lunedì 10 febbraio 2020

RECENSIONE #22/2020 IL BAMBINO NASCOSTO by ROBERTO ANDO' - LA NAVE DI TESEO


Il bambino nascosto

ROBERTO ANDO'

LA NAVE DI TESEO

pp. 221

£ 17

Gabriele Santoro, professore di pianoforte al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha l’abitudine di radersi declamando una poesia. Una mattina, il postino suona al citofono per consegnare un pacco, lui apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia. In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si intrufola nel suo appartamento. Il maestro – così lo chiamano nel problematico quartiere di Forcella dove abita – se ne accorgerà solo a tarda sera, quando riconosce nell’intruso Ciro, il figlio dei vicini di casa. Interrogato sul perché della sua fuga, Ciro non parla. Il maestro di piano, d’istinto, accetta comunque di nasconderlo: Gabriele e il bambino sanno di essere in pericolo ma approfittano della loro reclusione forzata per conoscersi e riconoscersi. Il bambino è figlio di un camorrista, viene da un mondo criminale che lascia poco spazio ai sentimenti, e ora un gesto avventato rischia di condannarlo. Il maestro di pianoforte è un uomo silenzioso, colto, un uomo di passioni nascoste. Toccherà a lui l’educazione affettiva del piccolo ribelle. Una partita rischiosa nella quale si getterà senza freni sfidando i nemici di Ciro, sino a un esito imprevedibile in cui a tornare saranno i conti tra la legge e la vita.
Dopo Il trono vuoto (Premio Campiello Opera Prima), Roberto Andò scrive un romanzo con il ritmo serrato di un giallo, ambientato in una Napoli ritrosa e segreta. Un incontro folgorante, una storia di iniziazione e paternità, che ha lo sguardo luminoso di due personaggi indimenticabili, un maestro di pianoforte e un bambino.

Roberto Andò


Roberto Andò è nato a Palermo nel 1959. Regista di teatro di prosa, lirica e cinema, tra i suoi film, premiati con importanti riconoscimenti, ricordiamo Sotto falso nome con Daniel Auteuil, Le confessioni con Toni Servillo e Pierfrancesco Favino, Una storia senza nome con Micaela Ramazzotti e Laura Morante. Dal suo romanzo Il trono vuoto, vincitore del Premio Campiello Opera Prima 2012, ha tratto il film Viva la libertà con Toni Servillo e Valerio Mastrandrea.



 RECENSIONE

Forcella - il quartiere senza identità, con l'asfalto riarso dal sole e spaccato dal gelo, e i palazzi dall'intonaco ruvido e sbrecciato, accoglie e nasconde un ragazzino in fuga dal crimine. Pur di proteggerlo Roberto Amdò è disposto ad armarsi e affrontare il mondo ostile. Perchè da sempre Ciro, è il bambino nascosto, e Gabriele Santoro, raffinato professore di pianoforte al Conservatorio, sono inseparabili. O forse qualcosa di più?
La loro storia, struggente e tragica, diventerà quasi una leggenda nel quartiere. Ma a narrarla finora è stato solo Santoro, la metà più forte della storia, il professore cui bastava sentire l'odore di Ciro sulla maglietta che lui stesso gli aveva regalato per sapere che lui ci sarebbe sempre stato e che ha lottato nella casa del professore in cerca di rifugio e salvezza. 

Questo invece, è la storia della metà più debole e a raccontare l'arrivo a Forcella è una Napoli, in prima persona, con la sua voce, le sue fragilità, i suoi piccoli e grandi sogni così difficili da realizzare e così facili da infrangere.

"Tutta quella parte della città che vuole, a ogni costo, servire il crimine, o esserne vittima>>.

Un incrociare di <<volti drogati o assenti>>, il <<fiato pestilenziale del ventre corrotto di Napoli>>, <<tutta l'energia sordida del rancore e della rapina>> racchiusa in quel mondo che Andò definisce <<larve>>.

Napoli è la sola città al mondo, che abbia avuto e continui ad avere una bibliografia <<in progress>>. Ognuno vuole scrutare dentro il <<mistero>> o dentro i <<misteri>> di Napoli, per ricavarne non una testimonianza documentaria ma un messaggio poetico o addirittura una lezione di vita.

Questo, a mio avviso, significa che Napoli ha un patrimonio peculiare di civiltà non sempre intelligibile ... capace di suggestioni, e talvolta di persuasioni, innumerevoli e perenni. E' dunque evidente che vi sono componenti costanti spirituali e magari anche cifre  o formule o schemi o luoghi comuni che agiscono dal profondo su ciascuno che metta l'occhio sulla realtà ... della città. Quali? Un'antica rassegnazione, un rifiuto alla lotta, un consenso alla rissa, al cialeccio, al grido sterile. Una pietà non religiosa ma umana, quindi capricciosa e soggetta al gioco degli umori e delle circostanze. Una socialità che è complice nella trasgressione, non certamente civismo e difesa di patrimonio comune. Un'indifferenza alla natura e un continuo inno ad essa come matrice di ozio divagante. Fino all'incontro che gli cambierà la vita: quello con una bambina che fa capolino dal finestrino di un'auto, e appoggia la bocca al vetro, baciandolo in modo osceno e l'incanto di una Napoli che viene fuori, prepotente e sconfortante, la città slabbrata e irredimibile da cui Gabriele Santoro, vorrebbe sfuggire.

E Santoro va incontro al suo destino, cercando addirittura di mimetizzarsi nel modello di vita camorrista, dove l'omicidio diventa la scorciatoia per risolvere i problemi in modo del tutto diverso dalle forme che la città civilizzata prevederebbe.

Ha la tentazione di diventare come loro. Si fa insegnare dal ragazzino come maneggiare una pistola, proprio lui così refrattario a ogni forma di violenza fisica, così immerso nella regolarità esistenziale che la frequentazione assidua della musica fallisce, perchè del killer non ha nè la tecnica professionale nè soprattutto lo stato d'animo. Ma insiste, come se non ne potesse più fare a meno. Come se il suo procedere verso un sacrificio inevitabile costituisse una tappa del destino.

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