giovedì 23 giugno 2022

NEDDA DI GIOVANNI VERGA - MONDADORI "TESTO PIU' APPROFONDITO"

 

GIOVANNI VERGA

NEDDA

MONDADORI

 

 

 

 

 

 

TESTO PIU' APPROFONDITO

Verga presenta i personaggi in modo da mettere in evidenza, di ciascuno di essi (la castalda, Nedda, le compagne, il fattore, il figlio del padrone, il pecoraio), le principali caratteristiche, ma senza che si possa parlare di <<ritratti isolati>>. Ciò che costituisce il fascino della scena è quel volgersi dello scrittore ora a questo ora a quel prersonaggio, che è colto sempre sullo sfondo o in prossimità del gruppo degli altri che lo circondano. E', insomma, una rappresentazione corale. Anche lo snodarsi del discorso, che va e viene, s'accalora e si spegne senza una precisa ragione, obbedisce a questo criterio di rappresentazione reale. Sono già, in <<Nedda>>, presenti i tratti fondamentali della grande arte verghiana.

Ma veniamo a considerazioni più pertinenti al problema del quale ci stiamo occupando, la storia del lavoro. Che Nedda e le sue compagne siano vittime dello sfruttamento appare ben evidente ai nostri occhi, ed era altrettanto chiaro per Verga. La loro sorte è veramente degna di compassione soprattutto perchè non si rendono conto della loro condizione di creature costrette ad elemosinare il lavoro e il pane come una grazia, che il maltempo, l'umore del padrone, o un qualunque altro imprevisto possono rendere irraggiungibile. Hanno, della giustizia, un'idea arcaica che si fonde con l'accettazione della loro  naturale inferiorità, e con la coscienza, netta, dei diritti che il padrone, come proprietario della terra, può esercitare nei loro confronti.

Sono rassegnate, non si ribellano, non sono neanche consapevoli della forza che avrebbero se s'unissero insieme; non si rendono conto che il padrone nutre una certa paura nei riguardi di quelle più rissose (le paghe per prime e meglio); non vedono che egli mira, secondo un'accorta politica, a tenerle divise.

La pietà di Verga, rattenuta ma non impercettibile, è tanto più profonda perchè le vittime di questo sfruttamento sono donne. Con ciò egli non intende sottolineare come il lavoro faticosissimo guasti la loro bellezza, ne indurisca il carattere, ne comprometta, rendendola rude, la naturale grazia femminile. La sua pietà non è di tipo cavalleresco. Egli annota che l'esser donna è una disgrazia: i lavori più vili e pesanti, indegni dell'uomo che le è superiore, sono lasciati a lei. Lo sfruttamento nel campo del lavoro, insomma, non è che una - anche se forse la più vistosa - delle manifestazioni concrete d'una concezione - antichissima e divenuta ormai tradizione accettata - che disprezza la donna e la considera un essere inferiore.

Se raffronti questo libro con altri delle antiche letterature ispiratial medesimo tema, vedrai che l'idea del lavoro femminile e della funzione della donna all'interno della società, è rimasta praticamente la stessa: secoli e secoli sono passati, vari eventi e fortune politiche. Il progresso ha compiuto passi enormi, il mondo ha udito la parola di Cristo, la Chiesa l'ha diffusa per ogni terra: diversi re si sono alternati sul trono. Ma nulla è realmente mutato nelle campagne del Sud. Per questo è impossibile non provare commozione leggendo <<Nedda>>. Questa figura dolente e fiera, generosa e rozza, è il simbolo stesso della nostra storia, della memoria, che portiamo in noi, d'umiliazioni antichissime, del nostro amore così tenace per la tradizione su cui, pure  avvertendone tutti i limiti, continuiamo a fondare il nostro costume.

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