Gli sguardi sull’inconscio di Alfred Kubin
In mostra al Leopold Museum di Vienna, «Alfred Kubin. Confessioni di un'anima tormentata», fino al 24 luglio
«La gioia e il dolore sono sempre assai vicini», si diceva convinto Alfred Kubin, disegnatore e illustratore fra i migliori del primo Novecento, votato a «riversare in forme artistiche l’universo segreto» che lo abitava, fatto di incertezze e anfratti oscuri.
Originario della Boemia asburgica, dove era nato nel 1877, fu eloquente interprete del lato oscuro dell’Austria Felix, in cui si immerse per trarre immagini misteriose e inquietanti, che adombravano i luccichii e le frivolezze della Belle Epoque, e si agganciavano piuttosto al «laboratorio dell’apocalisse» che Karl Kraus vedeva nell’Austria e alla visione di Franz Werfel di un mondo «fissato sui concetti di destra e sinistra, ma che dimentica l’esistenza di un sopra e un sotto».
Sigmund Freud e poi da Carl Gustav Jung
Kubin era di casa proprio in quel «sotto» e in particolare nei sotterranei della psiche, le cui porte erano state spalancate dalle teorie di Sigmund Freud e poi da Carl Gustav Jung. Dalle sue perlustrazioni dei meandri dell’inconscio fece emergere paure e ossessioni, malinconie e disperazioni, che trassero fra l’altro ispirazione da altri artisti cui si sentiva affine: Max Klinger e Félicien Rops, Edward Munch, Fernand Khnoppf, James Ensor e naturalmente Goya e Hyeronimus Bosch.
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