Le parole sono diventate il campo di battaglia della politica, il <<noi>> contro <<voi>>, e la categoria del politicamente corretto, appare inadeguata ad affronatre la questione. Meglio allora, pensare a un uso civilmente responsabile o umanamente rispettoso dell'italiano?
Che la situazione stia diventando grave lo dice il fatto ch per ben due volte a distanza di sette anni il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ritenuo necessario denunciarla nel discorso di fine anno. Nel 2016 aveva detto:<<L'odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola>>. Pochi giorni fa, dopo aver esordito parlando dell'angoscia per la violenza <<tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana>>, ha ribadito:<<Non stupisce, allora, che continuino a uscire libri in cui - affrotando la questione da diversi punti di vista - si provano a indicare possibili soluzioni.
Il punto non è stabilire le regole meccaniche di una sorta di nuovo purismo puritano, ma prendere atto che certe parole feriscono, <<Tullio De Mauro censiva nel 2016 un lungo elenco di queste <<parole per ferire>>. La lingua cambia continuamente nel tempo, in stretto rapporto con i mutamenti della società: in base a una nuova sensibilità largamente diffusa e condivisa parole come ad esempio: negro, zingaro, mongoloide, invertito, sono ormai diventate inequivocabilmente denigratorie e socialmente inaccettabili. Allora possiamo chiederci perchè, per definire una normale trasformazione avvenuta nel comune senso della lingua, si debba ricorrere a una categoria opaca - d'origine storicamente e geograficamente remota - come quella di <<politicamente corretto>>.
Nell'etichetta politicamente corretto - però - a non funzionare non è solo l'avverbio, ma anche l'aggettivo. La correttezza rinvia infatti, a un'idea normativa di lingua, in cui ogni alternativa a certi usi viene considerata come errore. E invece, quello cui si basa il rispetto reciproco non può essere che un equilibrio dinamico, costantemente aperto al dialogo. Meglio parlare, allora, di linguaggio civilmente responsabile o umanamente rispettoso.
La questione non è proibire le parole, ma farne capire la portata, gli effetti: insegnare: fin dagli anni della scuola - il loro uso adeguato, perchè il loro uso può ferisce la persona l'integrità personale e sociale, dell'indiviudo alla quale viene indirizzata.
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