichè partire da Roma lui lo avrebbe  fatto partendo da Novara e si buttò, come s'è detto, a corpo morto in quell'impresa che non saprei nemmeno definire: disperata?, Folle? Di trasformare una diocesi di frontiera nel centro della rinascita spirituale di tutto il mondo cristiano.

La nuova Roma! La città di Dio! Carlo Bascapè voleva costringere i suoi contemporanei ad essere Santi. Gl atti, poi che ne seguirono, furono coerenti ed adeguati all'enormità dell'impresa. In meno di cinque anni, Bascapè aveva scomunicato un podestà e buona parte del clero, E i suoi fedeli avevano cercato di ripagarlo con la stessa moneta, ma senza successo: come si fa ad assassinare un defunto? Ci avevano provato con il veleno, e poi con un colpo d'archibugio, e poi ancora in altri mille modi ma, il corpo del defunto era uscito indenne da tutte quelle prove.

La città, un tempo gaudente, sembrava essersi ricomposta nella sua gelida moralità esteriore, in cui nessuno più si fidava di nessuno e in cui ognuno continuava, bene o male, a fare ciò che aveva sempre fatto in passato.

Nella Pia Casa si registrarono un paio di eventi inspiegabili, come la scomparsa di suor Livia, la "conversa anziana", e la faccenda lì per lì sembro inspiegabile: era scappata? Con chi? E come aveva fatto? Domande a cui non seguì nessuna spiegazione. La trovarono all'alba del giorno successivo, impiccata con la corda della campana. Passato il raccapriccio per quella scoperta, fu il modo di evitare lo scandalo, una religiosa suicida, e per giunta in chiesa. Nessuno doveva sapere. Per chiunque domandasse la spiegazione: era scappata delusa dalla vita del convento, aveva prestato orecchio alle lusinghe del mondo e s'era sbarazzata di quell'abito, che portava indegnamente.

Antonia a volte, nelle sue passeggiate solitarie, si chiedeva: aveva un senso la vita degli uomini , al di là di quelle storie che alla Pia Casa si ripetevano tutti i giorni, e in cui lei credeva come si crede nelle favole? In quell'estate del 1599 Antonia ancora non aveva dieci anni e seppe tutto del sesso. Fu quell'anno che conobbe Rosalina, un'esposta adulta con cui le esposte più piccole, non dovevano avere contatti, e fu lì che Rosalina le sciolse tutti i suoi dubbi.

Rosalina era una ragazza alta e ben fatta, con gli occhi azzurri e i capelli del colore della stoppa; aveva diciassette anni ed aveva già vissuto esperienze di vita. Rosalina era stata ricondotta alla Pia Casa: che era l'ultimo posto al mondo dove sarebbe ritornata di sua iniziativa. Lei, Rosalina, aveva finto d'adattarsi, per trovare l'occasione di scappare nuovamente.

Di tanto in tanto, alla Pia Casa, capitava gente che nessuno conosceva e che la superiora suor Leonarda accompagnava personalmente a vedere gli esposti. Fu così che Antonia Spagnolini, trovò una famiglia di Zardino.

Nel 1593 il Langhi riferì le ragioni dei novaresi ed il loro malcontento sul carico d'imposte superiore alle loro possibilità. Del resto, era una precisa tecnica di governo  al tempo della dominazione spagnola in italia, questa di costringere i sudditi a convivere con leggi inapplicabili e di fatto inapplicate, restando sempre un poco fuori della legge: per poterli poi cogliere in fallo ogni volta che si voleva riscuotere da loro un contributo straordinario, o intimidatorio, o trovare una giustificazione per nuove e più gravi irregolarità.

Anche agli adulti, assai spesso, capita di vivere i grandi mutamenti dell'esistenza-magari lungamente attesi, o presagiti, o temuti - in una sorta di assenza, e di stupore, che non lascia spazio alla concatenazione logica dei pensieri; in un vuoto di volontà: quasi in un sogno. 


L'Europa, quando poi ha scritto la sua storia e quella di tutte le altre parti del mondo, ha pianto ipocrite lacrime sui neri che lavoravano nei campi di cotone in America e su ogni genere di schiavi, moderni o antichi: ma non ha speso una parola, una sola, sui risaroli.  

A Zardino, la vita era monotona. Soprattutto d'inverno. Era lì che nascevano "le voci": quelle stesse voci di pettegolezzi, intrighi, calunnie e assurdità varie. Formavano un tessuto inestricabile di menzogne e di mezze verità, un delirio verbale di tutti contro tutti che finiva sempre per sovrapporsi alla realtà, condizionandola, nascondendola, determinandone sviluppi imprevedibili; fino a diventare, esso stesso, realtà.


I due sentimenti di odio e amore accumulano energia da alimentare i più atroci massacri della storia. L'amore umano, tanto cantato dai poeti, a confronto dell'odio è quasi un fatto inesistente: un granello d'oro nel grande fiume della vita, una perla nel mare del nulla e niente più.   

Arrivò il caldo e i risaroli lavoravano dall'alba alla notte. Cantavano non per gioia ma per alleviare la fatica; per distrarsi ascoltando il suono della propria voce; per sentirsi vivi.  

La vita per i risaroli non era facile e ad aggravare le cose ci pensavano quei preti ... Antonia si sentì di odiarli. Che diritto avevano, quei preti, di rimescolare a quel modo del mondo?

Nell'inverno del 1602 Giovan Battista Caccia cercò di rimediare per quanto gli era posssibile. Erede di una immensa fortuna, beato tra le donne, aveva come maestro e istruttore un prete Alciato, costui divenuto monsignore, sarà tra i giudici del processo d'eresia a carico di Antonia, intimamente convinto che nel mondo esistono due categorie di persone, quelle che possono tutto e quelle che non possono niente. 


Antonia un giorno venne accusata di stregoneria. Nell'unanime riconoscimento come in presenza di una colpa: che diritto aveva una ragazza del popolo, e per giunta esposta di essere così bella?

Non era forse implicito, in tale bellezza eccessiva e fuori luogo, un elemento scandaloso e diabolico.

L'inquisitore dapprincipio si era mostrato paziente, aveva lasciato che si sfogasse, che parlasse, poi però aveva cominciato ad incalzare con domande sempre più precise. Invitata dall'inquisitore a precisare le sue accuse: Agostina Borghesini accusò Antonia di aver fatto entrare il Diavolo nel corpo del nipote con sguardi, gesti ed incantesimi di parole, e d'essere una strega.

L'inquisitore Manini sapeva bene che per arrivare alla condanna di Antonia dovevano essere portati altri argomenti di eresia, di magia, di partecipazione, ed è a quel punto che la sua arringa si rivolse alla natura diabolica della bellezza della strega ed agli effetti catastrofici.

La tanto attesa visita del vescovo Bascapè, a Zardino si fece un giorno di primavera d'un anno imprecisato. Intanto quei pittori rappresentarono nelle loro tele la stessa angoscia di vivere, e di vivere in quell'epoca, che Bascapè rappresentò in tutti i suoi atti, perfino nel suo corpo: e i loro quadri ci raccontano cupe storie di Santi animati da un'implacabile follia di devozioni, di processi, di predicazione.

Era una giornata di gran sole e d'atmosfera limpida. La natura tutta era un'esplosione di profumi, di pollini, di ronzii, di canti. Carlo Bascapè aveva già visitato alcuni villaggi e al passaggio del corteo i contadini deponevano offerte varie.

Nell'autunno di quello stesso anno in cui a Zardino c'era stato il vescovo, accadde un fatto straordinario, che un drappello di lanzi comparisse in paese una mattina. Le più sorprese  di tutti i cambiamenti, erano proprio le ragazze. Chi erano quegli uomini vestiti tutti allo stesso modo, con le brache di panno bianco e rosso e i farsetti in cuoio?

L'entusiasmo dei lanzi era alle stelle. La cosa non piacque a Don Teresio, il quale con una solenna processione aveva riconsacrato a Dio il paese. Stese il braccio e pronunciò l'anatema:<<Chi ha ballato con l'Anticristo sulla pubblica piazza non potrà più mettere piede in una chiesa, nè accostarsi ai sacramenti, nè venire sepolto in terra consacrata finchè il vescovo di Novara, o il Papa in persona, non gli avranno dato quell'assoluzione.


L'inverno tra il 1609 e il 1610, l'ultimo inverno della vita di Antonia, fu molto rigido. Per le donne, l'inverno era la stagione delle veglie, cioè delle lunghe sere trascorse nelle stalle a filare e a tessere e ad ascoltare i racconti attorno alla lanterna, la stagione delle "voci" e dei pettegolezzi.

Nelle stalle di Zardino, quell'inverno, si parlò anche dell'Antonia dei Nidasio. Quella è una strega, ripetevano le comari, e le urlavano che lei non sapeva stare al mondo. Quelle stesse comari di Zardino che ne cantarono le lodi, ne avrebbero parlato in tutt'altro modo, se si fosse parlato delle loro figlie, anzichè di Antonia.

Per difendersi dalla strega, e per liberarsi di lei, gli abitanti di Zardino si rivolsero al prete. Provvedesse lui, che ne aveva il dovere e la competenza specifica, a ridurre la strega in condizioni di non nuocere, con esorcismi o con altri mezzi ritenuti idonei; o denunciandola a Novara al Sant'Uffizio: perchè dicevano la faccenda era seria.

Purtroppo per Antonia, però, nessun inquisitore del Sant'Uffizio, in nessuna città, avrebbe accettato di considerare come risolutiva, in un processo d'eresia, una verità così volgare e grossolana da coincidere con l'evidenza stessa delle cose; e Novara meno che altrove.

In quel primo interrogatorio Antonia rimase saggia e si comportò secondo le raccomandazioni che le erano state fatte. La vita nel villaggio continuò alternando le stagioni. La città brulicava di gente. Arrivarono da ogni parte della bassa e anche dalle città: da Novara, da Vercelli, da Gattinara, con le famiglie per stare in allegria, e festeggiare la fine dell'estate.

Non erano gente sanguinaria, nè malvagia. Al contrario, erano tutti brava gente: la stessa brava gente laboriosa che nel nostro secolo ventesimo affolla gli stadi, guarda la televisione, va a votare quando ci sono le elezioni, e, se c'è da fare giustizia sommaria di qualcuno, la fa senza bruciarlo, ma la fa; perchè quel rito è antico come il mondo e durerà finchè ci sarà il mondo. (Finchè continueranno ad esserci degli uomini ci saranno i Gesucristi e le Gesucriste, come disse Antonia.)


Il boia non fu clemente con Antonia. Proprio in quel momento la processione stava arrivando a piedi, la risposta di Don Terenzio sembrava un vento di tempesta. Ci fu un gran fumo e poi tutte le voci tacquero mentre il fumo incominciava a diradarsi, tutti gli occhi si fissarono oltre il fumo, dove c'era la strega.

Continuarono tutti a vivere nella gran confusione e nel frastuono di quel loro presente. Infine, uno dopo l'altro, morirono: il tempo si chiuse su di loro, ed in gran sintesi questa, è la storia del mondo.

Come scrisse un poeta, di questo secolo ventesimo:
"Questi, che qui approdò,/ fu perchè non era esistente./Senza esistere ci bastò./ Per non essere venuto venne/ e ci creò:"










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