lunedì 8 gennaio 2024

COSA TI ASPETTI DA QUESTO 2024? NUOVI SGUARDI SUL NOSTRO PRESENTE.

Per capire quello che successe centocinquant'anni fa, potreste pensare come ad una partita di calcio, in cui si confrontano Antichi e Moderni. C'è solo una parola per descrivere l'atmosfera di questi mesi: choc. Un termine che allude all'impatto con l'inaudito, allo stato d'eccezione, alla violazione di consuetudini e di aspettative. Gli Antichi: si rifanno all'antichità greco-romana, per riaffermare la centralità di valori come bellezza, armonia, moralità, sapienza. E i Moderni: si impegnano per superare paradigmi desueti, nella convinzione che il presente abbia un proprio linguaggio, un proprio gusto, propri principi. I primi guardano ai classici come a modelli insuperabili; gli altri pretendono di essere padri di sè stessi, dedicandosi al culto del nuovo e al piacere del futuro. 

Lo scenario è Parigi, enorme organismo in movimento, crocevia per assimilare e per distribuire energie e idee, capitale della Beautè moderne Bellezza moderna, che affascina artisti, poeti e intellettuali di tutta Europa. Per respirare questo benefico vento di follia, occorre recarsi ai Salon, antenati delle Biennali e delle fiere contemporanee.

Il 15 aprile 1874 accade qualcosa di imprevisto.

Da una parte gli Antichi. Che espongono al Salon ufficiale, impenetrabile castello dove si tramandano le tradizioni. Si tratta di pittori e di scultori minori, oggi dimenticati, sostenuti da critici portati a comportarsi come corifei del mondo di ieri. Tra questi pesi piuma della storia dell'arte; Paul Dubois, Pierre Lehoux, Henri Gervex. Che, con Satyre jouant avec une bacchante, ci consegna un esercizio di riscrittura, in chiave simbolica, di un episodio legato alla sfera del mito, fondato sulla concezione dell'arte come attività spirituale e antinaturalistica, tesa a rievocare il fantasma della classicità, posto in stridente contrasto con le turbolenze della cronaca.

Dall'altra parte, i Moderni. Sono barbari, per molti osservatori borghesi. Una banda di giovani eretici che, negli stessi giorni in cui si inaugura il Salon ufficiale, si ritrova nello studio del fotografo Nadar, In Boulevard des Capucines. Cronista di quell'evento, E'mile Zola che, nel romanzo L'opera, scriverà:<<Si inaugurava il Salon des Refusès, una novità di quell'anno. La folla, già densa, aumentava di minuto in minuto poichè tutti disertavano il Salon ufficiale, correvano spinti dalla curiosità, stuzzicati dal desiderio di giudicare i giudici, divertiti, soprattutto, fin dalla soglia, dalla certezza di vedere cose estremamente buffe.

La polemica con la giuria conservatrice che seleziona le opere è aspra, nel 1863 su iniziativa di Napoleone III nasce il Salon des Refusès che raccoglie gli esclusi dal Salone ufficiale. Una battuta che, subito, si fa sigillo. E annuncia la nascita del gruppo impressionista, animato da artisti che inventano la rima ipotesi di avanguardia, sulle cuiorme muoveranno, nel Novecento, cubisti e futuristi, dadaisti e surrealisti, costruttivisti e neoplasticisti, espressionisti e neoespressionisti. Una specie di arco di trionfale da cui l'arte europea è passata per entrare nel XX secolo, ha scritto John Berger.

Nonostante le differenze, le distanze che condividono, quegli incongregabili, come li avrebbe definiti Savinio) si richiamano a valori affini: il rifiuto dell'accademismo trionfante ai Salon; l'idea dell'arte come dispositivo privilegiato di conoscenza del mondo; la contestazione delle consuetudini proprie degli atelier; la vocazione realista; il lavoro dal vivo; la predilezione per la pittura di paesaggio. Questi elementi vengono declinati in modi diversi. Artisti dediti a un'ostinata meditazione sull'essenza del fare arte. Ma,  per incontrare la più intransigente voce del movimento, occorre riferirsi proprio all'autore di Impression, Soleil Levant, unico per la sensibilità della retina, supremo analizzatore della luce, maestro dello spettro. Monet qui si fa aedo di uno scandalo, senza mai tradire una precisa convinzione estetica:Il soggetto ha per me un'importanza secondaria: io voglio rappresentare ciò che vive tra l'oggetto e me. 

Grazie a ciò, l'arte non è più stata quello che fu per quattro secoli. Declinano liturgie e ritualità. Una liberazione. Concepire l'arte non come esperienza raggiunta, ma come esperienza inesatta e fragile. Sottrarsi a ogni nostalgia e a ogni abbandono concettuale. Farsi profeti di una modernità liquida, instabile, insicura. Evitare fughe verso la trascendenza, per sottomettersi alle leggi dell'immanenza. dare al mondo non scritto la possibilità di esprimersi per dirla con Italo Calvino. Porsi di fronte al tema scelto. Curvarsi sulle apparenze della quotidianità. Donare spazio all'assenza dionisiaca di un tempo policromo e plurale. Porsi in ascolto di una concatenazione discontinua di attimi irripetibili, dall'aspetto brutale. Aderire al presente, colto nella sua immediatezza, senza passato nè futuro. Eliminare ogni filtro tra artista e oggetto. Prediligere e celebrare il potere dell'innocenza. E sollecitare, nello spettatore, sensazioni, ricordi, corrispondenze.

Nessun commento:

Posta un commento