Quando Fidel Castro era stato rilasciato in seguito a un'armnistia, Ramòn l'aveva seguito in Messico e a sedici anni era stato una delle prime reclute dell'esercito di liberazione cubano in esilio. Castro, nel frattempo, s'era reso conto del valore potenziale del giovane parente e protetto, e quand'era arrivato al potere l'aveva ricompensato mandandolo a completare gli studi sul continente americano. Mentre studiava storia politica e antropologia sociale all'università della Florida, Ramòn aveva usato le sue arti amatorie per infiltrarsi nel gruppo degli esuli cubani che, con la collaborazione della CIA, faceva piani per la controrivoluzione e l'invasione dell'isola. Era stata soprattutto l'attività spionistica di Ramòn a identificare il tempo e il luogo dello sbarco nella Baia dei Porci e a portare all'annientamento dei traditori. Ormai le sue doti straordinarie venivano riconosciute non solo dai suoi compatrioti ma anche dagli alleati. In pochissimo tempo aveva visitato tutti i paesi africani sotto la giurisdizione, usando il passaporto spagnolo e il proprio titolo, spacciandosi per finanzieri capitalista e un dirigente d'una banca d'affari; questo grazie alle credenziali fornitegli dalla Direzione Generale. Veniva accettato senza riserve. E adesso si trovava nell'ufficio del consolato russo, con l'uomo che stava per sostituire. Aveva imparato a fingere di accettare l'organizzazione, le informazioni, a dar loro falsi segnali di docilità, come il voluto rilassamento fisico e il sorriso franco e fiducioso. Ma no dimenticava neppure per un istante la tragedia che ha segnato la sua vita. Non aveva mai dimenticato quel giorno spaventoso quando, sotto l'azzurro cielo africano, aveva tenuto fra le braccia la ragazza che amava, l'adorabile fanciulla che doveva diventare sua moglie. L'aveva tenuta fra le braccia e l'aveva vista moritre, e prima che il suo corpo si raffreddasse aveva toccato con le dite le ferite e sul suo sangue aveva giurato vendetta.
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