Un istituto per detenute madri,
come l'infanzia.
E rinascere è un rebus.
Caterina Giuseppa Buttitta
Un bambino, sua madre. Due vite fragili tra altre vite fragili: donne e
uomini che passano sulla terra troppo leggeri per lasciare traccia.
Intorno, a contenerle, un luogo che non dovrebbe esistere, eppure per
qualcuno è perfino meglio di casa.
Lorenzo Marone scrive uno
struggente romanzo corale, un cantico degli ultimi che si interroga, e
ci interroga, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri.
Le madri non dormono maiEinaudi2022
Stile Libero Big
pp. 352 - € 18,50
Il libro
Diego
ha nove anni ed è un animale senza artigli, troppo buono per il
quartiere di Napoli in cui è cresciuto. I suoi coetanei lo hanno sempre
preso in giro perché ha i piedi piatti, gli occhiali, la pancia. Ma
adesso la cosa non ha piú importanza. Sua madre, Miriam, è stata
arrestata e mandata assieme a lui in un Icam, un istituto a custodia
attenuata per detenute madri. Lí, in modo imprevedibile, il ragazzino
acquista sicurezza in sé stesso. Si fa degli amici; trova una sorella
nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le
«parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora
addirittura il proprio aspetto. Anche l’indomabile Miriam si accorge con
commozione dei cambiamenti del figlio e, trascinata dal suo entusiasmo,
si apre a lui e all’umanità sconfitta che la circonda. Diego, però, non
ha l’età per rimanere a lungo nell’Icam, deve tornare fuori. E nel
quartiere essere piú forte, piú pronto, potrebbe non bastare.
«Miriam tornò ai suoi panni, e tolse l’aria dai polmoni con uno
sbuffo. Il sole mattutino s’affaccendava a portare un po’ di calore,
permetteva ai bambini di restare fuori a giocare, ma proiettava l’ombra
delle sbarre sulla parete alla sua destra, sezionava il muro come fosse
una scacchiera. S’appese alle spranghe e allungò l’esile collo, come a
voler uscire da lí, lei cosí minuta, e si ritrovò sulle punte senza
volerlo, da dietro pareva un puma pronto a spiccare il balzo. Pensò di
andarsi a riprendere quel figlio cretino che a quasi dieci anni si
lasciava sfottere da una mocciosetta e manco lo capiva. Invece vide
qualcosa d’inaspettato, vide la bambina ridere ancora per le parole del
suo Diego, e però subito dopo vide anche il viso di lui aprirsi in un
gioioso sorriso, e poi in una fragorosa risata che liberò farfalle, una
risata per lungo tempo attesa, che le tolse l’ombra dalla faccia e la
spinse a donare al cielo, alle nuvole dense che soffocavano quel carcere
tra i monti, un moto appena percettibile di labbra».
RECENSIONE
Tornare alla vita è emotivamente arduo, comporta l'odissea di scoprire se stessi nel profondo. Perciò Marone pubblica un'avventura esistenziale e psicologica. E forse nessuno è riuscito a pervaderla di tanti significati e di un persistente senso di incognito. A un primo livello, c'è il dramma, che il lettore può dapprincipio soltanto immaginare con disgusto. In seguito, che cosa sia accaduto dopo, il lettore non lo sa. Lo scoprirà per colpi di scena successivi.
Intanto, dopo essere stato <<per un'eternità un filo di coscienza tirato su un abisso senza fondo>>, il protagonista si risveglia e, giorno dopo giorno, sempre più staccandosi dalle ore offuscate, punta sull'efficacia della parola fissata sulla pagina perchè lo aiuti a ricostruire se stesso.
La prima <<realtà>> che gli va <<incontro a braccia aperte>> è la sua infanzia incantata e solitaria. Marone ne fa un racconto struggente, una ricostruzione perfetta dell'innocenza e dello stupore acerbi. La pienezza arriva con Melina, che è per lui è l'incarnazione della vera bellezza materiale e immateriale. Dall'incontro della vita, a undici anni, nasce un rapporto simbiotico. Fiorisce una complicità sognante ed esaltante per due ragazzini isolati, cresciuti in famiglie disfunzionali. Per un tempo non calcolabile, nel chiuso della stanza che gli pare estranea come tutto il resto, quella sarà per il ragazzo l'unica <<realtà>>.
Realtà è una parola chiave del romanzo, ricorrente e oscura perchè è un concetto che si sposta continuamente di luogo e significato. Dapprima si manifesta soprattutto come ciò che assorbe completamente la mente di Diego, echeggiando la presenza assoluta dell'istituto. E, certo, la condizione di Marone somiglia all'infanzia: la dipendenza del ragazzo, l'universo circoscritto, la progressiva riscoperta di se stesso e del mondo. Nel romanzo Marone s'intrecciano più livelli, tutti coerenti.
Ma realtà è anche una parola rivelatrice. A mano a mano che Marone migliora, il termine evidenzia il conflitto che l'ha dilaniato fino al giorno che deve tornare fuori e che lo attende immutato al risveglio. Realtà è ciò in cui ha creduto, e in cuor suo crede ancora, o la giungla fuori che ha come sola fede <<il dio denaro>>? Il conflitto non sta nella dicotomia, ma nel modo in cui l'io narrante l'ha affrontata e continuerà ad affrontarla nei giorni seguenti. Eppure questo giovane uomo che non sa dov'è la sua pace, capisce, già nelle prime 50 pagine, di essere stato per tutta la vita una persona a metà senza saperlo.
Scopriremo che Marone è tornato nel quartiere distrutto, perchè tutti i valori in cui aveva creduto erano franati all'istituto. Ciò che ha fatto per reagire è sfidarsi: sempre con il cuore in subbuglio per vedere se in un mondo simile poteva stare <<in piedi>>. Gli esiti di quella sfida sono perfettamente leggibili osservando la differenza tra l'io narrante nei momeni in cui rievoca l'infanzia o vede la madre e nei momenti in cui ragiona, analizza, ricostruisce quanto è accaduto. C'è nel romanzo anche una buona dose di critica sociale, forse più largamente comprensibile oggi rispetto all'anno in cui entro nell'istituto.
Che la madre Miriam, sia nella stanza o meno, non cambia. Anche quando si parla d'altro, quasi tutto implica Miriam, l'unica persona capace di mandare in ipnosi la razionalità ossessiva del protagonista/figlio. Il primo grosso colpo di scena arriva con la volontà di ricostruire quanto è accaduto nella sua vita partendo dalla nascita: supponendo, riflettendo, mutando sentimenti e opinioni. Conduce, insomma, la sua personale inchiesta. E' consapevole di vedere le cose dalla prospettiva distorta di un esule. Napoli fuori ruggisce aspettando la nuova guerra. Eppure, benchè giunga a immaginarla, la sua sensibilità accesa dalle molte ore solitarie arriva persino a cogliere gli indizi della soprpresa finale.
Anche per Marone, uomo in rivolta, dopo tante sorprese, che sarà il lettore a scoprirle, arriverà il tempo di uscire dall'istituto. Non prima di aver lanciato una sfida al suo destino. Vorrebbe smascherare quell'uomo limpidamente devoto all'altro e tentare così ancora una volta di mettere se stesso di fronte alla verità assoluta, ossia alla <<realtà>. Ma non è in questo modo che il protagonista troverà il suo posto nel mondo.
Lorenzo Marone già autore di <<Inventario di un cuore in allarme>> è talmente padrone del testo da far sospettare che gli basti la corretta punteggiatura per mettere ordine in una materia potenzialmente magmatica. E, a differenza di quanto accade nel precedente romanzo, qui giunge a essere paradigmatico su temi intimi e delicati, tanto da riuscire a porre domande a tutti, non soltanto a Diego, che vi si riconobbe.
Diego ha nove anni ed è un animale senza artigli, troppo buono per il quartiere di Napoli in cui è cresciuto. I suoi coetanei lo hanno sempre preso in giro perché ha i piedi piatti, gli occhiali, la pancia. Ma adesso la cosa non ha piú importanza. Sua madre, Miriam, è stata arrestata e mandata assieme a lui in un Icam, un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Lí, in modo imprevedibile, il ragazzino acquista sicurezza in sé stesso. Si fa degli amici; trova una sorella nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le «parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora addirittura il proprio aspetto. Anche l’indomabile Miriam si accorge con commozione dei cambiamenti del figlio e, trascinata dal suo entusiasmo, si apre a lui e all’umanità sconfitta che la circonda. Diego, però, non ha l’età per rimanere a lungo nell’Icam, deve tornare fuori. E nel quartiere essere piú forte, piú pronto, potrebbe non bastare.
«Miriam tornò ai suoi panni, e tolse l’aria dai polmoni con uno sbuffo. Il sole mattutino s’affaccendava a portare un po’ di calore, permetteva ai bambini di restare fuori a giocare, ma proiettava l’ombra delle sbarre sulla parete alla sua destra, sezionava il muro come fosse una scacchiera. S’appese alle spranghe e allungò l’esile collo, come a voler uscire da lí, lei cosí minuta, e si ritrovò sulle punte senza volerlo, da dietro pareva un puma pronto a spiccare il balzo. Pensò di andarsi a riprendere quel figlio cretino che a quasi dieci anni si lasciava sfottere da una mocciosetta e manco lo capiva. Invece vide qualcosa d’inaspettato, vide la bambina ridere ancora per le parole del suo Diego, e però subito dopo vide anche il viso di lui aprirsi in un gioioso sorriso, e poi in una fragorosa risata che liberò farfalle, una risata per lungo tempo attesa, che le tolse l’ombra dalla faccia e la spinse a donare al cielo, alle nuvole dense che soffocavano quel carcere tra i monti, un moto appena percettibile di labbra».
RECENSIONE
Tornare alla vita è emotivamente arduo, comporta l'odissea di scoprire se stessi nel profondo. Perciò Marone pubblica un'avventura esistenziale e psicologica. E forse nessuno è riuscito a pervaderla di tanti significati e di un persistente senso di incognito. A un primo livello, c'è il dramma, che il lettore può dapprincipio soltanto immaginare con disgusto. In seguito, che cosa sia accaduto dopo, il lettore non lo sa. Lo scoprirà per colpi di scena successivi.
Intanto, dopo essere stato <<per un'eternità un filo di coscienza tirato su un abisso senza fondo>>, il protagonista si risveglia e, giorno dopo giorno, sempre più staccandosi dalle ore offuscate, punta sull'efficacia della parola fissata sulla pagina perchè lo aiuti a ricostruire se stesso.
La prima <<realtà>> che gli va <<incontro a braccia aperte>> è la sua infanzia incantata e solitaria. Marone ne fa un racconto struggente, una ricostruzione perfetta dell'innocenza e dello stupore acerbi. La pienezza arriva con Melina, che è per lui è l'incarnazione della vera bellezza materiale e immateriale. Dall'incontro della vita, a undici anni, nasce un rapporto simbiotico. Fiorisce una complicità sognante ed esaltante per due ragazzini isolati, cresciuti in famiglie disfunzionali. Per un tempo non calcolabile, nel chiuso della stanza che gli pare estranea come tutto il resto, quella sarà per il ragazzo l'unica <<realtà>>.
Realtà è una parola chiave del romanzo, ricorrente e oscura perchè è un concetto che si sposta continuamente di luogo e significato. Dapprima si manifesta soprattutto come ciò che assorbe completamente la mente di Diego, echeggiando la presenza assoluta dell'istituto. E, certo, la condizione di Marone somiglia all'infanzia: la dipendenza del ragazzo, l'universo circoscritto, la progressiva riscoperta di se stesso e del mondo. Nel romanzo Marone s'intrecciano più livelli, tutti coerenti.
Ma realtà è anche una parola rivelatrice. A mano a mano che Marone migliora, il termine evidenzia il conflitto che l'ha dilaniato fino al giorno che deve tornare fuori e che lo attende immutato al risveglio. Realtà è ciò in cui ha creduto, e in cuor suo crede ancora, o la giungla fuori che ha come sola fede <<il dio denaro>>? Il conflitto non sta nella dicotomia, ma nel modo in cui l'io narrante l'ha affrontata e continuerà ad affrontarla nei giorni seguenti. Eppure questo giovane uomo che non sa dov'è la sua pace, capisce, già nelle prime 50 pagine, di essere stato per tutta la vita una persona a metà senza saperlo.
Scopriremo che Marone è tornato nel quartiere distrutto, perchè tutti i valori in cui aveva creduto erano franati all'istituto. Ciò che ha fatto per reagire è sfidarsi: sempre con il cuore in subbuglio per vedere se in un mondo simile poteva stare <<in piedi>>. Gli esiti di quella sfida sono perfettamente leggibili osservando la differenza tra l'io narrante nei momeni in cui rievoca l'infanzia o vede la madre e nei momenti in cui ragiona, analizza, ricostruisce quanto è accaduto. C'è nel romanzo anche una buona dose di critica sociale, forse più largamente comprensibile oggi rispetto all'anno in cui entro nell'istituto.
Che la madre Miriam, sia nella stanza o meno, non cambia. Anche quando si parla d'altro, quasi tutto implica Miriam, l'unica persona capace di mandare in ipnosi la razionalità ossessiva del protagonista/figlio. Il primo grosso colpo di scena arriva con la volontà di ricostruire quanto è accaduto nella sua vita partendo dalla nascita: supponendo, riflettendo, mutando sentimenti e opinioni. Conduce, insomma, la sua personale inchiesta. E' consapevole di vedere le cose dalla prospettiva distorta di un esule. Napoli fuori ruggisce aspettando la nuova guerra. Eppure, benchè giunga a immaginarla, la sua sensibilità accesa dalle molte ore solitarie arriva persino a cogliere gli indizi della soprpresa finale.
Anche per Marone, uomo in rivolta, dopo tante sorprese, che sarà il lettore a scoprirle, arriverà il tempo di uscire dall'istituto. Non prima di aver lanciato una sfida al suo destino. Vorrebbe smascherare quell'uomo limpidamente devoto all'altro e tentare così ancora una volta di mettere se stesso di fronte alla verità assoluta, ossia alla <<realtà>. Ma non è in questo modo che il protagonista troverà il suo posto nel mondo.
Lorenzo Marone già autore di <<Inventario di un cuore in allarme>> è talmente padrone del testo da far sospettare che gli basti la corretta punteggiatura per mettere ordine in una materia potenzialmente magmatica. E, a differenza di quanto accade nel precedente romanzo, qui giunge a essere paradigmatico su temi intimi e delicati, tanto da riuscire a porre domande a tutti, non soltanto a Diego, che vi si riconobbe.
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