giovedì 17 ottobre 2019

RECENSIONE #110/19 NON E' VERO CHE SIAMO STATI FELICI by IRENE SALVATORI - BOLLATI BORINGHIERI



Non è vero che non siamo stati felici

Irene Salvatori

BOLLATI BORINGHIERI

N° di pagine 266 - 16,50€
 
 
 
SINOSSI
 
 
Si smette di essere figli quando si intraprende la carriera del genitore. Eppure mai come in quel momento si ha bisogno della mamma: per sapere come si fa a diventarlo a propria volta, o forse più semplicemente per non sentirsi troppo soli. E se la mamma non c’è più perché la morte ha tolto la sua carta dal mazzo, sfilarsi dall’infanzia per crescere tre bambini diventa un’avventura.
Ambientato tra la Versilia degli anni Ottanta e Novanta, Cracovia e Berlino, Non è vero che non siamo stati felici racconta, con rara incandescenza emotiva ma anche con divertita poesia, uno scombinato apprendistato. Quello che la protagonista mette in scena è una sorta di piccolo circo che si sposta per l’Europa: ha due cani (due bracchi ungheresi) e tre bambini, chiamati Gauguin, Scoiattola e Caravaggio. Non c’è cartellone, ogni sera s’improvvisa. A lei − che si rivolge per scritto alla madre, non potendole parlare − tocca il compito di scegliere il luogo e montare il tendone. Soprattutto, le tocca il numero di magia più spericolato: convincere i bimbi che il mondo sia un bel posto, a dispetto della nostalgia che le tormenta il cuore.
Heimat, dicono i tedeschi, è il posto da cui si proviene e a cui si apparterrà per sempre.
È quello il luogo che, viaggiando di stato in stato e di lingua in lingua, la piccola comunità di questo romanzo ha messo come nord alla sua bussola. Per poi rendersi conto, banalmente, che non è la geografia a dare la risposta. Heimat è la mamma: non c’è altra provenienza originaria, e dunque non c’è altra possibile destinazione.
Non è vero che non siamo stati felici è una lunga lettera − disperata, folle, sorprendente, magica − a una madre mai morta. Perché, si potrebbe dire, una mamma non muore mai: non è certo il destino, con i suoi scherzi puerili, a farci diventare orfani.
 
L'AUTORE
 

Irene Salvatori

Irene Salvatori è nata a Forte dei Marmi (LU) nel 1978, ha studiato a Cracovia e vissuto a Berlino, si è laureata a Pisa in Storia Contemporanea, ma traduce letteratura dal polacco e dal tedesco, oltre a scrivere poesie. Adesso si è trasferita in un paesino sulla Loira, con i tre figlioli e i due cani ungheresi, dove rimarrà finché non avranno davvero tutti imparato il francese.

 RECENSIONE
 
La protagonista del romanzo di "Non è vero che siamo stati felici" di Irene Salvatori, ha quarant'anni. Ha conosciuto una temporanea paralisi a 14 anni, segnata dalla morte della madre a causa di un tumore polmonare. Lei (la protagonista) è una donna che cerca un colloquio con la mamma anni dopo la sua scomparsa, elaborando la sofferenza psichica superata grazie all'intervento di un  <<Capitan Nemo>>.

Dieci anni di cure psichiche dalle quali Nemo l'ha infine liberata, creando una situazione di approdo che porta la protagonista a stilare un bilancio della propria vita, in una forma inconsueta, tirando fuori quelle <<pagine bianche>>sulle quali ha pensato di scriverci sopra. Ne viene un singolare racconto epistolare, con riferimenti autobiografici, ciascuno dei quali mette a fuoco un singolare particolare; come il suo lavoro di traduttrice del polacco, le letture, la sua maternità e il rapporto educativo coi figli, infine, il suo sfortunato curriculum amoris, vissuto nella solitudine, vissuto tra gli spostamenti da Massa Carrara a Cracovia, a Berlino.

La figura della madre è continuamente richiamata nelle pagine del libro come se ella fosse viva: <<spero di averti messo in pari sulla mia vita, spero di averti fatto compagnia>>, con l'esplicito invito a tornare per conoscere la sua famiglia.

La famiglia di cui racconta e soprattutto al femminile, i soli maschi sono: il fratello andrea, che con gli anni si è allontanato e la figura del marito <<lo scarafaggio>>, quella specie di parassita, l'omino di provincia stordito dall'ego che somigliava a Mussolini, quel marito da cui ha faticato a liberarsi, e dal quale ha avuto tre figli: le bimbe Gauguin e Scoiattola e dopo qualche anno si è aggiunto Caravaggio, fanno parte del gruppo di famiglia, i due cani Gàbor e Anna, Mimì e  Midori: la parte razionale, equilibrata, la prima Midori: la parte emotiva e che <<anche se sono sola spesso sento il loro casino, di solito litigano>>.

Un racconto che parte solo dopo: <<quarant'anni di sbagli e dieci di incontri con uno psichiatra>>, un punto fermo come una propria Heimat, quella <<tana che protegge, si può chiudere la porta dall'interno>>. E da un <<quasi>> punto fermo: <<Trovare quella chiave che la renderà tutto <<più chiaro>> e che <<è il rapporto con la mamma, quella è la forza, anche se non è proprio facilissimo da riconoscere>>, e che costituisce un autentico refrain del libro, a ricordare il punto d'approdo più autentico, dopo aver <<più volte sbagliato strada>>.
 
 

 

 

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