LA TIGNA, di Roberto Contu, Castelvecchi Editore, pp. 182 - 17,50 euro
Penso che Roberto Contu, insegnate che scrive di scuola e di letteratura italiana, realtà che si intrecciano anche in questo libro, sia davvero tignoso, ovvero caparbio, persona che non demorde, secondo il significato popolare traslato di questo termine, se è riuscito a scrivere un libro controcorrente, forte e coinvolgente, come questo, in cui cerca di far capire come la vita, nella sua forma positiva, ''rabbiosa, tignosa'' anche lei , più forte di ogni avversità, sia un bene che alla fine resiste e vince sempre, anche quando abbiamo smesso di crederci.
Siamo nell'ultimo, emblematico anno del secolo scorso,
il 1999 e la vicenda si apre sul primo giorno di scuola per concludersi
con le vacanze di Natale, pur gettando oltre lo sguardo, e col professor
Renato Contro che arriva al Istituto tecnico commerciale Danti di
Perugia, sua nuova sede, entrando nella V D, dove invece mancano
Francesco Mazzoli e Benedetta Ferri, due studenti che in quelle ore sono
presi da problemi vitali e concreti, perché dopo giorni di attesa e
ansia la ragazza ha fatto il test di gravidanza e è risultata positiva.
La sua prima reazione è naturalmente quella di di pensare di essere
troppo giovane per rovinarsi la vita e quindi, essendo maggiorenne, di
poter abortire. Il problema è la famiglia, i rapporti non facili con la
madre, separata e infermiera in una casa per anziani, cui spera riesca a
parlare l'uomo che con lei ha una relazione, il padre di Luca, loro
compagno di scuola e miglior amico di Francesco, oltre che figlio della
preside del Danti Roberta Valentini.
E' in questo insieme di
rapporti e problemi personali in una città di provincia che mette in
relazione ognuno con tutti gli altri e crea, tra desideri,
fraintendimenti, finzioni e timori, un intreccio che la narrazione di
Contu tiene viva e ha nella scuola, col suo gioco di ruoli e rapporti
generazionali, il palcoscenico dove tutto trova inevitabilmente una sua
evidenza e si scontrano/incontrano visioni differenti sulle quali
naturalmente alleggia col suo carico di implicazioni lo stato di
Francesca, su cui Luca non ha saputo tenere il segreto richiesto. Luca
infatti è in un momento di confusione, esistenziale generale e anche per
quel che riguarda la sua fede, il suo passato all'oratorio, e quando si
trova a confrontarsi a tu per tu con Padre Andrea, l'insegnate di
religione del Danti cui sua madre ha chiesto di parlargli, finisce per
dirgli tutto.
Il protagonista però del romanzo, la pietra di
confronto per tutti, è il professor Contro, col suo cognome che è un
programma, a cominciare da come si rapporta duramente con i ragazzi che
però conquista con le sue provocazioni, le letture, i discorsi fuori di
ogni schema, senza tirarsi indietro, ma replicando spiazzante, come
accade il giorno che Benedetta durante una lezione gli chiede
all'improvviso ''Ma lei che ne pensa dell'aborto?''. Lui in risposta
legge un articolo del 1975 di Pier Paolo Pasolini, perché ''a domande
così importanti bisogna avere il coraggio di dare la dignità di una
risposta che sia a livello della domanda, andando a fondo delle proprie
ragioni'', che per Pasolini si inserivano in una sua analisi profonda
della società, di cui denunciava la perdita di quello che definiva ''il
senso della sacralità della vita degli altri e la fine di ogni
sentimento della propria''.
Riguardano Contro anche alcuni
capitoli in cui si rivivono momenti intensi e pesanti che hanno segnato e
inasprito la sua vita due anni prima, relativi alla sua famiglia, la
moglie Laura, il figlio Valerio e in particolare la malattia e la
perdita della figlia Claudia, che si è lasciato alle spalle, decidendo
di andarsene da Gubbio. Anche lui, ''interrogandosi luteranamente'' ha
messo in crisi la sua fede. Ma gli resta, in quel suo difendersi e
essere in guerra con se stesso, appunto la letteratura e citerà,
discutendo con la preside, prima di Leopardi e poi del Calvino di ''Una
giornata di uno scrutatore'' a proposito dell'idea di bene come fine
ultimo del senso umano: ''La letteratura ha il coraggio di osare, e con
lei la vita, la sua vita la mia vita allora sì che diventano
irrilevanti, allora sì che davvero si muore: ma non si muore, no che non
si muore, la domanda più importante che dovrebbe assilarci non è perché
si muore, ma perché si vive''.
Un romanzo di bell'impatto che
cala nel quotidiano problemi, interrogativi alti e si fa leggere sino
alla fine non grazie a una qualche accorta costruzione, ma per la verità
che la scrittura di Contu mette nel racconto, nei personaggi, con una
lingua che si adatta, che prende termini dialettali o del gergo
giovanile, che si sporca senza perdere qualità.
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