L'INFINITO FA PAURA E DIVENTA SINDROME
Caterina Giuseppa Buttitta
Sindrome da panico nella Città dei Lumi
VOLAND
traduzione di Mauro Barindi
Per il signor Cambreleng la letteratura, dunque, è ormai spacciata: nulla può più portarla in vita, ma, nonostante ciò, continua a radunare intorno a sé gli scrittori più disparati ai quali insegna che ogni libro letto è un libro strappato all’oblio.
Tutto questo avviene in una Parigi priva di personalità in cui si realizzano avvenimenti inaspettati, invisibili ad occhi non attenti: un poema conquista il pianeta, un gatto tiene un diario, una gobba condivide le sue esperienze di vita quotidiana, un cane di nome Madox muore di depressione, una storia d’amore sfugge al controllo, i sogni evadono nella realtà e tutti i cittadini diventano, senza rendersene conto, dei personaggi.
“[…] «Un capolavoro!» – esclamò il signor Cambreleng. […] La letteratura non era morta, qualcuno aveva trovato la strada verso le parole vive. […] Al signor Cambreleng sembrava assolutamente fantastico che un uomo, un autore anonimo, si fosse sobbarcato questa fatica di Sisifo: raccogliere parole naturali dalla pelle, dalle viscere della città, da tutti i livelli dell’inferno urbano (il signor Cambreleng evitò all’ultimo di usare l’espressione civiltà urbana). In definitiva, Parigi è un libro, no? Oggigiorno le grandi città sono diventate dei libri, no? Nessuno avrebbe potuto contraddire il signor Cambreleng. Certo, le città erano ricoperte di parole, le città erano quindi libri.” p. 242
“[…] La letteratura è qualcosa di misterioso, mentre scrivi e ti trovi in rapporto diretto, quasi mistico, con la pagina bianca, ti rendi conto di essere sottoposto a forze impossibili da definire con precisione. Le parole, una volta lasciate libere, hanno diritto a determinate iniziative. Che arroganza credere di poter costruire tu stesso un libro, quando in realtà sono le parole a scrivere te e a costruirti!” p. 232
“[…] Una delle storie d’amore più belle vissute con passione reciproca è quella tra qui e adesso. Mai nessuno ha instaurato una relazione più pura, più solida, più sincera di quella tra queste due parole.” p. 173
“[…] Una parola incapace di amare è patria. Tutto quello che sa fare è esigere di essere amata (ma amarla, non la ama nessuno davvero). Demagoga e incattivita, spudorata e sadica, la parola patria vive la propria sessualità mandando in modo sistematico gli altri incontro alla morte, intimandogli allo stesso tempo di avere pure un orgasmo mentre muoiono per lei. ” p. 173
Nessun commento:
Posta un commento