La libertà di scelta si smarrisce nel labirinto delle generazioni, e in questo labirinto ogni atto è in sè un asservimento, poichè sgombra il campo da tutte le alternative e ci lega sempre più strettamente alle costrizioni di cui è fatta la nostra vita.
Caterina Buttitta
Viaggio nella bibliografia dell’autore statunitense che a maggio pubblicherà negli Usa (e in autunno in Italia) «Crossroads», il nuovo romanzo, il sesto, primo di una serie che lo terrà (dicono) occupato nel prossimo decennio.
«23 dicembre 1971: la famiglia Hildebrandt è a un bivio. Il patriarca Russ, pastore di una chiesa suburbana di Chicago, è pronto a liberarsi da un matrimonio che sente ormai senza gioia a meno che la sua brillante e instabile moglie, Marion, non si liberi prima di lui. Clem, il figlio maggiore, sta tornando a casa dal college affetto da assolutismo morale, dopo aver commesso qualcosa che distruggerà suo padre. La sorella di Clem, Becky, a lungo la reginetta della sua classe di liceo, si è tuffata nella controcultura dell’epoca mentre il fratello minore Perry, stufo di vendere fumo per finanziare la sua dipendenza dalla droga, è fermamente deciso a diventare una persona migliore. Tutti gli Hildebrandt cercano una libertà che gli altri minacciano di complicare».
Sono bastaste poche righe, la scheda libro astutamente diffusa dall’editoredi Jonathan Franzen - Farrar, Straus & Giroux - e che anticipa il contenuto di Crossroads, romanzo in uscita negli Stati Uniti a maggio, per fare del libro di Franzen l’evento editoriale americano dell’anno. Perché magari non sarà proprio vero che Franzen - come da tesi e titolo di un famoso saggio a lui dedicato - segna la «fine del postmodernismo», ma è sicuramente vero che nessuno più di lui, in questo secolo, ha lavorato per far tornare d’attualità il romanzo-romanzo naturalista di impianto ottocentesco che per decenni sembrava sepolto. Arriva in Italia Crossroads, primo volume di una trilogia, è interessante ripercorrere la carriera di Franzen, che a 61 anni ha pubblicato finora soltanto cinque romanzi ma è uno degli scrittori americani più importanti della nostra epoca.
Il viaggio nella bibliografia di Franzen parte nel 1988: un primo libro molto diverso dal modus operandi del Franzen di oggi, molto poco classico. La ventisettesima città (Twenty-Seventh City, pubblicato negli Usa nel 1988 e da Mondadori nel 1989 e poi, dopo il successo mondiale de Le Correzioni da Einaudi nel 2002, traduzione di Ranieri Carano) è un thriller atipico, sicuramente un debutto con i limiti e le ingenuità dei debutti, ma contiene già tutti i temi di Franzen — il Midwest, la famiglia, le complesse dinamiche interpersonali.
Un libro già molto avanti, rispetto a dove si trovava la letteratura americana della seconda metà degli anni Ottanta, come è molto avanti, un secondo libro dove vediamo già Franzen scrittore completo e straordinariamente maturo: Forte movimento (Strong motion, uscito nel 1992 negli Stati Uniti e tristemente mai tradotto in Italia fino al 2004 da Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi, sulla spinta del fenomeno editoriale de Le Correzioni) è un bellissimo libro dove c’è già tutto Franzen. La famiglia disfunzionale (stavolta a Boston: viene osservata e catalogata con l’attenzione da fanatico di bird-watching,hobby dell’autore), la densità di contenuti, l’ambizione, lo stile. Anche chi non ama il Franzen successivo, quello del grande successo mondiale, generalmente non ha nulla di negativo da dire su Forte movimento.
La vita e la carriera di Franzen cambiano per sempre con il terzo romanzo, Le correzioni (The corrections, 2002; edito in Italia da Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi), nel quale Franzen adotta il metodo da grande romanziere naturalista ottocentesco che da allora lo caratterizza - raccontare l’America di oggi attraverso una famiglia del Midwest, le sue liti, i suoi dolori, i suoi piccoli grandi segreti, la sua solitudine.
È un romanzo-sinfonia, beethoveniano nel respiro, tanto ambizioso da usare strumenti antichi (e considerati obsoleti) per raccontare la contemporaneità. Bret Easton Ellis, parco di lodi per i colleghi specie se coetanei, ripete spesso che è l’unico libro che invidia ai suoi contemporanei: non avrebbe voluto scrivere Infinite Jest di David Foster Wallace ma Le correzioni.
Libertà (Freedom, 2010; Einaudi 2011, traduzione di Silvia Pareschi) continua sul luminoso cammino intrapreso con Le correzioni (e c’è il bonus della copertina di «Time» sulla quale gli scrittori non finiscono proprio mai, Toni Morrison esclusa). E, ormai sei anni fa, Purity (2015; Einaudi 2016, traduzione sempre di Silvia Pareschi) è una storia più piccola, femminile, con i temi franzeniani sempre presenti ma un po’ sullo sfondo per parlare di privacy, Internet, solitudine, tra un pezzo di bravura e l’altroda incorniciare. In attesa della trilogia imminente che, spiegano dall’America, dovrebbe impegnare Franzen per il prossimo decennio, magnum opus dell’ex giovane scrittore ambizioso diventato maestro per ricordarci che non esistono forme di romanzo obsolete.
Nell’immagine: lo scrittore americano Jonathan Franzen (1959), Crossroads il nuovo romanzo edito da Einaudi.
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