L'iliade
SINOSSI
Dall'ira di Achille ai funerali di Ettore: in cinquantun giorni si snoda
la vicenda raccontata nell'"Iliade", il primo e il più famoso poema
epico dell'umanità. L'"Iliade" è la celebrazione, proiettata in un
passato di smisurata e perduta grandezza, di eroi, battaglie, imprese
valorose. Ma è anche il poema dell'eterna problematicità e
contraddittorietà dell'uomo, il poema in cui gli stessi eroi che
compiono gesta che saranno cantate nei secoli sanno di essere destinati a
una sorte dolorosa cui non possono sfuggire, in cui gloria e morte sono
uniti in un nodo inestricabile. E dopo aver raccontato il traviamento
dell'ira e della passione, l'"Iliade" si chiude con la dolorosa
consapevolezza della fragilità umana. La traduzione di Giovanni Cerri è
esemplare per l'aderenza al dettato omerico; il commento di Antonietta
Gostoli, il primo completo pubblicato in Italia, si rivolge tanto allo
specialista quanto al lettore colto. Accompagna questa edizione un ampio
saggio del grande filologo Wolfgang Schadewaldt.
RECENSIONE
Crise, sacerdote di Apollo si presenta al campo greco per riscattare con ricche offerte di doni la figlia Criseide. E' solo,indifeso, parla con umiltà, sospinto dall'amore paterno si avvilisce sino ad augurare la vittoria a quei nemici che gli hanno saccheggiato la città e rapito la figlia. I capi greci ne restano commossi: solo Agamennone, deciso a tenersi Criseide ad ogni costo, reagisce con modi tracotanti, rifiuta il riscatto e scaccia con ingiurie il vecchio sacerdote. Crise, amareggiato e deluso, si avvia lungo la riva del mare, dove sfoga il suo dolore pregando Apollo di vendicarlo.
Con fulminea rapidità, come un incubo pauroso e sinistro, il dio scende corrucciato dall'Olimpo, si arresta in vista delle navi greche e scatena la sua ira, scagliando prima sugli animali, poi anche sugli uomini le sue saette portatrici di morte. Scoppia così nel campo greco una pestilenza orrenda. Sullo sfondo lugubre e rossigno dei roghi su cui si bruciano i cadaveri, il superstizioso terrore dei Greci non può credere ad una normale epidemia infettiva: la pestilenza non può essere che il segno terribile di una divinità offesa. E Omero, come sa rendere con umanissimo sentimento di pietà lo strazio di Crise, così immagina ora con mirabile potenza l'effetto della vendetta di Apollo, con quella visione prospettica dell'Olimpo misterioso e lontano, con quel tintinnio dell'arco e della faretra che pare abbiano gli stessi fremiti del dio, e con quei passi enormi che l'immaginazione non riesce a misurare.
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