Verso nuovi modelli maschili, opportunità di formazione e crescita per i più giovani
Razionale, ricco, sapiente, virile, attivo, vincente, galantuomo, forte, intraprendente: è davvero questo il “vero uomo”? E se i ragazzi volessero sentirsi liberi di essere anche dipendenti, ipersensibili, pigri, poveri, deboli ed effeminati, senza timore di essere additati o esclusi?
Il progetto CarMia “Caring masculinities in action”, coordinato dall’Istituto degli Innocenti – una delle più antiche istituzioni pubbliche italiane dedicate all’accoglienza dei bambini, alla loro educazione e tutela – fornisce l’occasione per ripensare il concetto di maschilità, un tema sempre più attuale e sentito. L’iniziativa finanziata con fondi europei, in particolare dal bando Daphne (dedicato al tema della violenza di genere) del programma Cerv – Cittadini, uguaglianza, diritti e valori- ha per obiettivo la prevenzione della violenza di genere tra i giovani e la promozione di concetti non violenti, come quello di maschilità accudente.
La maschilità egemonica che fa male anche agli uomini
“L’idea da cui siamo partiti è che esistono modelli plurali di maschilità, non solo quello tradizionale fondato su concetti di forza, dominio, successo, eterosessualità obbligatoria, repressione delle emozioni. Quello che in letteratura viene chiamato maschilità egemonica.” ci racconta Maria Grazia Giuffrida, presidente dell’Istituto degli Innocenti. “Gli adolescenti sono chiamati a confrontarsi con questo modello e coloro che non si riconoscono in tali caratteristiche, spesso si sentono inadeguati e frustrati oltre a correre il rischio non infrequente di venire bullizzati ed esclusi dal gruppo dei pari.” Al contrario, il progetto ha inteso mostrare che ci possono essere molti modi diversi di essere uomo e ragazzo e che non dovrebbe essere necessario utilizzare la forza, “l’imporsi” e la violenza per essere riconosciuti come veri uomini.
La socializzazione maschile ha poco a che fare con la biologia e molto con i condizionamenti di tipo sociale e culturale. Come ha affermato durante il seminario di apertura del progetto Edward Kehler, professore canadese dell’Università di Calgary, esperto di masculinities studies e autore di diversi studi sul tema, “ci sono regole non scritte ma che noi maschi conosciamo bene e a cui tendiamo ad aderire o conformarci fin dalla tenera età, pena il venire escluso dal cosiddetto club dei maschi. Regole che fanno male: alle vittime di violenza sicuramente, ma anche agli uomini. Come quella che c’impone di non mostrare emozioni, vulnerabilità e dolore, soffrire in silenzio per essere adeguati rispetto all’immaginario che ci vuole aggressivi, duri e forti”.
Nel progetto CarMia si è lavorato molto anche sul concetto dei costi della maschilità egemonica, costo salato anche per gli uomini. Vengono citati studi della Canadian Mental Health Association, che evidenziano come gli uomini hanno una probabilità tripla di morire di suicidio rispetto alle donne.
Scegliere un’altra dimensione di maschilità
Un modello diverso di maschilità proposto dal progetto è quello di maschilità accudente,
che si fonda sul rifiuto del dominio, il riconoscimento
dell’eguaglianza di genere e sull’idea che la cura, piuttosto che essere
un dovere naturalizzato per le donne, è un’attività che dovrebbe essere
svolta da tutti e tutte indipendentemente dal proprio genere, in quanto
è fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza umana. Cura intesa
nel senso più ampio, cura di sé, degli altri, dell’ambiente esterno,
della natura e può essere appresa sin dalla prima infanzia, come è stato
dimostrato in un altro progetto europeo a cui ha partecipato l’Istituto
degli Innocenti chiamato EcaRoM-Early – Care and the Role of Men.
Promuovere una dimensione plurale di maschilità, significa offrire
un’alternativa per andare oltre rigidi modelli che ingabbiano i ragazzi,
inducendoli a seguire copioni stereotipati che a volte sfociano nella
violenza di genere, ma anche nella violenza verso sé stessi e i propri
compagni.
Man box: uno strumento per uscire dalla gabbia degli stereotipi
Sono stati diversi gli strumenti proposti nel progetto, ricorrendo anche a metodologie partecipative che prevedono l’uso di giochi e dinamiche interattive. Un esempio è rappresentato dalla man box che consiste nel far riflettere ragazzi e ragazze sui modelli tradizionali di maschilità chiedendo loro da un lato quali sono le parole che identificano ciò che un vero uomo deve essere, secondo una concezione tradizionale, e dall’altro quali sono i corrispettivi costi, cioè le parole che identificano ciò che un vero uomo non può essere o non può fare. L’esercizio si è rivelato molto efficace e immediato. Tra le parole usate dai ragazzi per descrivere un vero uomo troviamo: razionale, ricco, sapiente, virile, attivo, vincente, galantuomo, forte, intraprendente mentre tra le caratteristiche che un uomo non può avere troviamo l’essere dipendente, povero, ipersensibile, pigro, debole, effeminato.
Il teatro dell’oppresso: scegliere un finale diverso dalla violenza
Un’altra metodologia rivelatasi vincente è stata mutuata dall’ambiente teatrale: il teatro dell’oppresso è un metodo ideato dal regista brasiliano Augusto Boal e ispirato alla pedagogia di Paulo Freire, quale strumento per attivare processi di cambiamento personale e sociale. Grazie all’esperienza ventennale di Olivier Malcor autore di “Scripting Violence, Rehearsing change” , sono state messe in scena delle situazioni di violenza (es. catcalling, violenza di coppia tra adolescenti, cyberbullismo ecc) chiedendo sia a ragazzi che adulti di immaginare finali diversi da quelli con cui abitualmente si concludono queste situazioni.
Ciò ha permesso di attivare non solo la dimensione razionale, ma anche
quella emotiva consentendo un coinvolgimento molto più profondo. Sia i
ragazzi che gli adulti si sono interrogati su quanto una serie di
stereotipi di genere possono avere condizionato le proprie esistenze.
Inoltre, il mettere in scena situazioni di violenza, le rende molto più
visibili ed esplicite mentre spesso la violenza è sempre più spesso
normalizzata.
Peer education: i giovani per i giovani
A seguito del percorso di formazione e crescita intrapreso durante il
progetto, un gruppo di studenti, ha deciso di diventare a sua volta
peer educator, formando ragazzi e ragazze della propria scuola di
qualche anno più giovani. Questo approccio è senz’altro molto
promettente nella lotta alla violenza di genere nelle scuole, essendo
questo il luogo dove spesso avvengono episodi di bullismo e di violenza
sui compagni percepiti come più deboli, sulle ragazze e su gruppi
vulnerabili come i gruppi LGBTQ+. Per questo i coetanei della scuola
possono svolgere un ruolo vitale e positivo nel mettere in discussione
il concetto di maschilità egemonica e nello scoraggiare il
coinvolgimento dei giovani nella violenza.
I venti peer educators coinvolti nel progetto, hanno raccontato della
loro esperienza con grande emozione e orgoglio, come un’esperienza molto
formativa che li ha resi più consapevoli e liberi.
Il cambiamento culturale: il più difficile dei risultati da misurare
Il progetto europeo si è svolto in 6 paesi: Italia, Austria, Germania, Bulgaria, Slovenia e Spagna, ed è stato particolarmente apprezzato per la sua ottica innovativa fondata sul focus sulla maschilità e la peer education. In Italia è stato realizzato un corso di formazione che ha coinvolto circa 40 insegnanti di diverse scuole sul territorio toscano e un altro corso rivolto a circa 20 adolescenti che sono stati formati come peer educators su queste tematiche e che a loro volta hanno svolto attività laboratoriali nelle scuole raggiungendo circa 200 studenti. Inoltre le campagne di sensibilizzazione hanno raggiunto un totale di 257mila visualizzazioni nei sei paesi partner della campagna di cui 53mila in Italia.
Ma al di là di questi numeri, risulta difficile misurare quello che è l’obiettivo più importante di questo progetto: il cambiamento culturale.
Parlando con i referenti dell’Istituto degli Innocenti è emerso
chiaramente che gli insegnanti e gli adolescenti coinvolti, siano stati
entusiasti di poter partecipare all’iniziativa per l’approccio e punto
di vista offerti sul tema. Tematiche, quelle delle diverse tipologie di mascolinità, raramente trattate in altri contesti e su cui si avverte un grande bisogno di confronto e riflessione.
L’auspicio mostrato dagli insegnanti è che questo tipo di corsi diventi
obbligatorio per tutto il personale docente, altrimenti si corre il
rischio che i partecipanti siano coloro che sono già sensibilizzati o
interessati agli argomenti trattati. Questo è senz’altro auspicabile, in
ogni caso il cambiamento culturale passa anche e soprattutto attraverso
il cambiamento personale e il passaparola sia tra adulti che tra
ragazzi e ragazze che questo progetto ha promosso.
Adottare il modello CarMia: come?
Il progetto CarMia, come tutti quelli finanziati con fondi europei, ha avuto una durata limitata, 2 anni terminati da appena un mese, ma grazie al prezioso lavoro di condivisione operato dall’Istituto degli Innocenti, è possibile accedere ad una grande base di materiali disponibili, per chi voglia utilizzarli in attività educative e di prevenzione della violenza di genere con un focus sulla maschilità.
Segnaliamo in particolare il “Toolkit per professionisti, formatori e formatrici di peer education” che come dice il nome propone lo strumento della peer education come mezzo per raggiungere ragazzi e ragazze in maniera più efficace.
Un ulteriore manuale, che può fornire spunti interessanti, è stato prodotto nell’ambito di un altro progetto europeo, “Engaged in equality”, anch’esso con l’obiettivo di prevenire la violenza di genere attraverso una riflessione sugli stereotipi e sui diversi modelli di maschilità.
Esso è rivolto a insegnanti, educatori e educatrici e propone un
percorso di approfondimenti con molte risorse pratiche articolato in
quattro moduli: genere e maschilità nell’adolescenza, violenza di
genere, dalla maschilità tossica alle maschilità accudenti, prevenzione
della violenza di genere in ambienti scolastici, approcci peer-to-peer.
Entrambi i progetti hanno realizzato anche campagne di
sensibilizzazione attraverso video prodotti dagli stessi ragazzi e
ragazze coinvolti che si possono vedere sui siti dei progetti e sui
canali social dell’Istituto degli Innocenti.
In virtù della decennale esperienza in materia di educazione rivolta ai
più giovani, l’Istituto è inoltre disponibile per sviluppare
progettualità simili con amministrazioni ed enti pubblici, al fine
ultimo di promuovere quanto più possibile una società libera da
stereotipi e improntata alla diffusione di principi sani di
comportamento. A tale scopo è previsto a breve l’uscita, nella collana
dell’Istituto degli Innocenti, di una pubblicazione che
raccoglie l’esperienza dell’ente su queste tematiche, anche attraverso
una serie di contributi di esperti che hanno partecipato agli eventi
formativi: “Progettualità innovative nella prevenzione della violenza di genere. Adolescenza, maschilità, educazione”.
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